“Re Kappa” su Coolclub


L’inquietante mondo pop di Re Kappa
di Stefano Donno

Se di esordio dobbiamo parlare, in questo caso occorre andarci con i piedi di piombo, perché Luciano Pagano, l’autore di “Re Kappa” edito dalla Besa editrice, con la scrittura ha un rapporto di osmosi pulsionale portato avanti da anni con metodo e rigore. Non solo ha prodotto interventi di carattere poetico, ma anche sul piano della saggistica ( facciamo riferimento, tra quelli più recenti, al suo intervento nel libro “La transe dell’artista” a cura di Vincenzo Ampolo e Luisella Carretta con la prefazione di Georges Lapassade per i tipi di Campanotto Editore) e della critica letteraria sia come redattore della rivista “Tabula Rasa” sia come direttore del sito http://www.musicaos.it., ma anche in altre prestigiose sedi cartacee e on-line. E “Re Kappa” rappresenta un’operazione editoriale coraggiosa sia dal punto di vista linguistico, con un procedere periodale fortemente pausativo, secco e incalzante, sia per ciò che concerne strettamente l’intera architettura della trama. Se qualcuno volesse ad esempio trascorrere un po’ del suo tempo a cercare di trovare un editing diverso al testo in esame in questa sede, o riflettere su altre possibilità testuali ed extra/para-testuali, magari eliminando o aggiungendo questo o quel dato periodo, una frase o una parola, si accorgerebbe subito che l’intera impalcatura crollerebbe, non per debolezza o inconsistenza, ma per simmetria bilanciatissima da intendersi more geometrico. “Re Kappa”, romanzo di Luciano Pagano, di cui si parlerà molto in futuro, non analizza tanto la realtà editoriale salentina, che è pur presente nella storia ma si capisce che è solo un pre-testo, quanto il vivere una determinata realtà ( non importa se centro o periferia) sincopata, quasi claustrofobica, ricca di personaggi grotteschi, carichi di un’umanità velenosa, attraverso le relazioni esistenti tra tre personaggi chiave: l’io narrante, un giovane scrittore alle prese febbrili con il suo percorso di ricerca, Gastone Gallo, editore inquieto, sempre con nuove idee da condividere con maniacale dovizia di particolari ai suoi collaboratori, e Michel Benoit, un critico di origini francesi, un imbroglione, un – per utilizzare un’espressione di Pagano a me cara anche se non puntualmente riferibile al personaggio in questione – batonga di una dimensione culturale d’avanspettacolo. E Benoit viene descritto dal nostro autore in maniera brillante, con grande stile, mettendo in luce le zone d’ombra di un personaggio degno di essere chiamato “losco figuro”, un critico che non ha mai fatto pubblicazioni degne di portare questo nome. Il suo unico merito, forse, è quello di avere nelle sue grinfie, il manoscritto leggendario “Volonté du roi Krogold” di Louis-Ferdinand Céline, testo di oltre novecento pagine sul quale l’autore di “Viaggio al termine della notte” lavorò per molti anni, senza che lo stesso potesse mai veder la luce, in quanto trafugato da mani maialesche, strumenti per l’occasione, di una volontà carica di livore nei confronti di un genio come Celine in grado di produrre un’opera d’arte come “La volontà del Re Krogold”. Ad ogni modo Pagano rende in punta di penna, un mondo cancrenoso e canceroso, in cui Benoit, rimandando continuamente la consegna dell’edizione critica del manoscritto in questione, tiene in paranoico stand-by l’editore Gallo, facendosi elargire gustose somme di denaro per organizzare i suoi Festival di Poesia da cartolina nel Salento. L’odio profondo del protagonista nonché il desiderio di poter avere un rapporto onesto, sano e collaborativo con il suo editore, lo spingono a compiere l’impensabile. Un gesto che sa di grande valore prometeico. E sarà proprio la ricerca del manoscritto misterioso a far compiere alla narrazione la sua fuga verso un insolito ma affascinante finale, tutto da godere. Pagano utilizza il romanzo per descrivere le meccaniche sociali, quelle della realtà di ogni giorno, con occhi che sanno guardare al buio, che sanno vedere spettrograficamente quello che sta prima di tutto questo. Ne viene fuori una narrazione metaletteraria, un monologo che ha una voce senza filtri, e che possiede la forza del desiderio, anzi di un unico desiderio … quello trans-letterario, meta-etico, meta-pop, della verità a ogni costo.
Re Kappa – dice Elisabetta Liguori in suo intervento critico al volume di Pagano – è un lavoro che comincia proprio quando la letteratura contemporanea italiana sembrerebbe fermarsi. “Pagano in via preliminare tratteggia il suo ambiente: l’inquietante mondo pop delle lettere salentine. Ambiente del quale intravede strani bagliori alla fine del canale attraverso il quale è costretto a strisciare per arrivare a vedere alla luce. Ma inquietante perché?! Certo a qualcuno verrebbe di chiamare l’autore, di disturbarlo al suo cellulare, o di scrivergli una mail, perché si sentirebbe coinvolto in prima persona (quanti scheletri nell’armadio e quanti fantasmi in giro!!!) , quasi offeso da qualche improbabile denuncia allo stato delle lettere e della critica … solo Salentina? E questo qualcuno, vorrebbe addirittura farsi scappare “… ma ti riferivi a me, quando scrivevi …?”, vorrebbe che “Re Kappa” non fosse sul mercato, per sfuggire a questa voce forte e feroce di denuncia contro qualsivoglia malcostume letterario. Forse perché a sfogliare le pagine del lavoro di Pagano, ci si sente come scossi da una scarica elettrica, come se sorgesse repentino un imperativo categorico che spinge a dedicarsi alla parola, al suo modo d’incedere tra le righe, nel costituirsi fulmineo dei periodi. Ma “Re Kappa” è questo e molto di più! Forse bisognerebbe ri-pensarlo nella sua totalità. O forse basterebbe leggerlo, e ri-leggerlo, per non dimenticare nemmeno una virgola di tutte queste parole scritte col sangue.

Da Coolclub.it (anno IV, numero 37, maggio 2007)