Stiamo finendo la raccolta e l’impaginazione dei materiali per il prossimo numero di Musicaos.it, in uscita nel mese di marzo (inviate i vostri materiali, interventi, racconti all’indirizzo musicaos[at]gmail.com), il numero 24 è stato scaricato 563 volte nel primo mese di pubblicazione, chi non lo avesse scaricato lo può trovare qui. Pubblico qui un estratto dall’ultimo numero, il mio racconto intitolato Harakiri.
Harakiri
Da Termini a Cornelia, oltrepassato il lago di Tiberiade. Uno spiazzo, un parcheggio, tre bianche Mercedes sterzate una di fianco all’altra disegnano uno spartiacque sghembo nel piazzale, dall’interno dell’auto più nuova viene una canzone smorzata, è Mile end dei Pulp. Davanti c’è il vuoto mentre dietro, appena a dieci metri, c’è il via vai di autobus che sciàmano nel parcheggio-stazione, sono le corse delle autolinee in arrivo dal Sud del paese, dalla Calabria, dalla Sicilia, dalla vicina Campania e dalla Puglia, scaricano migliaia di passeggeri ad ogni ora, arrivano qui prendendo meno di trenta euro a persona per un viaggio di sola andata, il sedere incollato contro il sedile, le ginocchia striminzite in pochi centimetri e una, al massimo due pause per scendere a pisciare approfittando della sosta in Autogrill, prendere un caffè che odora di polistirolo, lasciare cinquanta centesimi nel cestino di un inserviente che ci indica dove possiamo fare la pipì, uscire. Chiunque direbbe che queste corse sono pericolose e scomode, perfino un ex guardia giurata di trentadue anni in pensione anticipata come te. Gli autobus in alcuni tratti vicino Candela sfiorano i centosessanta chilometri orari in discesa, sorpassano le auto anche con la nebbia, un pericolo che si potrebbe evitare se non fosse che prendere un treno e arrivare dal Sud dei Sud a Milano costa almeno il doppio, per arrivare in aereo a Roma o Milano bisogna spendere centoventi euri e presentarsi ad un aeroporto alle sei del mattino, il che equivale a non dormire nella notte precedente per riuscire a prendere un autobus che da Brindisi porta a Bari in un’ora e mezza, merda. Davanti ai musi delle Mercedes freschi di autolavaggio ci sono una decina di ragazzotti che attendono. Sei arrivato qui grazie ad una email – una soffiata digitale – un circolo privato di Roma ha allestito la realizzazione di un film in Ungheria, a quanto pare tra le attrici c’è anche … … … … …, si parte oggi stesso, sono mesi che ti arrampichi sugli specchi di una vita finta, in un mondo che non conosci, un mese fa hai ricevuto un invito simile, non ti sentivi pronto per l’espatrio. Osservi gli altri, siete qui per lo stesso motivo, guadagno facile in poco tempo, azzardo, rischio, carriera, non riesci a capire se sono i costumisti che impongono la moda a ragazzi che vengono presentati come oggetti prodotti in serie, manichini che fanno da interno e riempiono il contorno di vestiti, vuoto con il buco intorno, oppure se sono loro, ragazzi come questi che vedi, simulatori di un comportamento da accattoni in arrivo dalle periferie del sud italia, sigle spettrali, 167a,b,xn. Vengono qui per trasmettersi in modo incosciente un’idea di stile ante video, jeans a vita bassa, vestiti di lino bianco o gessati blu, maglioncini di cotone con il collo a V, senza canotta, scarpe di pelle dorata o argentata, braccialetti di argento, anelli di acciaio. Guardi l’orologio, sei arrivato con un ritardo di due minuti, l’atmosfera che cogli è quella di qualcosa che è appena incominciato senza di te, “cocco, vié ‘qqua, nummero..:”, un energumeno abbronzato di fresco ti consegna un 8 scritto malamente su un post-it, devi portarlo sul petto. Fai la conta da sinistra verso destra, ti metti al terzultimo posto. “Ma nooo, noooo, e mèttete lì…ma chi ce l’ha mannato questo?“. Avevi contato da sinistra verso destra ma a quanto pare dovevi partire da destra, la voce rotta che ti intima di spostarti veniva da dentro una delle macchine. Un tizio vestito di nero, con occhiali scuri, esce dall’auto, la suola della sua Hogan nera aderisce all’asfalto come il piede di Amstrong sulla superficie della Luna. L’aria è tersa, nessuna nuvola in cielo, ogni respiro che dai è un respiro d’aria fresca, quando sei partito credevi che avresti trovato una Roma nebbiosa, non è stato così, è un giorno di primavera capitato per sbaglio nel mese di gennaio. Con Michela hai inventato una scusa, approfittando di una sua visita al dermatologo hai detto che dovevi partire per controllare una fornitura di marmo per il mese di marzo, da quando ti hanno licenziato Michela ti ha costretto a lavorare nella cava di tufo del padre. “Tu non puoi”. Salti sul posto, hai aspettato fino a questo momento senza riuscire a tradire il nervosismo, tu DEVI riuscire ad ottenere ciò per cui sei venuto fin qui, ti sei rotto i coglioni di sentire l’alito di Michela addosso, devi farcela, e questo è l’unico modo che sei riuscito ad escogitare per riuscire nella tua impresa di sganciarti da lei una volta per tutte, soldi, tanti, suuuuuu—-bi—–to. Cos’è che dà il permesso a Michela di dominarti e considerarti sempre al di sotto di lei? Cosa permette a Michela di imporre la sua volontà in ogni situazione, asservendoti come un maggiordomo a tavola, come un autista quando siete in auto e come un facchino quando siete alla stazione? Il denaro, nient’altro che quello. Michela è una che risparmia sul brodo, non ne puoi più. Ci giri attorno da mesi e alla fine hai raggiunto una conclusione, l’unico posto da lavoratore indipendente che ti offri prima di finire tra due lastre di travertino è quello di attore porno. “Tu non puoi”. Resisti ancora, dura poco, su giù su su, scoppi. “Perché no, ma cazzo, ho inviato tutto in tempo, le foto, il video, proprio tutto, cazzo, non potete farmi questo, io spacco…spacco tutto!”, non perdi mai le staffe, chi ti è amico non esita a dirtelo come se ciò costituisse una saliente nota del tuo carattere di cretino “non ti ho mai visto perdere la calma“. “Ce dispiace bono, semo completi“, crollo del cielo sopra il capo, ti viene in mente il cartello rosso con la scritta bianca che viene appeso sulle impalcature del cantiere “Personale al Completo“. “Ma come cazzo è? Come cazzo può essere, non potete farmi questo, mi sono fatto seicento chilometri, ho fatto anche una cazzo di doccia nel cesso della stazione, non (attendi 1 secondo) potete (2secondi) non (1secondo) prendermi (5secondi)”. “Invece sì cocco, sei HIV+”. (10secondi durante i quali il pianeta terra termina la sua orbita attorno al sole, sulla superficie di Plutone la temperatura si alza di tre gradi dallo zero assoluto, la macchia rossa di Giove continua a turbinare senza modifiche di rilievo sulla grandezza minima del suo diametro) HIVPiù. Più. Più. Più. Più. Più. Più. Più. Latte Più. Più. Più. Pi…….ù. P……. Resti immobile in piedi mentre gli altri sei che sono stati scelti stanno lasciando i loro passaporti e le carte di identità ad un’aiutante in minigonna, forse una comparsa ungherese, la osservi bene, indossa un paio di Alviero Martini, vorresti-vomitare-il-mondo-ora, tutto qui ha il nero colore dell’inferno e dovunque è il freddo gelo (ti sfugge questa frase che nemmeno ricordi – dove l’hai letta?), domani la sminigonnata sarà infreddolita e avvolta da una pelliccia, se la toglierà, rivelando un corpo bianchissimo, le Mercedes per arrivare in Ungheria impiegheranno un giorno, il set è in un albergo di lusso, Budapest accoglierà i presenti, tutti tranne te, non si improvvisa nulla al mondo, “se proprio voi te posso dà due nummeri dove nu’tte chiedono er teste, dovevi sta attento“. I ragazzi salgono in macchina insieme all’aiutante, le Mercedes si riempiono, sgommano sul piazzale in direzione dell’uscita, lasciano striscie d’asfalto e puzza di copertoni, per un attimo è come se fossero scomparsi i man in black. Ti piacerebbe che fosse così, con te che non ricordi nulla di ciò che è successo, del motivo per il quale sei qui, di nascosto, senza che Michela sappia nulla. Questo è infatti il tuo dramma solitario. Palestra, è successo in palestra. C’era una ragazza bionda, Katia, che ogni venerdì restava per ultima alla Elektra Gym (che nome del cazzo) fino all’orario di chiusura, soltanto il venerdì, se volevi rovinarti la vita con le tue mani il timer della follia che chiamano cervello ce l’ha messa tutta, assistendoti nell’attesa del momento buono per saltarle addosso. Per tutta la durata degli esercizi non faceva altro che sbuffare e sorriderti, correva sul tapis roulant, ti guardava mentre ti rivestivi e sorrideva. Quando vi incontravate al bar del secondo piano ti parlava sempre del suo ragazzo, un campione di body building impegnato in Giappone per una gara, impegnato a Como per una dimostrazione, impegnato negli Stati Uniti d’America per girare lo spot di un bilanciere, finché un giorno Katia non si fa prestare le chiavi della palestra dalla sua amica e tu non resti solo con lei ad un minuto dalla chiusura “che tipo strano che sei, vieni qui da più di un anno e ancora non mi hai detto come ti chiami, ci troviamo spesso, no?“. Non avresti mai immaginato un approccio più diretto e asintoto al tuo desiderio. Preservativo: oggetto richiuso nel cassetto del comodino di fianco al letto, si utilizza nel momento del bisogno, si controlla la confezione per assicurarsi che ne siano rimasti, almeno due, uno alla fragola e uno alla menta. “Tu ce l’hai?“. “No, figurati“, ti risponde Katia con una mano che ti sfila i pantaloncini, “dovremmo chiedere di farli mettere nella macchinetta degli integratori, così, non si sa mai, a qualcuno un giorno potrebbero servire“. E’ stata la prima volta in cui hai penetrato una donna, dal 1992 a oggi, senza utilizzare un preservativo. Coito maledetto e scellerato. “Tu non puoi più, più più più più più più più più più più più più più”. “Tu non puoi“. Sono passate tre ore, il fresco pomeriggio ha lasciato il posto ad una serata gelida, sei ancora in piedi in mezzo al parcheggio, gli autobus arrivano, scaricano turisti che abbandonano il grande piazzale su taxi bianchi, multiple, maree, brave, punto. La gran parte dei passeggeri, a quest’ora, è composta di religiosi che vengono accolti da confraternite di suore e monaci, pronti per accompagnare gli adepti laici nelle sistemazioni di una notte, dove si ritempreranno in attesa di partire, alle sei del mattino successivo, per Lourdes o Santiago di Compostela. Dopo tre ore non sei ancora riuscito a muoverti di un passo. Quando le corse degli autobus in partenza e in arrivo hanno cominciato a diradarsi qualcosa ha ripreso a funzionare nella tua testa, forse il silenzio e la quiete della sera, per quanto sia tragica la situazione, ti aiutano a realizzare cosa è successo. Ogni mese ti sottoponevi ad un prelievo di sangue consegnando il risultato delle analisi alla sede di un’agenzia matrimoniale nella tua città, l’agenzia copre il recruiting di attori e attrici sexy, è l’agenzia che fa da garante per la qualità della merce, ovvero la perfetta integrità fisica e morale degli iscritti. L’occasione questa volta ti era arrivata troppo in fretta – inaspettata – così hai lasciato le tue consegne alla dottoressa del laboratorio Cinelli, si sarebbe occupata di recapitare le analisi del sangue all’agenzia che le avrebbe trasmesse via fax o via email mentre eri sul treno. Saresti arrivato a Roma e ti avrebbero accolto come un conquistatore barbaro, dal Sud del mondo portavi un verbo crudo, fatto di forza e prestanza, ti avrebbero preso all’istante. Che lingua avresti parlato in Ungheria? “La lingua che lecca una fica“. Invece no. Ti avvicini ad un taxi, “Roma-Termini“. Arrivi alla stazione, paghi la corsa. Convalidi il biglietto del treno a due ore dalla partenza. Ti siedi su una panca di pietra pensando a Katia, Michela, finirà tutto, non c’è più posto per niente, i tuoi pochi amici che ti abbandonano, i sorrisi di cortesia, gli incoraggiamenti dei medici, la costernazione dei parenti, il dispiacere per tua madre e tuo padre che non sanno nulla, i figli che non conoscerai perché non ne avrai, ti stupisci di non esserti ancora gettato tra le ruote di un Eurostar che si è fermato davanti a te, non ti ammazzeresti mai sotto alle ruote di un Eurostar, quei cazzo di pendolini sono fatti in un modo che nemmeno si vedono, le ruote, sbatteresti contro il suo muso smussato, ti ucciderai a casa, sempre che tu abbia le palle. Mancano dieci minuti alla partenza. Ti squilla il cellulare in tasca. Non rispondi. Non ti va di fare nulla. Il treno corre nella spina dorsale del paese e attraversa le gallerie, senza ombra di certezza il tuo immediato futuro, cosa farai? Il cellulare continua a vibrare. Si tratta di Michela, forse, vorrà sapere quando torno, dovrò darle delle spiegazioni, non sono in grado. Arrivi a destinazione. Dieci chiamate senza risposta. Privato. Michela dal posto di lavoro? Privato. Katia da una cabina del telefono? Abbiamo continuato a frequentarci, ci piacciamo di nascosto. Privato. Privato. Privato. Privato. Privato. Privato. Privato. Privato. Un Messaggio da Leggere. SIAMO DAVVERO SPIACENTI x QUANTO ACCADUTO LUNEDì POTRà RITIRARE L’ESITO CORRETTO DELLE SUE ANALISI. HIV NEGATIVO. 60€. La prima cosa che ti viene in mente quando il treno oltrepassa la stazione di Surbo, l’ultima prima di Lecce, è il verso di una delle più belle poesie che hai letto nella tua vita “SI PREGA DI NON ATTRAVERSARE I BINARI”.
Luciano Pagano