seize the day


horcynusorca1.JPGLuogo: bancarella del libro usato in Piazza Libertini
Tempo: festa di sant’Oronzo, il santo patrono di lecce, una festa che quest’anno ha risentito di alcune critiche da parte dei cittadini, l’agone politico nel salentino si scontra a suon di luminarie e orchestre
Data: 25 agosto 2006, centoseiesimo anniversario della morte del filosofo tedesco F. W. Nietzsche
Personaggi: luciano, proprietario della bancarella

Prologo: luciano individua tra gli scaffali della bancarella una copia intonsa de “Horcynus Orca”, il capolavoro di Stefano D’Arrigo, nella prima edizione mondadori datata gennaio 1975

Primo atto
luciano (pensando): “non ho mai acquistato l’edizione rizzoli, più per pigrizia che per mancanza di volontà, a dire il vero ho già acquistato I fatti della fera ad una bancarella del mercato settimanale di Gallipoli per 1 euro”

Secondo atto
luciano (scontrandosi con un ex-amico): “come va…bene?…non mi sembra…ti vedo ingrassato…abbronzato…dimagrito…bianco…triste..felice”

Terzo atto (l’approccio)
luciano: “Quanto viene?”
proprietario della bancarella. “dodici euro”
luciano: (disinteressato) “se me lo fai dieci lo prendo”
proprietario: (senza esitazione) “va bene”

Ecco il testo del depliant/pieghevole che accompagnava la prima edizione dell’opera:

“Opera di grandioso respiro epico e lirico, Horcynus Orca racchiude in una azione di pochi giorni e in uno spazio compreso tra l’estremità della Calabria e la Sicilia una materia di immenso potenziale mitico e simbolico e insieme di straordinaria evidenza realistica: il ritorno al paese, a Cariddi, nello sfacelo dell’autunno del 1943, di ‘Ndrja Cambrìa, marinaio della fu regia Marina, che percorre a piedi le coste devastate della Calabria e viene trasbordato di notte da Circina Circé, potente e ammaliante figura di femminota, dedita a misteriosi traffici su e giù per lo sill’e cariddi. Riapprodando all’isola, tutto quanto costituiva il suo mondo, a terra e a mare, gli appare stravolto, immeschinito e degradato dalla guerra e dalle conseguenze della guerra. L’apparizione improvvisa dell’Horcynus Orca, dell’Orca che dà la morte, che dà la morte e basta, dell’Orca che è, in una parola, la Morte, segna una svolta narrativa di grande effetto e imprime al romanzo una cadenza fortemente drammatica. L’orcaferone, mostro terrificante e cancrenoso, col fetore della sua piaga rivela subito implicazioni simboliche, che non cadono mai nell’astrazione, ma si esprimono in immagini di potenza vitale e visionaria. Dopo l’agonia dell’orca, scodata e irrisa dalle fere, feroce razza di delfini del duemari, e il traino e arenamento dell’enorme carogna ad opera di inglesi e pellisquadre, si assiste a un tempestivo cambiamento di ritmo narrativo e le ultime duecento pagine – che con una progressiva e inaspettata concentrazione dei fatti, tipica del climax tragico della tradizione più alta, portano senza una pausa al finale – sono di una grandezza senza aggettivi. Il viaggio di ritorno di ‘Ndrja Cambrìa si rivela, così, come il suo avanzare, a poco a poco, verso la morte, in un mondo alterato, corrotto, reso irriconoscibile.
Qualsiasi esemplificazione riassuntiva appare però totalmente inadeguata alla sconfinata architettura dell’opera, che fin dalle battute dell’inizio introduce in una dimensione eccezionale, fuori dagli schemi e dalle abitudini narrative del nostro tempo. Fondendo il presentimento della morte e il sentimento della vita, il romanzo sviluppa, attraverso quarantanove episodi e una serie sterminata di personaggi e figure, di visioni e di sogni, di ricordi, di simboli e di associazioni, di variazioni e riprese, l’immensa tematica di quella continua metamorfosi che è la vita degli uomini e dell’universo. Essa si articola in una stupefacente varietà di registri stilistici e in una altrettanto prodigiosa molteplicità di piani narrativi, volta a volta – e spesso contemporaneamente – onirici e realistici, evocativi e visionari, soggettivi e corali: dall’amore tra Aci e Galatea, vissuto dal figlio, alla scandagliata per la riviera di ‘Ndrja e Masino, dall’iniziazione erotica di ‘Ndrja alle immagini ariose ed epiche dell’agonia dell’orca fino al progressivo emergere e dilagare della corruzione agli occhi di ‘Ndrja (il Maltese dalla dentatura d’oro, la regata, la fine dell’idolo don Luigi Orioles).
E’ una narrazione dai tempi lunghi, non solo in senso materiale, ma interiore, che muove per cerchi concentrici da punti diversi e si conferma costantemente come unità: unità di mondo morale e fantastico, completamente risolta in un linguaggio dove convergono e si potenziano reciprocamente, per dilatarsi e arricchirsi in una nuova realtà, le lingue ancora oggi parlate di quell’immenso deposito millenario che è la Sicilia; esse reagiscono con l’italiano delle codificazioni letterarie e producono, con continue contaminazioni e neologismi, una lingua insieme nuova e antica, unica nella inesauribille proliferazione delle su einvenzioni e, al tempo stesso, totalmente realizzata nelle su epotenzialità di comunicazione e di espressione. Così che Horcynus Orca, se da un lato può apparire, senza alcun dubbio, una sorta di monstrum nella narrativa contemporanea, dall’altro affonda le sue radici nel sotrato più profondo, più vitale e più ricco della tradizione occidentale, rinnovandola in un testo di smagliante bellezza e di memorabile densità, destinato a occupare, in assoluto, un posto di primo piano nella letteratura del Novecento”.

Carlo Bordini a Tricase.


palazzogallone.jpg

Domani sera, nell’ambito della rassegna Passaggi d’autore (trovate qui il programma completo dell’evento incominciato ieri) interverrò insieme a Massimo Barone alla presentazione di “Gustavo. Una malattia mentale” (Avagliano Editore), di Carlo Bordini.

“Troppi paradisi” di Walter Siti. Una lettura.


waltersiti_troppiparadisi.jpgTroppi paradisi”, il terzo romanzo pubblicato da Walter Siti, racchiude una dimostrazione – non la dimostrazione – di come sia possibile, per le lettere, continuare a generarsi di continuo, al di là di ogni dibattito, sulla propria materia vitale, trasversale, sorvolando le operemondo e le fiction e le faction e le novel e le antinovel. Questa è una di quelle opere che azzera il contatore e ci riporta in direzione di una ricerca che coniuga almeno tre aspetti fondamentali. Il primo, l’autobiografia in letteratura; l’ammirazione che il “Walter Siti” (personaggio del romanzo) esprime nei confronti di Alberto Arbasino è segnale di una filiazione/fratellazione diretta – scolastica in certi punti – con la leggerezza e la vitalità di certe pagine aeree contenute in “Fratelli d’Italia”. Siti è un ottimo descrittore delle dinamiche psichiche della mediocrità, che qui è sinonimo di quotidianità progredita d’occidente. Già dalle prime pagine del capitolo che contiene la disanima del suo rapporto di sessantenne con i genitori ‘resistenti’ in ogni senso al suo essere arrivato ad occupare una posizione comprendiamo che in questo romanzo ogni convenzione e singola ipocrisia verranno passate ad un setaccio finissimo. Il secondo elemento che viene dichiarato è il rapporto tra realtà e finzione, un rapporto che a mio parere non è così cruciale (così come appare nell’economia della narrazione), non come sembrerebbe in virtù di una dichiarazione iniziale che risulta essere più un salvacondotto della veridicità del personaggio e non della materia, poco importa che i nomi e i cognomi siano o non siano quelli, bastano gli asterischi disseminati se uno vuole celare davvero, una volta nel romanzo la sospensione è in atto, crediamo ciecamente ad ogni cosa che viene letta, detta, dai personaggi. Un’autobiografia ‘contraffatta’, una realtà che replica la realtà in modo identico, l’identità vera è infatti possibile soltanto nella similitudine approssimata del reale. “Troppi paradisi” è un romanzo sull’amore che emoziona le persona, è un romanzo sulla possibilità di provare un amore disperato e dissennato, a tutti i costi. Il gossip e lo sfondo socio-televisivo presenti nel romanzo sono nella norma ambientale cui il lettore odierno – non solo di libri – è abituato, l’impatto che i reality-show hanno avuto nell’immaginario del nostro paese ha fatto sì che tutti conoscano Taricone come in un tempo mitico Ercole, quindi sorvolati l’agio e il disagio (per chi rifiuti di datarsi all’oggidì) di questa invasività mi(s)tica è l’amore che domina la narrazione, con l’attrazione, i dispetti, la dipendenza e i sospetti, le lontananze, i ricongiungimenti. Sergio ha trent’anni in meno di Walter, il protagonista che lo vede come un nipote; Sergio è dominato da un desiderio di arrivare apparendo, ignaro di tutto ciò che si nasconde dietro un sorriso o un ingaggio per un programma televisivo; pagherà le conseguenze di questo suo carattere con una breve esclusione dal suo mondo preferito, dimostrando la capacità di riprendersi e conquistare una sua autonomia che coinciderà con un’autonomia/affrancatura affettuosa da “Walter Siti”, il mediocre virtuoso. Interessante il racconto delle ‘voci’ legate alla presunta pedofilia, cresciute e diradate nel sottobosco di personaggi dubbi (Mario Lucchi et coetera); queste voci rischiano di far naufragare per sempre ogni tentativo di Sergio al crearsi un’immagine e una professione. L’effimero e la fragilità dei Personaggi Televisivi abbondano, l’incapacità di interagire con le persone normali. Walter ha bisogno di sesso (e di Sergio), cercherà di ampliare le sue esperienze e conoscenze con ragazzi a pagamento, toccando i vertici della mediocrità e dell’abiezione, senza mai perdere se stesso e – il Walter Siti autore – senza smarrire la bravura nella narrazione. Walter non è ricchissimo, conosciuto Marcello, il secondo amore nel romanzo, decide addirittura di trascorrere sei mesi (giugno/dicembre) spendendo e vivendo oltre il limite massimo delle sue possibilità. Marcello sembra incarnare il ‘Riccetto’ pasoliniano elevato all’ennesima potenza e calato nella contemporaneità del mondo fitness, degli elettrostimolatori e delle droghe dopanti, si accompagna ad un corpo perfetto che coincide con la sua anima, anch’essa tutta visibile, spontanea e priva di macchie; il suo corpo e la sua anima sono quelli di un super-puer che è tutto lì, prendere e prendere, l’amore di Walter è così meno cerebrale, meno ansioso di doversi a tutti i costi mutare per essergli il più vicino possibile, dovrà fare quattro lavori (sempre meglio che lavorare! diceva a Sergio) per mantenerlo. C’è un elemento tragico, sotteso alla narrazione, che è continuo, la morte (Alfredo, Renatone) non è un campanello d’allarme utilizzato dal narratore per riportare alla realtà con la sua crudezza, la morte serve ai personaggi per accorgersi d’un tratto di essere cose vere, tante autobiografie romanzate e non una soltanto affollano questo romanzo. Le stranezze promosse ad epifanie, si potrebbe dire per sovvertire una frase presente in “Troppi paradisi”, a voi sciogliere l’enigma. L’amore di “Troppi paradisi” è l’amore bisessuale, le donne che compaiono nel romanzo sono o apparentemente disturbate dall’omosessualità (la Catapano protettrice artistica e iniziatica di Sergio), oppure, come Chiara (la pseudocompagna di Marcello), sono disposte ad accettare un quasi-tutto sempre celato, narrato e descritto da Walter (il filtro credibile), tutto pur di riuscire a far fede all’immagine di rapporto che si sono costruite come materialmente accettabile, “a proposito di donne sole e infelici”. Il fatto di essere rappresentazione di una ‘realtà depotenziata’ (p. 96), concede all’autore di presentare ottimi scorci di surrealtà vera (vedi il dialogo COSTANZO-GRILLINI-MUSSOLINI presente nelle stesse pagine).
Così scorre la vita di Walter Siti, che si autodichiara campione di mediocrità fin dalla prima pagina e nel corso di “Troppi paradisi” acquisisce una consapevolezza dell’amore e del sacrificio così forte da divenirne un portatore sano e anticorpo necessario presso la sua cerchia di amici, verrebbe da dire che non c’è nulla che riveli più profondità dell’esatta descrizione di ogni superficie. Buona lettura.

anticipazione da “Musicaos.it, anno 3, numero 23”

125 anni dopo, per chi suona Campana? per voi!


dinocampana.jpgCentoventicinque anni fa nasceva Dino Campana, il poeta che ha traghettato la nostra poesia dall’ottocento al novecento. Ecco due sue poesie:

I piloni fanno il fiume più bello

I piloni fanno il fiume più bello
E gli archi fanno il cielo più bello
Negli archi la tua figura.
Più pura nell’azzurro è la luce d’argento
Più bella la tua figura.
Più bella la luce d’argento nell’ombra degli archi
Più bella della bionda Cerere la tua figura.

(per Sibilla Aleramo)

Sdraiata nel carrettino

Sdraiata nel carrettino
Con il zio prete vicino
Bellezza ecclesiastica
Eletto giardino
Occhi di mandorla e sensuale
Che la bocca non si vede
Che il seno non si scorge
Dietro le ruote del tuo carrettino
Sono come un bambino
La fronte scritta sotto la fratina
Che hai gli occhi pallidi come una bambina
Il viso è muscoloso seta pallida
Nel riso della prima gioventù
Penso dove consista la tua bellezza
Questa sera davanti al giardino
Occhi a mandorla e sensuale
Che la bocca non si vede
Che il seno non si scorge
Grassa canonichessa sdraiata nel carrettino
Con il zio prete vicino
Che la bocca non si vede
Che il seno non si scorge
IL viso è muscoloso seta pallida
Nel riso della prima gioventù.

Canto Blues alla Deriva – Sabato 26 Agosto – al Palazzo Ducale di Martano – Margini 2006


libano.jpg

AVVISO AI NAVIGANTI:
Sabato 26 Agosto
, presso il Palazzo Ducale di Martano, alle ore 19.00 (circa), nell’ambito della rassegna Margini 2006, avremo occasione di presentare il “Canto Blues alla Deriva“, in un reading/presentazione con gli autori del “Canto Blues alla Deriva”. Siete tutti invitati a partecipare.

(foto Daquella Manera).

vacanza meccanica – il nuovo assessorato alla cultura della Provincia di Lecce (di Mauro Marino)


gallipoli.jpgIl nuovo assessorato alla cultura della Provincia di Lecce
di Mauro Marino

I nomi contano, condensano l’esperienza, la competenza, le capacità di chi li porta. La politica, nei suoi organigrammi, non sempre declina il nome con il “chi è”. Incarichi, mansioni e ruoli si destinano in base a posizionamenti in quota ai partiti o a calcoli ‘astrusi’ che sfuggono alla comprensione delle persone che nome non hanno, se non quello generico di “gente” o quello più civico di “cittadini”. Questa volta, pare non sia del tutto così. C’è un nome per il nuovo assessore alla cultura della Provincia di Lecce: Sergio Blasi, sindaco di Melpignano e attuale segretario provinciale dei Democratici di Sinistra. Una storia personale e politica lunga di anni, tutta volta al ‘fare’, un operare capace di avere idealità ed idee, di muovere cambiamento e proposizione. Va sottolineato che l’esperienza amministrativa del personaggio è di tutto rilievo. Melpignano è paese organizzato secondo canoni di modello organico e trasversale. Lavoro culturale, qualità urbanistica, qualità ambientale, qualità educativa si intersecano nel quotidiano politico di quella comunità, con un’armonia che dimostra di avere pochi punti di squilibrio. Ora, la Margherita non è contenta; il centro destra non è contento e ‘interroga’; il presidente Pellegrino rimanda tutto a settembre. Possiamo provare a comprendere le ragioni di ognuno ma quello che più preme a chi opera in ambito culturale è – anche al di là del nome – la funzionionalità dell’assesorato e il suo ruolo nel territorio. Quell’ufficio è stato il punto di innovazione più rilevante della politica salentina in questi ultimi 10-15 anni, con una sorprendente sintonia con le cose della Storia. L’intuizione che il territorio doveva valorizzare le sue energie sottese, la necessità di dare una forte connotazione alla sinergia tra sistemi – economia, risorsa ambientale, tradizione, cultura, turismo – sono state le leve di quel virtuosismo che ha coniugato le strategie politiche con lo spontaneismo di chi, negli ‘spunti culturali’, ha trovato un suo autonomo ruolo di protagonismo. Un motore che oggi si mostra logorato, in ‘ansia’. Sembra esaurita la vena di novità e poco si fa per dare risalto e stabilità al portato della precedente stagione di ‘rinascenza’. Avevamo invocato, all’inizio della consigliatura Pellegrino, una correzione di rotta e una maggiore attenzione verso la risorsa territoriale, l’apertura di una fase di decantazione e affinamento in supporto alla qualità creativa emersa sull’onda della ‘scoperta salentina’. Non solo quella musicale, che per prima si è prestata all’usura essendo chiave sensibile di apertura a correnti, consumi e mode. La pizzica, canone identitario sdoganato dal purismo ‘folk’ e celebrato dalla ricerca compositiva, è oggi prodotto ‘elettrico’, molto spesso volgarizzato e svuotato di suono e di senso. Strada comunque se ne è fatta. Sappiamo tutti l’attenzione che il movimento musicale salentino richiama e quanto “apre” come opportunità di promozione territoriale. Ma ciò che è interessante indagare, conoscere e valorizzare sta tutto intorno alla musica. La ricerca creativa ha prodotto in questi anni esperienze di rilievo che se ben sostenute possono disegnare quella qualità di turismo che tutti perseguiamo al di là della parentesi stagionale. Al Salento, lo si dice da anni, non serve un turismo di conquista, l’usa e getta vacanziero da litorale romagnolo (che pure ha prodotto un alto livello di offerta legando il litorale col suo divertimentificio all’entroterra d’arte e di cultura, punteggiato di festival di alto richiamo dove la cultura è bene da partecipare e non da consumare). Utili sono eventi di qualità, richiamo per visitatori consapevoli, capaci di approfondimento e di rispetto, capaci di condividere, e anche ispirare, scelte di conservazione e tutela della risorsa ambientale. Molte esperienze di valorizzazione della invenzione creativa, messe in campo nel passato, sono state frustrate e hanno avuto vita breve. Due esempi: gli esperimenti di ‘Sale’ e ‘A Levante’, film corali che allenavano la scena dei videomakers costruendo momenti di scambio e di lavoro comune; le esperienze di ‘arte del territorio’ a Tricase, Cursi e San Cassiano. Mentre la maturazione di design, arte visuale, teatro, danza non ha adeguato accudimento. L’unico momento di crescita esperienziale sembra essere quello della Notte della Taranta che muove una coralità di energie nel suo progressivo concretizzarsi per l’evento finale. A questo crediamo il nuovo assessore alla cultura dovrà provvedere ristabilendo quel laboratorio, quello spirito di scambio che sembra essere polverizzato dall’impeto del “successo” salentino. Ridare spinta, motivazione e luoghi a quel diffuso mondo che ha saputo (e ancora sa) nutrire la particolarità di questa terra, concertando una politica culturale in grado di stabilire priorità e opportunità, all’interno di una efficace rete di comunicazione. E poi, c’è la partita per Lecce…

[in vacanza meccanica con piccola pausa, vicolo di gallipoli, internet point (?), riflessione interessante di Mauro Marino sul nuovo assessorato alla cultura di Lecce che ho ritenuto utile postare su queste pagine personali, buona lettura, buon San Lorenzo]

pronti per la partenza


bigastronaut.jpg

sono pronto. Per una decina di giorni sarò impegnato in attività fuori dell’atmosfera, non potrò collegarmi con continuità, chi vuole comunicare con me potrà farlo con il telefono o con la posta celere, ci sentiamo tra una decina di giorni. Per chi si trovasse in zona Anzio/Nettuno l’11 agosto c’è un reading intitolato “Otto poeti nell’immondizia”, troverete qui tutti i dettagli. Ieri c’è stata la presentazione del “Canto Blues alla Deriva” a Noci, ringrazio Vittorino, Antonio, Francesco e Irene. Nel mese di agosto faremo il possibile per organizzare una presentazione con gli autori del CBD, più saremo e meglio sarà. Ci sentiamo.

Nel frattempo potete acquistare il “Canto Blues alla Deriva” (costa cinque euri), dal vostro libraio di fiducia oppure su IBS o UniLibro.

Se invece volete supportare Musicaos.it cliccate sui banner pubblicitari, riusciremo anche quest’anno a coprire parzialmente le nostre spese.

Prima della fine del 2006 uscirà “Re Kappa“, il mio romanzo. Al momento potete trovare una foto qui.
Approfitto di questo blog per fare un saluto a tutti i miei amici, collaboratori e colleghi di lavoro, grazie.

ogni volta come se fosse la prima volta


Le difficoltà di terminare sia pure un breve articolo non consistono nel fatto che il nostro sentimento richiede per la fine del brano un fuoco che l’effettivo contenuto precedente non ha saputo produrre da se stesso, ma sorgono piuttosto perché anche il più piccolo scritto esige dall’autore una soddisfazione di sé e uno smarrimento in se stesso, donde è difficile uscire all’aria del giorno comune senza un’energica risoluzione e uno sprone dal difuori; sicché spinti dall’inquietudine si scappa prima che l’articolo sia conhiuso e che sia lecito scivolar via in silenzio, e si è poi costretti a terminare la conclusione dal difuori addirittura con le mani che non solo devono lavorare, ma anche tenersi aggrappate.

Franz Kafka, Diari, 29 dicembre 1991
(Franz Kafka, Diari, A cura di Ervino Pocar, Introduzione di Remo Cantoni)