Daniela Gerundo su “Per sempre carnivori” di Cosimo Argentina @minimumfax


"Per sempre carnivori" di Cosimo Argentina
di Daniela Gerundo

Una tragedia. Una tragedia affrancata dalle aristoteliche unità di tempo, luogo ed azione; svincolata da un rigido schema che ne possa definire forme e scansione temporale attraverso la sequenzialità di prologo, azione ed esodo, o di un epilogo.

Una tragedia che si svela al lettore materializzandosi su una tela tessuta srotolando e riavvolgendo la matassa narrativa attraverso un racconto frammentato dal continuo ricorso a flash back e digressioni : sulla morte, sul tempo, sulla fortuna, sulla donna, sull’amore, sul suicidio.

Una tela sporca di tutto: sangue, escrementi, liquidi organici, alcol, vomito copiosamente disseminati in corso di smargiassate notturne dai tre Mr. Hyde Leone Polonia, Giuseppe Maconi, Goffredo Monti, tre … insegnanti precari … in cerca di… punteggio.

Mako è morto, scannato come un tràgos sacrificato al Dio Dioniso per espiare i peccati del gruppo. Ma dalla tragedia che qui si rappresenta non scaturirà la catarsi, la purificazione dei mali, la presa di coscienza dei propri limiti. L’arido e ingeneroso humus degli angusti spazi di provincia alimenta i germogli della perversione, della violenza, dell’aggressività in personaggi già corredati del personale bagaglio di frustrazioni, lutti non elaborati, propensione a delinquere e a prevaricare. “ Tutti incidentati in questa storia” “ Tutti sconfitti in questa tragicommedia”

Personaggi come maschere…uno…nessuno…centomila…che si muovono sulla scena come entità distinte, lacerate dalla inconciliabilità tra l’essere e l’inganno dell’apparire; svelando la propria tormentata dimensione psicologica; palesando la parte animale, selvaggia, istintiva presente anche nell’uomo più civilizzato come parte originaria, insopprimibile, pronta ad esplodere quando l’alcol o la coesione del branco allentano i freni inibitori.

Personaggi catalogati dall’autore secondo una personale tassonomia che classifica le femmine in base al grado di “ disponibilità sessuale” ed i maschi rilevandone il livello di dissolutezza. Primus inter pares il padre di Leone, “il pazzo”, “il vecchio”, “il porco” , “il gremlin”, pedofilo, alcolizzato, violento, manesco ma comunque amato. Un anelito di amore paterno già manifestato da Camillo Marla, da Mino Palata, figli unici del modello di famiglia che ricorre nelle narrazioni di Argentina : padre, madre e figlio sempre con le stesse connotazioni. Negativa in modo esasperato ed esagerato la figura paterna; amorevole, conciliatrice, comprensiva ed indulgente la madre, capace di “guardare negli occhi come solo una madre sa fare”; tormentato e afflitto il figlio. Leone ama la musica argentina Meola , Piazzolla “‘sti argentini, fa’ che conoscevano l’amarezza che mi portavo dentro”; ma è dilaniato da un odio “che eclissa i sorrisi”, perché “avevo mille motivi per odiare … avevo qualcosa che mi faceva andare in bollore nevrastenico … se avessi potuto avrei scotennato tutti”. Idealista arrabbiato Leone, perché “ io credevo ancora che un uomo dovesse guardarsi intorno, cercarsi dentro, essere solidale con l’inferno che si trascina dietro”. “Tu sembri un duro ma in realtà devi essere un esistenziale…” sentenzia il rude Antonio, custode della “Nuova Caledonia” la scuola privata proscenio della mise en scène dove si rappresenta la tragica pièce di una morte annunciata.

Maschere grottesche, pagliacci e acrobati si agitano nel Grand Guignol della vita di provincia, personaggi che vengono sparati nel racconto con tutta la loro carica devastatrice ma che conosceremo attraverso dettagli anagrafici identificativi solo nelle pagine successive, non prima di averne appreso le schizofreniche condotte. Soggetti irrisolti alterati nel pensiero e nelle azioni, “pronti a violare la sacralità del silenzio con parole vane” e gesti inconsulti: il gregge pelvico, i cremati dell’ultima fila, i cuccioli di varano, l’albatro Nadali, Lia, Rita, Concetta, Dio, Gianna, la recchia di Torino, i briganti di Leporano e Pulsano.

Vittime e carnefici spaziano su e giù per il racconto, come i vagabondi che aspettano Godot, animati dalla stessa inquietudine e insofferenza che pervade l’io narrante e rimanda allo scrittore stesso.

Il dinamismo della scelta stilistica si rivela funzionale al pathos del lettore, alla necessaria tensione emotiva che lo spinge alla conoscenza di una storia il cui finale è svelato già in prima pagina; una storia scritta da soggetti “cinici ad oltranza” tutti “sorrisi e lacrime salate” sui quali aleggia la morte, sempre pronta a rubare la scena ai protagonisti facendo sibilare la falce sui loro affetti: le madri di Leone e “il dentuso” che per questo diventano “fratelli di morte”, la nonna del “bamba”, e poi Raggi e Mako.

Ma la perdita degli affetti non è imputabile solo alla morte, c’è un pericolo più grave che incombe sulla fragilità umana: l’innamoramento “ non doversi innamorare mai perché amare voleva dire vivere nel terrore di perdere un affetto”. Polonia, “forestiere della vita” se ne tiene a distanza di sicurezza anche perché a 25 anni “dovevo ancora conoscere la persona con cui scompariva il mio disagio senza bisogno della fortificazione dell’alcol”. Amore. “Quel petardo fatto esplodere in una cristalleria nel giorno dell’inaugurazione”, l’alchimia di uno stato tra sogno e realtà che motiva ogni follia, che detta comportamenti imprevedibili; quell’impulso dei sensi che governa il nostro agire, ma che non può arrivare a giustificare una testa mozza e una schiena spezzata all’alba di un giorno di maggio.

Eppure “s’è consumato un disastro nato dal desiderio d’amore” o forse è stato valicato l’ impercettibile confine tra realtà e finzione perché abbiamo bisogno di credere che ci sia dell’altro, di osservare le cose da un punto di vista imprevisto, di proiettarci in una dimensione borderline tra sogno e realtà affrancandoci da una quotidianità resa asfittica da ogni sorta di condizionamenti.

Polonia, Mako e “dentuso”, gli equilibristi del Gran Guignol hanno camminato sulla fune del desiderio di raggiungere l’inaccessibile e adesso che “i creditori sono stati onorati” recepiscono qualcosa che sapevano da sempre e non volevano sapere. Ma forse un giorno, nel valutare questa storia di vittime e carnefici, di amore e di passione qualcuno dirà che “si trattò solo d’amore”.

Daniela Gerundo

“Quella sottile differenza” di Daniele Ninfole. Recensione di Angela Ferilli


"Quella sottile differenza" di Daniele Ninfole
recensione di Angela Ferilli

Tre personaggi femminili: Alice, Santa, Amanda.

Tre personaggi maschili che impersonano tre diversi atteggiamenti dell’essere uomo all’interno della coppia. Antonio che non ha mai chiesto ad Alice di fare l’amore e parla, parla, parla. Mirco che arriva a casa e sparisce nella camera di Santa per tutta la notte, regalandole uno slip diverso ogni settimana. Biagio che grugnisce sul corpo inerte di Amanda e torna a lavoro al paese all’alba.

Tre luoghi. Sant’Angelo, luogo inventato, prototipo della provincia pugliese con i suoi limiti, caratterizzato dalla circolazione rapida delle notizie perchè tutti conoscono tutti. La città universitaria che allarga prospettive e orizzonti, che offre diverse opportunità, ma che, contemporaneamente, schiaccia perché si diventa anonimi, pedine, granelli di sabbia, privati di un’identità rassicurante. Il terzo è un luogo atipico, è il luogo onirico in cui si condensano paure, aspirazioni, tensioni, insoluti, ma anche prospettive nuove.

Tre unità di tempo in cui le tre amiche passano da una convivenza serena e complice, ad una travagliata e in odore di profondi rivolgimenti interiori, fino ad una svolta decisiva e insospettata.

Tutto si gioca sulla scoperta di sentimenti sconvolgenti e sensazioni nuove che si verificano a partire da quando due delle tre amiche decidono di agire in nome di un senso di libertà fino a poco prima negato. Aperto un varco nella percezione interna di sé, tutto può cambiare, anche in pochissimi giorni, dalla capacità di azione, reazione, provocazione, all’intuizione reale del corpo, dell’identità sessuale, della vicinanza-lontananza con gli “altri importanti”.

Daniele Ninfole sceglie il romanzo breve per narrare un mondo, quello giovanile, quello femminile che lo affascina, profondamente diverso da quello vissuto in prima persona. Il ’68 da pochi anni aveva “liberato” le coscienze di uomini e donne e aveva attribuito ad entrambi i sessi la possibilità di manifestare apertamente, e talora teatralmente, la libertà di effusioni affettuose etero e omosessuali. Ma chi quegli anni li aveva vissuti più da spettatore che da attore, aveva visto prevalere la tenacia dei valori familiari capaci ancora di inibire, contenere, arginare la forza dei cambiamenti in atto che, col tempo, si sarebbero attenuati.

In una società profondamente mutata, che ha visto l’evoluzione dei costumi, moltiplicata negli ultimi quarant’anni, Daniele Ninfole, da ex ragazzo degli anni ’70 e da attuale insegnante, decide di affrontare (e vincere) una grossa sfida: narrare una storia, condensata in appena sessanta pagine, affrontando una serie di argomentazioni estremamente delicate, con una leggerezza che permette al lettore di andare avanti incuriosito e mai turbato.

La sua, sembra contemporaneamente una descrizione del reale e una scoperta del possibile, operata dall’uomo/ragazzo ammirato, stordito, rapito dal mondo femminile e da tutto quello che esso comporta. Volontà, potenzialità, capacità, azione, pensiero, riflessione. Quale strumento migliore, se non la scrittura, pacata, ad andamento lento tipico dell’analisi, per approfondire ciò che si conosce, non dal di dentro, ma solo in superficie?! Eppure, ne vien fuori un tratto così preciso, scavato, profondo, che difficile sarebbe intuire, se non si conoscesse a priori il genere maschile dell’autore, che a scrivere sia un uomo.

Scrivere per conoscere e approfondire, per tratteggiare ed ammirare, per scoprire e provare meraviglia, sconcerto, stupore, per riflettere ed indagare un mondo altro. Uno scrittore è un narratore di storie tanto più verosimili, quanto più esse traggano linfa dal vissuto di chi scrive e dalla contemporanea capacità di penetrare nell’intimo di chi è oggetto di osservazione e costante riflessione.

(http://angelaferilli.wordpress.com)

Info:

"Quella sottile differenza" di Daniele Ninfole
Edita Casa Editrice & Libraria, Collana: Chicchi del melograno, ISBN-13: 978-8897216377, €8

“Storie incompiute” di Andrea Di (Phasar Edizioni)


"Storie incompiute" di Andrea Di (Phasar Edizioni)

Poco si sa dell’Autore. Andrea Di: è un nome autentico, preso dal primo Apostolo, fratello di Simon Pietro, patrono della Scozia e della Chiesa di Costantinopoli, con cognome monosillabo, come se ne trovano sull’elenco telefonico? Oppure troncato, alla prima sillaba o all’iniziale, per farne un classico nom de plume? E, uomo, o donna? (Andrea, nei paesi anglosassoni è usato come femminile di Andrew).

Se è uno pseudonimo, chi lo usa per celarvisi? Un timido esordiente, pauroso di un pesante invenduto? («Nemmeno una copia, dottore! Una cosa mai vista!») O una penna celebre, grande saggista, storico insigne, che non vuole scalfire la sua fama disvelandosi dilettante di fiction? Personalità politica, schiva di pubblicità? (Sì, figurati!) O un collettivo di scrittori non professionisti, ciascuno dei quali ha contribuito con un racconto? Un capitolo, una pagina, un periodo, una riga, tutti in cerchio come nell’antico gioco della telefonata? A ognuno le proprie congetture.

Così anche per la città di Windobona, teatro di alcune delle Storie. Città italiana, senza dubbio. Non è sugli atlanti? Cercato bene? Comunque, più di un lettore vi troverà tracce sicure della propria.

Quanto ai racconti, sono in prevalenza storie d’amore, delle più convenzionali: un uomo, una donna. Amori fulminei, sbocciati, sognati, sospesi, svaniti, trionfanti. Perché non leggerle, in fondo? Forse ci si può riconoscere anche in questo o quel personaggio. Storie che potrebbero capitare a tutti. Chissà. O quasi tutti. Ma, si capisce, non è detto.

"Storie incompiute" di Andrea Di (Phasar Edizioni)
http://www.phasar.net/catalogo/libro/storie-incompiute

"Storie incompiute" di Andrea Di (Phasar Edizioni)
2010, Prezzo: 10,00, ISBN: 978-88-6358-078-5, PAGINE: 190

Scarica l’anteprima del libro in formato PDF
http://www.phasar.net/docs/Estratto_Storieincompiute.pdf

§§§

Phasar Edizioni:
http://www.phasar.net

Clicca su MI PIACE per ricevere i nostri aggiornamenti quotidiani su Facebook:
https://www.facebook.com/Phasar.Edizioni.Book.On.Demand

Seguici su twitter:
http://twitter.com/phasar_edizioni

§§§

Contatti per le librerie interessate
a ordinare i libri di Phasar Edizioni


Libro Co Italia (distributore)
– Tel. 055 – 82.29.414
FastBook (grossista) – Tel. 02 – 89.45.14.04