Le quattro stagioni iraniane, Ghazi Rabihavi, Narrativa, 42


La guerra, l’emarginazione, la violenza, l’odio, la censura, sono temi che rendono purtroppo sempre tristemente attuali questi racconti, in pagine che tuttavia sono percorse da un grande anelito di speranza, poesia, amore, stupore, coraggio, da personaggi che non smarriscono la propria umanità e la capacità di provare sentimenti, nel mezzo di una rivoluzione, vivendo come fuggiaschi o reclusi nel proprio paese, sorvegliati, guardati a vista, pedinati, passibili di martirio o esecuzione capitale. Queste storie sembrano intrecciarsi, con tratti comuni che ritornano, nel desiderio di vivere la propria esistenza liberamente, in particolare per quanto concerne la condizione delle protagoniste femminili in rapporto ai mutamenti occorsi in Iran. La vita e la morte qui si incrociano, spesso il corpo dei morti e quello dei vivi si equivale, come quello del martire che giace insepolto, tra il fango e il suo stesso sangue, o quello dell’anziano che vuole farsi seppellire in un cimitero proibito, vicino alla moglie, mettendo a repentaglio la vita dei suoi figli che vogliono rispettare quest’ultima volontà. Insieme al realismo più crudo nei confronti di fatti che non avrebbero avuto una loro narrazione altrimenti, si mescola uno sguardo ironico e consapevole sulla censura e sulla libertà di espressione.

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Alla Rivoluzione Islamica seguì la Rivoluzione Culturale, in cui svolgono i fatti del racconto che dà il titolo alla raccolta, «Le quattro stagioni iraniane»; qui si racconta un distacco, il freddo e l’incuria divengono emblematici dell’isolamento e della solitudine, a seguito delle vicende in cui gli studenti provarono a entrare nelle università chiuse dal nuovo regime.

«Luci fatate» racconta la vicenda di una prostituta, con specularità narrativa del lavoro fotografico di Kaveh Golestan, che nel 1979, prima della Rivoluzione Islamica realizzò i noti scatti che ritraevano proprio delle prostitute. «Lady Rose» racconta una realtà analoga, nel racconto precedente si pone l’accento sul desiderio di riscatto, nel secondo sul delirio del tradimento, dal punto di vista di un uomo che vive nell’ossessione di una donna

«Pietra bianca» è il racconto crudo di un’esecuzione che ci viene presentata nella sua normalità, come episodio separato, vissuto ai margini della comunità, uno spettacolo al quale anche i bambini – ma non le donne – possono assistere, insieme a un fotografo col suo set allestito sotto una neve che accenna a cadere. È proprio la neve che si scioglie appena tocca terra a conferire un’atmosfera irreale alla scena.

L’irrealtà, la poesia della dimensione onirica, in «Flame», si trasfigurano a partire da un evento storico preciso, il colpo di stato del 19 agosto 1953, con le sue ripercussioni nel tempo, il ricordo qui riesce a evocare l’immortalità.

«Hedjleh» racconta l’orrore del martirio che diviene quotidianità, senza pace per chi combatte, subendo un doppio scempio, del corpo e della memoria, come accade in «Io sono Bahai».

La censura e il carcere, vissuti in prima persona, costituiscono una testimonianza cruciale, un monito. «David» e «C’era una volta» rappresentano i paradossi della censura, ridotti ai minimi termini, in questi racconti viene descritta la concretezza di un dominio totale, ambizioso, che si è realizzato nell’arrestare le parole, e non solo, prima che possano esprimere gli ideali.

Il regista vincitore del premio Nobel per la letteratura nel 2005, Harold Pinter, ha scritto di queste storie: «Strong and powerful», per sintetizzare questi racconti di Ghazi Rabihavi, del quale il grande drammaturgo è stato a sua volta attore e produttore.

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GHAZI RABIHAVI. Scrittore, drammaturgo e regista iraniano, Ghazi Rabihavi nasce ad Abadan (Iran) nel 1956. Durante la Rivoluzione di Khomeini si trasferisce a Teheran dove lavora come giornalista e dove collabora con Manoocher Deghati e Kaveh Golestan. Nel 1980 pubblica il romanzo Diario di un soldato, motivo per cui viene arrestato e condannato a morte. Gli otto mesi trascorsi in carcere gli costeranno l’interdizione dall’Associazione degli Scrittori Iraniani e gli consentiranno di pubblicare solo collettivamente il romanzo successivo Hoffreh. Si dedica, quindi, alla drammaturgia e al cinema lavorando, tra gli altri, con il cineasta Ebrahim Golestan. Nel 1994 viene interdetto dalla pubblicazione di qualsivoglia opera e va in esilio a Londra, dove attualmente vive e lavora. Tra le numerose produzioni teatrali ricordiamo Look Europe!, messo in scena a Londra, New York ed Amsterdam e prodotto da Harold Pinter che vi prende parte. Nel 2009, Rabihavi si oppone alla proposta di istituire in Gran Bretagna le Shari’a Courts (un tentativo di far penetrare la legge islamica nei tribunali britannici per le questioni inerenti il diritto di famiglia) e mette in scena The Masculine Law, opera composta da venti brevi episodi che descrivono gli effetti di tale legislazione sui diritti delle donne. Il suo ultimo romanzo The Boys of Love, riguardante la tematica dell’omosessualità, è stato tradotto e pubblicato in Francia, in Germania e in Egitto, ma è ancora censurato in Iran.

Le quattro stagioni iraniane, Ghazi Rabihavi

Musicaos Editore, Collana Narrativa, 42, a cura di Benedetta Pati, traduzione dall’inglese di Benedetta Pati, pagine 104, formato 12,7×20,3 cm, ISBN 9791280202697, prezzo €15,00

foto dell’autore ©Claudio Longo
foto in copertina ©Kaveh Golestan

(in distribuzione dal 10 maggio 2024)

Musicaos Editore