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Il nome della città.


Il nome della città, Lecce. La città al momento sembra rivestire un ruolo marginale all’inizio di questa storia. Marginali a loro volta saranno i ruoli ricoperti dalle varie figure che, in successione, occuperanno come metafore l’inizio di questo racconto. Lettore, devo ammetterlo, fin qui sei stato buono davvero, così buono che ti posso risparmiare secoli e secoli di giri con motociclette e macchine verso lidi stanchi e noiosi in situazioni e scenari fotocopiati dove il taglio delle figure è identico e il massimo che può permettersi il giovane è bere qualche birra in un bar vicino al mare mentre le zanzare ronzano attorno ai lampioni e tra mezz’ora circa sta per accadere qualcosa che cambierà la vita a tutti quanti, un motorino si ferma all’angolo, uno di noi si avvicina, scambio rituale di euro, adesso possiamo andare al concerto. Ed eccomi adesso, domenica mattina in macelleria, il sole meschino riaffacciarsi per prendere il sudore fin dentro le ossa, astro meschino e immobile. Questa mia allucinazione rimaneva nelle orbite della normalità. Mi ricordavo del periodo in cui avevo sospeso il giudizio e non scrivevo, grande periodo pensavo, pensavo, pensavo. Parlavo poco e scrivevo punto. Lettore mio, non ci crederesti, ero un ragazzetto d’azione. Oggi è paurosa la normalità di questi cani randagi che aspettano di ingollare sotto al sole le fettine semiputride che ho acquistato. Appena uscito mi sembrò quasi di volare, di librarmi nel cielo. Della mia città apprezzo lo stile che mi manca, non il sole che invece mi uccide. Difficile per i suoi raggi toccarmi nello stile. Nessuno dei miei amici mi ha mai condonato l’amore per la pioggia. Posso coprirmi, quando piove. Posso nascondermi, se c’è freddo. Quando fa caldissimo vorrei spellarmi e non posso. Ne risulta un’influenza dello stile. Quella che chiamo un’influenza debole. Chi legge non ci crede. Ma chi legge non crede mai. Se ne sta seduto perché è certificato che leggere in movimento è cosa complicata, grave, solenne, come librarsi nel cielo. Qui non si tratta di lettura. La carenza di stile io la vivo come un dramma, a maggior ragione semmai uno stile c’è stato. È difficile dirlo.