Vito Russo su “Bestie e dintorni” (Lietocolle) di Amos Mattio


Vito Russo su “Bestie e dintorni” (Lietocolle) di Amos Mattio

Amos Mattio è uno dei più promettenti poeti italiani della generazione dei nati negli anni Settanta. Cuneese di nascita e milanese di adozione, Mattio è segretario della Casa della Poesia di Milano, luogo in cui si anima il dibattito letterario contemporaneo nella “Capitale del Nord”, nell’affascinante cornice della Palazzina Liberty in largo Marinai d’Italia.

La sua prima raccolta di versi è “Bestie e dintorni”, edita da LietoColle.“Bestie e dintorni” è una raccolta che spiazza, per la sua delicatezza ed eleganza, per la sua originalità nel panorama poetico degli ultimi anni. Sul piano espressivo il tratto più originale si realizza nella rottura della antinomia onirico/naturalista.

Mattio apre la silloge con un bestiario e prosegue forgiando i suoi versi nei campi notturni, nella pioggia, in un treno, su una giostra, come in un lungo sogno ininterrotto. Mattio ripercorre in parte la strada tracciata da Federigo Tozzi ed Ermanno Krumm, come evidenzia Maurizio Cucchi nella puntuale prefazione, e da Giampiero Neri, per citare un altro classico contemporaneo. Tuttavia la poesia di Mattio è malinconica, oseremmo dire decadente.

L’aggettivazione è abbondante ma puntuale, pronta a rilevare anche i più minimi dettagli. Ne è sintomo l’attenzione che l’autore rivolge ad esempio ai colori: “Le ali / perse nel cobalto richiamano / tinte irreali, rubino, / screziato vermiglio, e pallori / verdi di germogli, colori / d’estate e di fuoco”.

Il tema prevalente della raccolta è quindi il descrittivo, teso ad elaborare immagini crepuscolari, atmosfere ovattate, allusive, evocative, orfiche quasi; eppure non mancano momenti riflessivi, in cui però sono gli oggetti ad essere personificati (“Lo specchio […] mi guarda / pensoso, e feroce sorride”), a fare da contraltare allo sguardo osservatore del poeta, ai suoi “occhi / resi muti dal troppo dolore”.

Mattio quindi osserva il reale nel più minimo particolare, e lo descrive con la sua personale sensibilità, ma non indica un percorso univoco, non entra a gamba tesa nella pagina, estrae anzi lentamente la sua trama e la dona all’immaginario del lettore, non vuole travolgerlo, ma renderlo partecipe, accompagnarlo nell’interpretazione delle cose, della natura, degli oggetti, degli animali. È come se Mattio facesse della parola una patina tra sé e la realtà, e invitasse il lettore a scavarla delicatamente per cogliere il cuore dell’esistenza, e interpretarla a proprio piacimento, rielaborarla con occhi propri.

Dal punto di vista strettamente formale, Mattio utilizza un lessico piuttosto semplice in una struttura tradizionale, ma si segnalano scelte sintattiche coraggiose, che Mattio può permettersi per la padronanza stilistica che dimostra: costruzioni inusuali, ardite, lontane dal linguaggio parlato (“Sonnecchiava / l’aria tra i cuscini e viva / rideva ancora attraverso / timida la soglia), il ricorso a modi verbali indefiniti e a periodi senza principale, l’utilizzo molto frequente del soggetto dopo il predicato.

Il verso di Mattio resta comunque impeccabile, ben plasmato, non una sillaba è di troppo, ad indicare che è possibile usare la parola con precisione, con dedizione, come materia delicata che, come la luna, “china lo sguardo timida e accoglie / fugace un’altra anima e arrossisce”.

Vito Russo

versi da “Bestie e dintorni” (Lietocolle) di Amos Mattio

Oh luna, dolce luna
luna palla, luna sorridente
mesta bianca, non parla, non mente

né frutti promette ma sente
l’addio sbiancato alla vita
la calce rovente che muore,
ribolle sommessa appesa a una nube
riflette un languore di menti assopite
divelte millanni, rapite, nel solco
fugace e sognante dai triti sapori.

Cangianti ricordi
notturni terrazzi d’estate,
sulle corde tese verso il mare
volavano più foschi i desideri:
salpare senza sosta… oh luna,
leggera, mormorii soffusi
incantano la sera, mesti

tra le nubi intrecciano un sospiro
a un sogno, a un presentimento.
Sofferente luna imporporata
che ascolta l’amante, del mare
le urla, chi sogna e vaneggia,
risale leggera, rispecchia
vermiglia un altro viaggio verso il cielo,

china lo sguardo timida e accoglie
fugace un’altra anima e arrossisce.

Come un ritratto

Cala sul sereno un sogno e prende
la via del mare, grigio
offusca la mente ed i ricordi
carezzano le foglie

cadute a terra grigie
di terra e di nebbia; e lontano
si aggiunge la pioggia alla pioggia,
turbina il verde di mille
voci confuse, muta
in giallo intenso e in rosso,
poi luce accecante che vola
sul velo di nebbia e sottile

si insinua nel solco di un vecchio
ferroso ricordo rimasto
freddo e insepolto, poi buio
nel fondo del gorgo. La mente
è tutta annegata dall’acqua
grumosa di sole e di sabbia.

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