Le inquietudini della luna, Giuseppe Goisis, Balbec, 3


«Le inquietudini della luna» raccoglie dieci racconti di vita ordinaria. L’inquietudine cui Giuseppe Goisis si riferisce, non da intendersi in senso dispregiativo, è sì una mancanza di rifugio e riposo, una sospensione emotiva che non permette mai di atterrare planando, ma è anche una leva al fare, a essere curiosi, al non assoggettarsi, alla non acquiescenza. È avere passione, morire di ciò che si ama: il destino migliore da augurare a chiunque. Di tutto ciò sono espressione precisa il ritmo irrequieto della scrittura e ogni forma che la lingua assume nei racconti, scritti in un arco temporale assai ampio (30 anni), ogni personaggio e ognuna delle vicende narrate. La luna, dal canto suo, non è soltanto spettatrice pacifica. In ciascun racconto partecipa dell’inquietudine che essa stessa illumina. È protagonista. È letteralmente coinvolta nell’azione, fino al punto di rischiare d’essere strappata via dal cielo in cui risiede. Il “messaggio” che dal libro si può evincere è che nell’esistenza di ognuno ci sono pertugi di luce e possibilità di riscatto, per quanto spesso perigliosi da conquistare. Nessun disfattismo e nessuna cupezza prevalgono. Sempre rimangono occasioni di bellezza.

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«Inizio Fine» è un quasi-flusso-di-coscienza, un procedere a ritmo estenuante di pensieri e gesti, dove tutto ciò che sta fuori e tutto ciò che sta dentro il protagonista infrangono ogni requie: sintomi, statuine mozzate, brandy, elenchi, tuoni, desideri, negozi, ricordi, litigi, fino a sfiorare la morte, a una pistola sotto un sasso, in campagna, appena fuori paese, fino a che la voce della figlia stacca la presa dell’ansia, lo rallenta, lo ferma, lo cambia. Chissà per quanto.

«Pantaloni alla zuava» è l’incontro surreale, a tratti letteralmente grottesco, fra un vecchio malato e il nipote David che vive ai margini, in una stamberga sul fiume. Nei loro incontri, sofferenze che trovano per miracolo una fenditura per parlarsi, l’inquietudine e le rabbie del giovane che dialogano con chi sta ormai in bilico, sul punto d’andarsene, mite e rassegnato. E la morte, ancora, negli appunti di un taccuino di anni e nella realtà tragica degli eventi contingenti.

«Alfòr» è il trionfo del caso. È la storia di un uomo che attraversa l’intera propria esistenza, ricostruita dalla nascita e proiettata fino a un ipotetico 2036, sotto il dominio delle coincidenze. Ogni passaggio cruciale della vita è determinato da combinazioni estranee alla sua volontà. E nell’incapacità di affrontare le inquietudini e il dolore, Alfòr oppone piccoli gesti, piccole abitudini: osservare formiche, imitare di nascosto l’andatura stramba delle persone, evitare il contorno delle piastrelle. Di nascosto, scrivere favole.

«Rinunce», come Alfòr, racconta episodi di anti-eroismo. Sei brevi vicende, che dissolvono una nell’altra, nelle quali i protagonisti compiono a fatica e con inquietudine estrema atti di rinuncia. Resistono al piacere del sesso facile, alla vendetta umiliante, a soldi mal guadagnati, alla fama del successo, a continuare a combattere, alla speranza che la realtà possa essere diversa, un giorno.

«La gioia nel buio» è la testimonianza di una mamma che accompagna con angoscia crescente la propria bimba, Maria, da una cura a un’altra, da un intervento a un altro, da un ospedale a un altro, e che trova pochi, minuscoli spiragli di gioia luminosa nel buio di un vicolo, sotto la pioggia, nel vento, accompagnando sottobraccio una persona cara incontrata al bar, capace di ascoltare.

«Il giorno dei no» narra di come, in un’unità di tempo ben definita (un giorno, da mattino a sera), al protagonista capiti di pronunciare 3 no decisivi rispetto alla propria esistenza, che viene in tal modo ribaltata. Tre decisioni assunte con inquietudine estrema, che per la prima volta non viene soffocata, ma prorompe ed esita nel contrapporsi radicale al flusso delle cose in corso. Cambierà casa, lavoro e compagna, la bella Paola.

«Batticuore» ha l’inquietudine nel titolo stesso. È infatti il batticuore di un bambino (10 anni) che vive per le strade di Dacca, capitale del Bangladesh. Una vicenda umana terribile di sfruttamento, prostituzione, accattonaggio, violenza. Il batticuore però non deriva a Iqmir da ciò, bensì dalla paura per un’interrogazione alla casa del porto, dove il maestro di un’organizzazione umanitaria gli ha insegnato a leggere e a scrivere, e ora pretende addirittura debba conoscere sia la storia della nazione sia i luoghi importanti della città, come li saprebbe descrivere una guida turistica. Un’interrogazione doppia senza neppure il tempo di studiare…

«Tre giorni a Manguinhos» narra della missione in una favela di Rio de Janeiro di una ONG italiana. Tre giorni vissuti attraversando un mondo letteralmente a parte, separato da pali conficcati nel terreno che impediscono a chiunque di entrare. Un mondo violento, un gruppo di persone che cercano coraggiosamente di affrontare ogni durezza e proporre umanità. Lo sguardo sofferto e inquieto che narra e che entra nel mondo-favela è uno sguardo che riconosce, innanzitutto, la propria estraneità.

«Wolof», uno dei linguaggi parlati in Senegal, è una piccola vicenda nella grande vicenda migratoria. Un episodio da niente, che rasenta il ridicolo ma pure l’inquietudine e la morte, intrecciando due linee del tempo. Finisce bene, per qualcuno, una volta tanto.

Anche «Il Manneken Pis», infine, è il racconto di pochi secondi, oscillando sul cornicione di un grattacielo, intrecciati ai ricordi di trenta anni prima, quando tutto era diverso, ma l’oscillazione restava fondamentalmente la stessa. La figura che dal cornicione cerca di strappare dal cielo la luna è simile al simbolo di Bruxelles, il bambino che fa la pipì.

“Le inquietudini della luna”, Giuseppe Goisis (Musicaos Editore, Balbec, 3)
foto dell’autore Elio Matcovich
formato 12,7×20,3 cm, pagine 176 prezzo 20,00 euro, ISBN 9791280202932

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