Su «Le giravolte» di Lorenzo Antonazzo, di Monica Rollo


«Le giravolte» di Lorenzo Antonazzo, pubblicato da Musicaos a settembre 2022, si presenta subito come un mosaico di storie.

Attraverso frammenti di prosa seguiamo discontinuamente le vicende di uomini e donne che vagano in una Lecce, città fatta di specchi, che non dona risposte ma riflette le proprie inquietudini.

Ad emergere è la deriva di una generazione, quella degli anni ’80. I personaggi principali, superati i trent’anni combattono giorno per giorno con lo smarrimento, la mancanza di una strada tracciata e di risposte adeguate a domande che aumentano ogni giorno.

I rimpianti e le invidie di Benny su Facebook; Gianluca alla ricerca delle sue origini; Davide in fuga dal suo passato; Edo e un lavoro che non si è scelto, gli è capitato; Melissa sempre in movimento per non pensare. E molti altri personaggi le cui storie si intrecciano e si confondono come i vicoli delle Giravolte. Unico punto fermo è il «Kismet», “destino” in turco, il bar gestito da Camilla e Fiorenzo, dove le storie confluiscono.

La prosa è lucida ma anche elegante e descrittiva, una terza persona che disseziona i pensieri e gli stati d’animo dei personaggi. Tra un frammento e l’altro si inseriscono dei brevi componimenti poetici, isole di respiro e contemplazione nella ricchezza della narrazione. Sono analisi e sintesi della prosa, scompongono e agglomerano i significati per ampliarli, quasi ci si trovasse davanti ad un moderno prosimetro.

«Le giravolte» si pone dunque come un’opera intrinsecamente plurale, raccontata attraverso molti punti di vista.

Molteplici sono anche i luoghi: l’interno accogliente e parentale del «Kismet», quello soffocante dello scantinato di Benny; gli esterni del centro storico, delle coste e delle spiagge; ma anche il continuo spettro della partenza per il nord.

E molteplice è il tempo, nella rottura di tutte le unità aristoteliche, si avverte una linea sfocata, nascosta dalla superficie della vita, ma inequivocabilmente esistente, che separa ciò che si era da ciò che si è. Ammesso che si possa essere qualcosa di integro nel momento in cui è lo specchio stesso dell’identità ad andare in frantumi.

Quiete, notte fonda. I frammenti di me tacciono, contemplano sdraiati il brusio delle stelle. Siamo soli, non vociano, al momento non c’è alcuna maschera da innalzare a nostra difesa. Non c’è affanno in quest’ora breve, poiché la sera è già trascorsa e il domani tarda ancora.

Un giorno finalmente
la tazza che hai lasciato cadere
Tornerà a colmarsi
Di significato,
Quando ne scorgerai i frammenti
In frangenti del tutto inattesi,
Mosaico che un’altra mano ha composto,
Ragnatela di oro colato
Che rassomiglierai alle anse del senso.

E chiamerai artista
Lo sconosciuto autore
Finché non ti accorgerai
Che indossa una maschera
Di specchio in frantumi.

La generazione x, dei nati tra gli anni ’80 e ’90, si pone a cavallo tra il periodo di residuo ottimismo di fine secolo e la crisi crescente del nuovo millennio. I personaggi di Antonazzo vivono pienamente questo passaggio, già dal primo frammento si riconoscono due “tempi”: Angela riprende il nonno alla guida, il paesaggio scorre, è verde e lussureggiante, ricco di suoni; improvvisamente scompare in uno stacco repentino, il movimento si fa inverso, i rumori della natura sono sostituiti dal silenzio, il nonno non c’è più, al suo posto la solitudine.

La perdita dell’identità è centrale nel romanzo moderno fin dai primi del Novecento, si può dire che questa condizione risulti accentuata nell’io del ventunesimo secolo. Infinite possibilità di essere, apparire ed esprimersi risultano paralizzanti. Riflessi in migliaia di schermi, distratti da stimoli continui, intrappolati nell’ideologia della produttività, non solo non sappiamo rispondere alla domanda “chi sono?” ma non sappiamo neanche dove cercare.

Questa stessa parabola esistenziale si ritrova in altre opere d’arte contemporanee, i romanzi di Sally Rooney, o i film americani del «mumblecore», basati proprio su personaggi che nei loro trent’anni fanno fatica a trovare una strada e piuttosto che agire passano il tempo a “borbottare”.

In quasi vent’anni tutto il mondo è cambiato, i giovani di allora sono cresciuti, si sono sposati, hanno fatto figli, si sono lasciati, hanno cambiato città, amicizie, lavoro, mentre lui è rimasto in sostanza lo stesso, inespresso.
Senza lavoro, senza futuro.
[…]
E allora, a quanto pare, il ritorno di fiamma per la ragazza del liceo non è stato altro che il desiderio di una speranza: di essere ancora intatto, in grado di scegliere un percorso diverso, di sfogliare il ventaglio di tutte le sue potenzialità.

È dunque questa condizione esistenziale globale che in «Le giravolte» troviamo rovesciata in chiave locale. E se una risposta allo smarrimento può essere rintracciata, è il senso di appartenenza che lega ogni personaggio al Salento: “tutto quello che abbiamo davanti agli occhi e non smettiamo mai di interrogare”.

Arrivando alla considerazione finale di Benny, non si può non pensare che forse questa ricerca lunga trent’anni, di una direzione, di un’identità, non coinvolga solo la narrazione degli individui ma quella di un intero territorio. Citando un testo di Rina Durante ci si domanda se quella attuale sia l’evoluzione migliore per il luogo “in fondo a questa Puglia lunghissima”.

In questo atteggiamento da “provincia dell’impero” teniamo in così poco conto tutto ciò che è locale…
Viviamo nella frustrazione di ambire invano ai grandi palcoscenici, ai traguardi segnati per noi dalla pubblicità.
[…]
E mentre umiliamo la nostra piccolezza per sentirci grandi abbastanza, continuiamo a ignorare quale tesoro custodisca chi vive “con un’ostrica al posto del cuore”.

Il Sud è capillare, le conoscenze si ramificano e si intrecciano creando una rete. Eppure questi rami sono deboli, sottili come tela di ragno. A che cosa apparteniamo? Basterà la nostra fame a tenerci insieme?

Riusciremo a trovare il modo più personale e autentico per raccontarci? O ci adageremo nella vacuità degli stereotipi?

Non resta che continuare a segnare il tempo e il paesaggio, senza essere scalfiti dal vento, come i muretti a secco dell’ultima poesia, e sperare che il futuro sia clemente quando verrà a prenderci alle spalle, parafrasando uno degli ultimi frammenti.

Monica Rollo
(testo dall’intervento tenuto il 30 novembre 2022
in occasione della Rassegna «Letture prossime» a cura di UniSalento)

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