“Mùtilo. Un monologo per il teatro”, Marco Vetrugno


“Mùtilo. Un monologo per il teatro” – Marco Vetrugno

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Mùtilo, in questo monologo per il teatro scritto in versi da Marco Vetrugno, è il personaggio che costruisce la sua presenza sulla schisi, l’assenza, la mutilazione, la mancanza. “Accade su un palcoscenico di teatro. Non è il suo un teatro di fronte a nessuno. Si munisce di didascalie o ambientazioni per via di una strutturazione testuale già ben impostata nella sua dinamica vicenda interiore”, come afferma il poeta Alfonso Guida nell’intervento che correda il volume, aggiungendo che Mùtilo è una sparizione che parla. Un personaggio che si interroga sulla natura della propria esistenza, fino al culmine. “Mùtilo è uno che ha perduto definitivamente la poesia? Tutte le forme di poesia? Il disincanto è negativo. Mùtilo si nutre di sacralità, idolatrie, immagini incastrate, incastonate, immerse. Mùtilo obbedisce al solo scavo interiore, riportato in superficie sottoforma di sangue, vomito, crudezze. Linguaggio violento e congiunto. Come cardini congiungono porte invisibili. Come punti cardinali orientano i solissimi frequentatori dei ‘nonluoghi’. […] La carne ha subito tagli. La sua poesia non è morta.”

Mùtilo interroga se stesso e la poesia, la scrittura nel suo insieme. Il monologo di Marco Vetrugno arriva dopo le raccolte “Poetico delirio” (2012), “Organismi cedevoli” (2014), “I versi del panopticon” (2014), “Le mie ultime difese” (2015) e “Proiettili di-versi” (2016), delle quali hanno scritto Giorgio Bàrberi Squarotti (“…il suo discorso robusto e violento, drammatico ed eversivo”), Mauro Marino (“una tensione del corpo interamente destinale”), Fabio Simonelli (“trasformare il dolore in bellezza”, su Poesia); Enzo Mansueto, sul Corriere del Mezzogiorno, a proposito dei versi de “Le mie ultime difese” ha scritto: “Le strofe […] registrano, come la traccia di un sismografo, gli spasmi di un Io presente, troppo presente, al centro della scena, con le sue sofferenze”.
È giunta l’ora di fare ingresso nel centro di quella scena.

Sempre Alfonso Guida: “Non è la malattia. Scrivere, per Mùtilo, è la necessità. Scrivere è un atto di fuga. Scrivere non basta. Non può redimere. Scrivere è di chi sa che porrà fine. La scrittura si chiude con un punto. È una sensazione di non-vittoria. Ma non-vittoria su cosa? Sulle “voci”? Sulla società che reclude ed è induzione al suicidio, se è vero che l’uomo vive tra i suoi simili e i rapporti di umanità lì si innescano. Mùtilo è dei nostri giorni e di ogni giorno. Mùtilo mette in guardia. La scrittura è celebrata come la veglia antifonaria del Qoelet: Vanitas Vanitatum.”

“…Assumi questo dolore su di te,/ e mostralo al mondo/ sconcio/ e nudo così com’è”: chiude il volume una lettera poetica dell’attrice Lea Barletti (www.barlettiwaas.eu), dal titolo, “Nasceranno altre spine”, rivolta all’attore che metterà in scena Mùtilo.

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In copertina: Prediger (1913), di Egon Schiele

Con:
– “Da dietro le quinte”, di Alfonso Guida
– “Nasceranno altre spine” (Lettera in versi all’attore che interpreterà Mùtilo), di Lea Barletti

Mùtilo, Marco Vetrugno, Musicaos Editore, Fablet 7, pp. 72, €8, isbn 9788899315740

Musicaos Editore

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