La soluzione? Tirare fuori le p***e


umbertobossi

Nonostante tutta la disinvoltura cui mi sono abituato mi riesce difficile scriverlo. Ma in fondo, forse, ci ha ragione Colaninno. “Tirare fuori le palle” è l’unica cosa che resta al PD per dimostrare a se stesso di avere ancora un’anima. Già, tirare fuori le palle. Ecco la lezione da imparare e mettere in pratica. Proprio così: “tirare fuori le palle”.

“È il ministro dello Sviluppo economico del governo ombra del Pd Matteo Colaninno ad abbandonare uno stile di solito compassato per usarne un molto più colorito quando esorta i delegati dell’Assemblea nazionale del Pd affrontare la crisi con determinazione e a mostrare un profilo combattivo”.

Insomma, TIRARE FUORI LE PALLE, un po’ per sopravvivere, un po’ per non morire. Un po’ per non essere sconfitti e, soprattutto, per somigliare ai vincitori. “Tirare fuori le palle”, bello slogan, da chi lo hanno preso? Fin troppo facile. Dalla LEGA.

Nonsense economico riduzionista.


silvioberlusconi

Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, ha dichiarato che le banche potrebbero essere nazionalizzate.[La nazionalizzazione delle banche per mantenere i livelli di credito “e’ soltanto per ora una ipotesi” ore 16.57 di ieri, al termine della conferenza con Gordon Brown, sole24ore] Ma non quelle italiane. Ovvero. Il presidente del consiglio di uno stato europeo per uscire dalla crisi suggerisce di nazionalizzare le banche ai suoi colleghi ministri dell’economia degli altri paesi europei. Le banche italiane, infatti, sono sane. Oggi un’azione dell’Unicredit costa 0,90 centesimi. Meno del prezzo del giornale dove si annuncia che il presidente Silvio Berlusconi sostiene che le banche italiane sono sane e che le banche degli altri andrebbero (in ipotesi) nazionalizzate.

Io ti ho v****o. Tu cosa hai fatto?


veltroni

Io ti ho v****o. Tu cosa hai fatto? Cosa hai fatto quando negli anni novanta il Cavaliere, nonostante tutto, prendeva piede e consenso entrando dalla porta (a porta) di casa, direttamente dal video? È evidente che un errore c’è stato. Provo a risalire il fiume e considerarmi, in piena umiltà, parte di questo errore sotto forma di elettore. Dovevo fare di più? Nella misura in cui appartenente a una base stranominata e arcinota dovevo fare più girotondi? Dovevo scendere in piazza anche quando era vuota? Dovevo firmare più appelli? Dovevo abbonarmi di più? Ho fatto quello che potevo e ce l’ho messa tutta. Ho studiato prima, ho lavorato poi, ho v****o sempre. E tu, con i miei ultimi voti, cosa hai fatto? Cosa è cambiato? Stamattina ho letto un articolo sulla stampa di Lucia Annunziata. Come non darle ragione. Cito mettendo qualche neretto:

“Più che desiderio di ricucire, quel «no» è apparso come un desiderio di guadagnare tempo. La discussione infatti si è rapidamente orientata non sul merito, ma sul calendario. Quel calendario che è la gabbia mentale e fisica di questa politica oggi: elezioni a giugno, cda Rai da nominare forse già domani, tesseramento in ritardo, testamento biologico da approvare. Pareva di veder passare negli occhi di molti dei presenti lo scorrere di questa agenda. Il Pd da mesi non fa altro che navigare così, da un appuntamento istituzionale all’altro, vedendo in ognuno l’occasione di piccole sconfitte e vittorie: un processo che ormai da anni, fra scadenze parlamentari e urne, ha sostituito per questo partito il percorso appassionato e visionario della strategia politica.”

Mentre il Cavaliere naviga da un processo all’altro ecco che il PD è ingabbiato nel calendario, nella burocrazia, nella più completa distanza tra sé e le persone che lo hanno votato. Che tristezza. Cosa dovevo fare? Dovevo essere più presente? Dovevo fare più passaparola? Se c’era qualcuno che i voti li comprava e li vendeva, cosa deprecabile, vuol dire che i voti avevano un valore. Oggi temo di avere creduto nel vuoto anziché nel voto. Organizzate i vostri cocci ragazzi. Fatelo in un’osteria in, davanti a un menù chic, dopo avere visto l’ultimo film cool, che è così cool da piacere a destra e a sinistra. Già. Destra e sinistra. Non c’è più differenza. La differenza non è in parlamento. La differenza non è rappresentata. La differenza è così delusa da non andare nemmeno alle urne. Che tristessa.

È ora che la soluzione venga da voi. Anche se in questi anni ci avete insegnato di non essere in grado di congetturare una soluzione. Prima di costringerci a cercare le vostre tracce residue nei manuali di filosofia scolastica, tipo “Le cinque prove dell’esistenza della sinistra”. Altrimenti inchiodati alle vostre responsabilità non avrete più di elettori disposti a sentirsi in colpa per i vostri errori.

Staccare la spina.


dog

Imperial bedroom“, il titolo di un album di Elvis Costello che dovrebbe dare il titolo al romanzo a cui sta lavorando Bret Easton Ellis. Si tratta del seguito di “Meno di zero”, il suo primo romanzo, che dovrebbe uscire nel 2010. L’album che da il titolo al libro è lo stesso che contiene la canzone intitolata “Almost Blue”, del 1982. Da non confondere con l’omonimo album uscito nel 1981. Nel frattempo in Italia, da qualche settimana, al lunedì, un gruppo di ragazzini scalmanati e senza barba stupra una ragazzina, una qualsiasi. Al mercoledì è il turno di uno o più extracomunitari, che stuprano una donna o una bimba. Al sabato è l’ora degli scalmanati ragazzini che decidono di dare fuoco a qualche extracomunitario. Per ritorsione, al lunedì successivo, è l’ora di un rom che decide di dare fuoco a uno scalmanato prima che questo cominci a stuprare una ragazzina. E così finché accade e nessuno fa qualcosa perché finisca, a meno che nei paraggi non incominci un G7 o G8 o, come dice Berlusconi, un G7 che tecnicamente è un G8.
Detto ciò si potrebbe anche staccare la spina. Se non fosse che nel nostro paese c’è qualcuno che ti rompe le palle anche quando vuoi staccare una spina.

Finalmente.


dobermann

Nel marzo del 2009 Mondadori pubblicherà “Canti del caos” di Antonio Moresco. Dopo la pubblicazione della prima parte (Feltrinelli, 2001), e della seconda (Rizzoli, 2003), finalmente potremo leggere la terza e ultima (?) parte di questo capolavoro. Il libro di uno che si è messo in testa di scrivere un capolavoro e ci è riuscito. Finalmente è un avverbio giustificato anche dal fatto che le edizioni precedenti sono al momento di difficile reperibilità, quindi molti lettori che hanno sentito parlare di quest’opera senza averla letta potranno approfittarne. Ma perché questo libro mi piace (non dico “è bello”, dico “mi piace”)? Anzitutto perché la prosa di Moresco è dotata di un ritmo e di una pervasività cerebrale incredibili. Non è facile leggere una pagina dei “Canti del caos” e non rimanere colpiti dalla densità specifica di mondo che Moresco mette nell’opera. L’altra cosa che mi ha sempre colpito di questo testo è la pressocché istantanea sospensione della realtà e la sua trasformazione in realtà magica, malleabile, manipolabile. Il mondo entra in questo romanzo senza che faccia il suo ingresso la contemporaneità. Ecco perché questo libro riesce a proiettarsi in una dimensione temporale che salta il fosso e diviene letteratura. Il fatto letterario, la letterarietà, la moltiplicazione delle immagini, la frammentazione che diviene unitarietà della trama; il motivo per cui consiglio la lettura di questo libro è che i “Canti del caos” è un classico. Da ciò l’attesa per una terza e conclusiva parte che spero raggiunga gli stessi livelli di espressione poetica.