Michelangelo Zizzi, lettura critica di “Altissima miseria” (Musicaos Editore) di Claudia Di Palma


Michelangelo Zizzi, lettura critica di “Altissima miseria” (Musicaos Editore) di Claudia Di Palma

Leggo ed è come stare sul crinale di un abisso, in una pittografia dell’ottocento romantico, contemplando un paesaggio postumo e in disuso, avvinghiato alla nostalgia, per quante altre volte ci siano spirali antecedenti (all’esserci stesso), silenziose volute di poesia classica, o neoclassica, ma riviste nelle forme della tacitazione e del trionfo dell’assenza.

Ma poi questo libro iconoclasta (per varia rarefazione delle immagini di corporeità o di impressione sensoriale) nella stesura e nella percezione della storia poematica che il lettore vi ricompone a leggerlo, è anche un libro iconico anche se iconico paradossalmente. Perché è vero che le topografie, gli indici, le prossimità alla specificità della materia, alle sue aporie percettive sono quasi assenti, ma più che presente è la condizione dell’impressione dell’assenza, che, ‘a contrario’, ricompone e perfettamente il luogo sigillato dall’essere vissuti e quello dell’aspirazione a voler vivere; cosa non lontana da una fenomenologia del sentimento, ma data senza ossequi, leziosità, vizi di smanceria.

Cosa non lontana dalla ricomposizione di un cosmo: fatto di topografie, di indici, tassonomie, stati e specificatamente materico.

Claudia Di Palma al suo esordio sembra già matura, dotata di una voce evocante e certa, che soppiantando un fare facile della poesia, preferisce infiltrarsi nell’interstizio ora doloroso, ora leggero, che si insinua tra vuoto e pienezza.

Altissima miseria” è il libro ghiacciato sulla condizione di ritorno di una genealogia della morale (non Nietzschiana), ma rivista sotto il profilo anagrafico e discontinuamente storico.

Anche senza prospettiva ricognitiva, tipo anamnesi platonica o racconto di Ricoeur, è perfetta nozione di un sé isolato e possente, consapevole del fatto di mortalità, del fatto di desiderio e urgenza del sentimento e del fatto di narrarsi.

Ma questa fenomenologia del sentimento data per contrappasso e per negazione è rivendicazione di un’affettività ontologica e prebiografica [Michaelstader], di una richiesta compensativa, ma tirata sull’orlo della sapienza che in origine illetterata si ricondensa nell’espressione poematica. Per tutto ciò basti siglare il lemma ‘autenticità’. Del resto la rinuncia all’orpello, alla magnificenza, ci sembra più un fatto di indole, che di possibilità.

Perché questo è il libro della citazione dell’assenza.

E alla magrezza dell’espressione (intendo magrezza, contrariamente agli episodi di splendida poesia fagica, tipo Pound, Zanzotto o Thomas, fatti di virulenza metaforica e fagocitosi parimenti metaforica) la Di Palma, risponde con un prosciugamento meditativo, non troppo distante da altri illustri esempi (Dikinson, Anedda,certa poesia ermetica di meditazione senza oggetto, tipo Betocchi, De Angelis). Così “Altissima miseria” è il libro primo di una ricerca dell’ossatura, della struttura minerale, dell’algoritmo sedimentato e anteriore al prospetto posteriore della vita qui ed ora. Del resto concordo con la prefazione di Canzian, quando parla di tensione mistica o di ricerca ontologica. Aggiungerei, se non è stato già accennato che trattasi di teologia negativa, per dirla con i mistici medievali.

Il ritmo, persino, che pare un fantasma languente e svanente, si distilla nella condizione pulsatiile e cardiaca del narrare l’assenza. A leggere il poemetto ci si accorge di un ritmo che esula la scoria di eccesso del ritmo stesso, che è data (come dicono i formalisti, gli strutturalisti) dall’abbondanza di risonanze, assonanze, onomatopee, e metrica; perché esso è distillato nell’autoauscultazione dell’essere sé e soli.

È propriamente il ritmo di una biologia sognante e prossima all’evanescenza, come al suo contrario, che è la carenatura, la carne, l’esserci, la decisione, la volontà di vivere.

Michelangelo Zizzi · Fucine Letterarie · www.fucineletterarie.com

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