Musicaos.it – il gruppo


Il gruppo di Musicaos.it su facebook è qui. Il gruppo è dedicato a tutti coloro che amano la lettura e sono interessati a ricevere notizie, suggerimenti e avvisi circa ciò che accade attorno a essa, alla scrittura e al mondo. Il punto di partenza è lo stesso, gli approdi, come sempre, sono ignoti. Buona lettura.

L’inferno di Dante. Una storia naturale (Mondadori)


La bibliografia di Dante è sterminata. Non si contano i titoli, su più livelli di approfondimento, dedicati a uno dei capolavori della storia della letteratura e delle letterature di tutti i tempi. Un’opera che ha influenzato secoli di genti, potremmo dire. L’opera pubblicata da Mondadori nella collana Strade Blu si intitola “L’inferno di Dante. Una storia naturale”. La cosa che mi ha colpito per prima di questo testo è la sua confezione, ottima in un periodo in cui si producono libri qualitativamente e ‘oggettisticamente’ perfidi. Sfogliando questo libro mi sono chiesto a chi potrebbe essere rivolto un testo di questo genere. Tanto per cominciare a chi la Commedia dantesca la ama e sa che la forza di questo capolavoro, come di tutti i classici, è nel suo potere di riciclo continuo. In tal senso la Divina Commedia potrebbe definirsi un’opera open source. Pensateci per un attimo, che cosa ha fatto in modo che Dante venisse tramandato di generazione in generazione se non la perfezione della lingua unita al suo elevato contenuto morale? La Commedia è di tutti ed è bello che esistano infinite riletture di essa. Questo libro propone una lettura inedita, ovvero sia un vero e proprio ‘commento iconografico’ alla prima cantica della Commedia. Perché ‘commento iconografico’? Semplice, a differenza delle illustrazioni di Gustave Dorè, per fare l’esempio più illustre, che altro non erano se non didascalie figurative del testo, le immagini che corredano questa “historia naturalis” costituiscono un vero e proprio commento, un’esplicazione che si affianca al testo con la stessa stregua di un commentario scritto. Il risultato è godibile ed efficace, sia che si conosca appieno il testo sia che si voglia approfondire una lettura della Commedia. L’operazione editoriale è affidata a Fabrica, la fucina creativa del Gruppo Benetton. Hanno preso parte al progetto Patrick Waterhous, Walter Hutton, Giullermo Brotons, Fabio Amato, Enrico Bossan e Barbara Liverotti. Le illustrazioni, il testo e i commenti fanno di questo Inferno un vero “oggetto ibrido”, a metà tra la graphic novel e il fumetto, il commento e il testo poetico; un risultato che si sarebbe potuto raggiungere senza l’idea di partenza, quella cioè di reinterpretare il testo dantesco senza le sovrastrutture che spesso provengono da un retaggio scolastico e culturale. Ecco perché la scelta degli ideatori di far illustrare il testo a Patrick Waterhouse, Walter Hutton e Guillermo Brotons, i quali nel loro background sicuramente non disponevano di un’immagine preconcetta della Divina Commedia. Elemento che ha permesso alla loro attenzione di focalizzarsi sul testo e sulla grande poesia senza ‘occhiali’ critici troppo spessi. Ripeto, un ottimo libro.

DESCRIZIONE Circa settecento anni di storia ci separano dall’epoca in cui la Divina Commedia ha visto la luce. In questo lunghissimo lasso di tempo l’opera dantesca non ha mai smesso di stimolare la fantasia di miniatori, pittori e incisori, che hanno confrontato la loro creatività con la sfrenata immaginazione del genio fiorentino. È proprio la vastità di questo repertorio iconografico a far sì che illustrare oggi l’Inferno – la cantica che più di ogni altra si è impressa nell’immaginario collettivo – rappresenti una vera e propria sfida. Fabrica, la fucina creativa del Gruppo Benetton, ha deciso di raccogliere questa sfida affidandosi a due giovani talenti inglesi, Patrick Waterhouse e Walter Hutton, che per sei mesi hanno letto, sottolineato, e poi ancora riletto l’Inferno, affrontando l’opera con lo sguardo fresco e curioso di chi, non essendo mai stato vincolato da letture scolastiche, vi si accosta per la prima volta con un misto di smarrimento e stupore. Il risultato è un imponente mosaico di circa trecento tra figure, immagini, commenti, diagrammi e schizzi, organizzato intorno a un’idea portante: esplorare le storie reali e mitologiche, i demoni, i personaggi, le creature mitologiche e quelle fantastiche secondo lo stile e i modi propri dei testi di storia naturale. Se le raffigurazioni tradizionali dell’Inferno sono soprattutto attente a cogliere la drammaticità delle situazioni, quella dei due artisti inglesi si concentra sui dettagli dei personaggi e dell’universo metaforico dantesco.

Bisogno e desiderio in un libro di Mario Signore


Questa sera, alle ore 19.00, Massimo Cacciari sarà a Salice Salentino presso il Centro polifunzionale “P. B. Perrone” con Donato De Mitri e Iacopo Bonacchi per presentare l’ultimo libro di Mario Signore, dal titolo “Economia del bisogno ed etica del desiderio”. Pubblico qui di seguito un mio articolo comparso sul quotidiano “il Paese nuovo” di oggi (clicca qui per scaricare la versione in pdf)

“Economia del bisogno ed etica del desiderio”
Mario Signore

Il compito più difficile in cui può riuscire la filosofia è quello di risultare comprensibile, cercando di instaurare un dialogo fruttuoso con gli uomini e non soltanto con un gruppo sparuto di accademici dediti alla scrittura. Un traguardo arduo che non sempre è raggiungibile. L’ultimo libro pubblicato da Mario Signore per i tipi di Pensa Multimedia riesce in questo intento, trattando un argomento di estrema attualità, il ruolo dell’etica nella società contemporanea. Il titolo del testo delinea fin da subito l’ambito della ricerca: “Economia del bisogno ed etica del desiderio” (Pensa Multimedia, collana Inter-sezioni, pp. 238, €19,00). L’economia è la scienza che organizza e studia i bisogni del genere umano strutturato in società; l’etica approfondisce le regole del comportamento. Fu Hans Jonas, nel 1979, con la sua opera “Il principio responsabilità”, a teorizzare per primo l’esistenza di un valore etico che travalica la durata dell’esistenza del singolo, rendendo l’individuo responsabile di scelte che hanno conseguenze su coloro che verranno dopo di noi. Un contributo fondamentale alla costituzione di un’etica responsabile è dato dall’Occidente, inteso come luogo dove tempo e spazio hanno dato luogo a una tradizione consolidata che sola può fornire le basi per un’antropologia etica rispondente alle esigenze dell’uomo contemporaneo: “L’Occidente può offrire al dibattito interculturale il risultato più maturo della sua tradizione culturale, etico-politica e religiosa, ripartendo, magari, da quella base filosofica ispirata al concetto aristotelico di essere umano e a quel liberalismo neoaristotelico, per il quale, il fatto che l’uomo si possa definire un «animale con bisogni» è altrettanto importante e fondamentale del possesso della ragione, e richiede che ogni concezione dei diritti, della libertà, della stessa dignità umana debba fare i conti con la condizione di bisogno degli esseri umani”. In questo testo, nel quale non mancano puntualizzazioni storico-filosofiche e ‘scorribande inattuali’ nella filosofia antica e moderna (da Aristotele a Hegel passando per Montaigne e Marx fino a Zygmunt Bauman), sono contenute diverse riflessioni sulla condizione del cittadino della polis attuale nei confronti della sua libertà di pensiero e azione; le questioni sollevate sono molteplici, non ultima la mutazione, ad esempio, del concetto e dell’applicazione della libertà intesa in senso ‘moderno’ nel mondo contemporaneo. Questo saggio riesce in un intento, quello di ricucire lo strappo avvenuto sul territorio filosofico dell’etica contemporanea tra il dopoguerra e oggi, integrando le acquisizioni della filosofia moderna alle più recenti istanze filosofiche dell’etica, assumendo diversi punti di vista, che vanno dal religioso e filosofico in senso stretto e approdano fino alla laicità più estrema, passando per l’etica dell’individuo sociale. E se la via di un’etica universalmente condivisa si nascondesse in una trascendenza laica? Come ha sostenuto lo stesso Massimo Cacciari, che oggi presenterà il libro a Salice Salentino, insieme all’autore, l’etica è laica per sua stessa definizione, non rifacendosi ad altro che a un ethos, ovvero sia a una norma di comportamento che si attua nel rispetto della salvaguardia della collettività, ad esempio potremmo difficilmente concepire un’etica che incoraggia all’uccisione del prossimo. Esistono fondamenti dell’etica, quindi, che sono incontrovertibili al di là del nostro credo o non-credo di appartenenza. L’invito è senza dubbio quello di approfondire queste tematiche a partire dalla lettura integrale di un libro come questo “Economia del bisogno ed etica del desiderio”, che offre allo stesso tempo risposte e domande su questioni importantissime dalle quali ogni nostro vissuto non può prescindere. Mario Signore è docente di filosofia presso l’Università del Salento da quaranta anni, con i suoi studi ha approfondito diverse aree della filosofia contemporanea, da Giovanni Gentile a Max Weber, passando per i filosofi dello Storicismo e dell’Ermeneutica. I suoi studi di storia della filosofia, epistemologia, etica della responsabilità e la globalizzazione, tradotti e pubblicati all’estero, costituiscono importanti strumenti nel dibattito delle discipline storico-filosofiche contemporanee.

“Lezione di Inglese” a Lecce. Lunedì 31 Maggio 2010.


Andrea Inglese a Lecce, 31 maggio 2010Lunedì 31 maggio, presso l’Edificio Codacci Pisanelli dell’Università del Salento – Aula Ferrari, I piano, inizio ore 9 e 30 – si svolgerà un seminario sulla poesia contemporanea a cura di Fabio Moliterni e con la presenza di Andrea Inglese. Sono tutti invitati a partecipare, si tratta di un incontro con un autore ‘giovane’ che ha molto da dire (e da ascoltare) sui temi centrali della cultura letteraria italiana di oggi: la responsabilità etica, o politica, o civile dello scrittore – e del lettore; lo stato di salute della poesia contemporanea, nel rapporto con l’editoria e con l’idea dominante di letteratura; le prospettive di una scrittura ‘di ricerca’, tra prosa, poesia e altre espressioni possibili.

A partire dalle 19 e 30, presso il Padiglione Chirico del Monastero degli Olivetani, l’autore terrà un workshop su “Poesia e nuove scritture”. Il workshop è a numero chiuso (max 15 persone) e in accordo con Andrea Inglese prevede un lavoro di gruppo di tipo laboratoriale su testi dell’autore e dei partecipanti, ma anche su quelli di altri scrittori contemporanei. È un’occasione per un confronto, né più né meno: nessuna lezione di scrittura creativa, invece un dialogo – un lavoro – per riflettere e fare il punto sulle possibili idee di letteratura e sulla pratica responsabile di una (possibile) scrittura di ricerca.

Andrea Inglese è nato nel 1967: filosofo di formazione, è considerato uno degli autori più significativi nel panorama della poesia italiana contemporanea. Ha pubblicato un saggio di teoria del romanzo dal titolo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003); i libri di poesia: Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano a cura di F. Buffoni (1998), Inventari (2001), Colonne d’aveugles in edizione bilingue con traduzione (2007), La distrazione (Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009); le raccolte di prose Prati nel volume collettivo Prosa in prosa (Le Lettere, 2009); e Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001 (La Camera Verde, 2010). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei fondatori del blog letterario Nazione Indiana (www.nazioneindiana.com) ed è tra i redattori di http://gammm.org.

http://www.nazioneindiana.com/2006/06/16/scrittori-e-scriventi-libri-ragionamento-intorno-all%E2%80%99idea-di-ricerca-letteraria/

http://www.nazioneindiana.com/2010/02/10/per-una-critica-futura-n%C2%B0-56-editoriale/

http://www.nazioneindiana.com/2007/04/17/postumi-lo-scrittore-dopo-la-sbronza-della-fine-della-storia/

“Per quale presagio?”. Corpo Mistico di Stefano Donno


Corpo Mistico - Stefano Donno, PerroneLAB, collana Gli Ulivi, 2010“Per quale presagio?”
Ombre e misteri del nazismo magico nel “Corpo Mistico” di Stefano Donno.

“marce svastiche e federali sotto i fanali l’oscurità”
Aida, Rino Gaetano

Il nazionalsocialismo è probabilmente uno dei frutti più incredibilmente malsani e devastanti che la nostra specie abbia mai concepito nella sua storia. Poche degenerazioni della politica umana hanno condotto un così vasto numero di persone alla morte, alla fame, al disastro. Ancora oggi nel nostro continente paghiamo le conseguenze per eventi accaduti sessanta anni fa. Il nazionalsocialismo e, nella fattispecie, la storia degli oscuri personaggi che sono gravitati attorno alla figura di Adolf Hitler, hanno da sempre richiamato l’attenzione degli storici e degli storyteller, raccontatori di storie per immagini e scrittura. La bibliografia è sterminata, tra gli esempi più conosciuti sono da annoverare gli autori che hanno trattato quel periodo affidandosi alla tecnica dell’ucronia, ovvero costruendo mondi paralleli in cui la Germania Nazista (per fare un solo esempio) ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e ha esteso il suo dominio sul mondo, oppure non ha trovato un ostacolo efficace negli Stati Uniti D’America. Tre titoli su tutti per chi volesse approfondire: “La svastica sul sole”, di Philip K. Dick, “Il complotto contro l’America”, di Philip Roth, “Fatherland” di Robert Harris. Di recente, in Italia, due autori hanno affrontato quel periodo storico con ottimi esiti di scrittura. Giuseppe Genna, con il suo “Hitler”, ha scritto il primo vero romanzo sulla vita del dittatore del nazionalsocialismo; Enrico Brizzi, con “L’inattesa piega degli eventi” e “La nostra guerra”, ha calato il suo sguardo su un’ucronia italica, cioè fascista.
L’opera “Corpo mistico” di Stefano Donno viene oggi pubblicata per i tipi di LAB di Giulio Perrone editore (collana “Gli Ulivi” diretta da Teresa Romano), una serie fortunata che conta al suo attivo più di centoventi titoli.
“Corpo Mistico” è un romanzo che si inserisce in una tradizione breve (nel tempo) eppure così ricca, ricavando un percorso originale e approfondendo una delle tematiche forse più oscure e radicali insite in quel movimento così terribile come il nazionalsocialismo, ovvero sia l’esoterismo e la magia. Anziché affidarsi allo stratagemma dell’ucronia, l’autore presenta due documenti storici, il diario di Padre Karl Von Liebenfels e l’epistolario del fratello con lo stesso, corredando il romanzo con un testo redatto dal ricercatore che per primo ha reso possibile la divulgazione di questi documenti così eccezionali.
Stefano Donno si occupa quindi della redazione e della cura di queste carte sconvolgenti, contenenti i pensieri di Von Liebenfels, un uomo attraversato da un profondo turbamento spirituale, condotto da dubbi profondi circa lo stato della sua fede religiosa, al contrasto con le istituzioni che lo circondano. La mancanza di fiducia nelle persone che dovrebbero essergli di supporto si unisce allo sconforto derivante dal non trovare negli altri lo stesso rigore morale e lo stesso ardore nella ricerca di un equilibrio spirituale limpido. La differenza tra un baratro di oscurità e un buco nero sta nel fatto che mentre il primo può essere illuminato dalla luce, la forza di attrazione del secondo è così terribile da risucchiare la luce stessa. L’animo di Von Liebenfels, come un oggetto stellare perduto, nel corso degli anni prende una direzione autonoma, scevra dal mondo, fino a incontrarsi con qualcosa di ancora più temibile e tremendo. Il fratello infatti è un collaboratore di Himmler, comandante delle SS e poi Ministro dell’Interno del Reich. Il progetto di cui si occupa Jorg Lanz Von Liebenfels coniuga il nazismo magico e esoterico agli studi per il superuomo e la costruzione di un’umanità ideale, composta da supersoldati capaci di comunicare attraverso il pensiero, compiere prodigi, levitare e occupare più luoghi contemporaneamente. Si possono immaginare quelli che saranno gli esiti di tali studi, soprattutto se confortati dalla reclusione in un castello fatto costruire secondo i dettami delle antiche culture celtiche al quale si aggiunge la figura di un guru, anch’egli realmente esistito, Gopi Yogananda, che inizierà il gruppo di prescelti alle tecniche di meditazione necessarie per il raggiungimento di tali stati della mente e del corpo. C’è un momento del romanzo in cui tutte queste forze confluiranno in esiti fuori dell’ordinario. L’autore, nei momenti cruciali, quasi come un regista noir, affida alle nostre capacità di immaginazione e deduzione il compito di desumere il quadro complessivo dalla somma dei particolari, facendo così affiorare nel lettore quel sentimento del ‘tremendo’ così caro ai romanzi gotici di fine ottocento.
La figura, realmente esistita, a cui si ispira il protagonista del romanzo, è quella di Adolf Lanz (Lanz von Liebenfels), monaco austriaco e fondatore della confraternita estremista di destra Ostara, influenzato dall’esoterismo e della cultura indiana. Adolf Lanz fondò un suo movimento religioso e, nel 1921, si trasferì a Monaco per estendere la sua ‘predicazione’. Fu proprio lì che venne a contatto con Adolf Hitler e con il nucleo del costituendo Partito Nazionalsocialista dei Lavoratori, che adottò i principi di Ostara, nella necessità di ricollegare la propria fondazione a un credo ancestrale e ‘radicale’, che trovasse riferimenti nella storia del popolo germanico.
Stefano Donno, in “Corpo mistico”, presenta al lettore un filo rosso che lega i diversi tasselli di una storia che giunge fino ai giorni nostri, tramite una serie di allusioni e rimandi espliciti a eventi storici e personaggi realmente accaduti. Allo stesso modo con cui il Dracula di Bram Stoker restituisce una figura storica tramite testimonianze collaterali, in “Corpo Mistico” leggiamo di fatti realmente accaduti e documentabili, coi quali possiamo costruire una ‘nostra’ storia.
Ciò di cui dispone il lettore, al termine del romanzo, è un preludio a qualcosa di terribile che sta per accadere, un evento e una serie di rivelazioni che sovvertiranno il nostro modo di concepire la realtà e il rapporto psico-fisico tra gli umani. L’equilibrio di questa scrittura sta tutto nel costruire una dimensione parallela e ineffabile, coesistente alla storia e perfettamente plausibile, inscrivendosi in un solco già tracciato da autori della stessa generazione, oltre ai già citati Genna e Brizzi viene in mente Simone Sarasso, giovane autore edito da Marsilio, che ha approfondito con la stessa acribia e invenzione gli Anni di Piombo; una precisazione dovuta per fugare ogni dubbio critico dinanzi a tematiche revisioniste, cui “Corpo Mistico” non rischia di afferire, data la dichiarata natura di fiction-storico-documentale. Dopo la recente pubblicazione di “Dermica per versi” (Lietocolle) – già conferma di un personale percorso poetico – Stefano Donno ci dimostra di essere un affabulatore capace di scandagliare con compiutezza i turbamenti dell’animo umano.

articolo pubblicato sul quotidiano “il Paese nuovo” di Sabato 8 Maggio 2010 (formato PDF)

“Ed io parlo, scrivo e fumo” (Inquietudini) di Giovanni Bernardini


Dopo una attesa ragionevole viene pubblicato – per i tipi di Lupo Editore nella collana Topkapi – “Ed io parlo, scrivo e fumo“, di Giovanni Bernardini, raccolta tesa tra il genere memoriale e l’autobiografia per diari, scritti per oltre cinquanta anni dallo scrittore pescarese naturalizzato salentino. Come è scritto nella prefazione, della quale è autore Stefano Donno (curatore del volume) “Bernardini non è uno scrittore periferico, come lui stesso in più di qualche occasione tende ostinatamente ad affermare, proprio perché questa sua ‘modestia’ contrasta con una qualità di stile che solo un vero scrittore e non un semplice mestierante, è in grado di mettere nero su bianco”. Ce ne accorgiamo scorrendo le pagine nelle quali la biografia e i fatti della vita quotidiana si intrecciano alle vicende e ai personaggi letterari, senza risparmiare nessuno né risparmiandosi, con quel cinismo che a volte resta l’unica lente ottimale per osservare il mondo senza esserne troppo disgustati, proprio in virtù del grande sentimento che ci lega, volenti o nolenti, ai nostri contemporanei. Un pensiero di Bernardini, scritto il 15 maggio del 1996, recita “Una persona non mediocre in un ambiente di mediocri è irrimediabilmente condannata alla solitudine”.La lucidità e la critica di Bernardini – sociale e soprattutto politica – investono chi ci mal-governa e mettono a nudo chi si fa governare senza sviluppare un pensiero critico. Ciò che resta dalla lettura di questo libro è senza dubbio una testimonianza rilevantissima di un pezzo di storia del nostro paese, dal 1952 ai giorni nostri; se è vero, come scrive l’autore in un frammento datato 12 dicembre 2008, che “nessun libro pubblicato può restaurare la vita d’un vecchio. Può concedere solo un momento d’illusione, una fugacissima gioia”, è anche vero che la raccolta dei diari di uno dei nostri intellettuali più importanti, non potrà che aiutarci a restituire a noi stessi un’immagine di quello che è stato il secolo scorso, senza ipocrisia. Interrogare questo libro ci sarà utile, quindi, a interrogarci e recuperare quelle memorie storiche, flash, ricordi, presi da un tempo che altrimenti rischiamo di smarrire per sempre.

Luciano Pagano

Ed io parlo, scrivo e fumo (Inquietudini), Giovanni Bernardini, euro 16€, anno 2010, pp. 241, ISBN 9788896694206

Questione di palle (da tennis).


Sto pensando che gli italiani e le italiane con le palle (da tennis) non ci sono più. A breve Scajola sarà a “Porta a Porta” per manifestare i suoi dubbi sul fatto di essere stato ‘incastrato’ dentro a un complotto. Eccoci qui. Vittime di una democratura così forte e radicata che nemmeno ce ne accorgiamo più, basta che respiriamo. Dove mai può accadere che un ladro possa andare in diretta nelle case degli italiani a dire “beh, dai, ero un bravo ministro in fondo, secondo me è un complotto”. Italia, gli imbarazzi di Del Turco, gli imbarazzi di Mastella, gli imbarazzi di Scajola. L’unico che non si imbarazza è Lui, che può andare con le escort di stato e dire che in Italia, in fondo, c’è troppa libertà di stampa. Va a finire che Silvio invidia la Cina. La cosa bella è che tutto ciò funzionerà perfettamente perché gli italiani e le italiane hanno smarrito le palle (da tennis).
E pensare che da Decathlon costano solo 80cent l’una, le palle (da tennis).

“L’uomo Gesù” di Paul Verhoeven


Paul Verhoeven
L’uomo Gesù
La vera storia di Gesù di Nazaret
prefazione di van Rob Scheers
traduzione di Franco Pari

Paul Verhoeven, fin dall’infanzia ha provato per la figura di Gesù Cristo un fascino che non escludeva dubbi e domande cruciali. Se nei suoi film ha esplorato i limiti e le zone oscure della società e della psiche, lo stesso atteggiamento ha adottato nella stesura del suo primo libro, pronto a difendere posizioni di certo non allineate con gli insegnamenti ufficiali della Chiesa. Chi fu realmente Gesù di Nazaret? Quale fu la sua vita, e cosa arrivò a rappresentare? Queste le domande che si pone l’autore. Nel corso di duemila anni, la reale entità di questo straordinario personaggio è passata attraverso la coloritura dei racconti mirabili, degli atti di fede, dei miracoli, che hanno finito per ridurlo a poco di più di un’icona rassegnata e dolente. Niente di più lontano dall’immagine del Cristo proposta da Verhoeven. Verhoeven punta l’obiettivo su alcuni dei particolari meno noti dell’uomo Gesù, fornendoci il seducente ritratto di un Gesù affabulatore, brillante e appassionato, ribelle e provocatore, in molti aspetti assai contraddittorio. Da esperto regista, Verhoeven ci fornisce nuovi elementi per un film definitivo sulla vita di Cristo, e riesce insieme a regalarci un libro acuto e personalissimo. Il suo è l’approccio coraggioso e critico del libero pensatore, che non può fare a meno di porre domande. Fu Gesù a scegliere i suoi dodici apostoli? Credeva realmente di dover morire? E cosa è avvenuto davvero al suo corpo? Le risposte di Verhoeven riescono a rendere L’uomo Gesù un libro assolutamente originale e provocatorio.

Paul Verhoeven

Paul Verhoeven è il regista di successi quali Robocop (1987), Basic Instinct (1992), Starship Troopers (1997), e Blak Book (2006). Oltre al cinema Verhoeven ha un’altra grande passione: Gesù. Dopo aver lasciato l’Olanda nel 1985, si è unito in California al “Jesus Seminar”, una prestigiosa associazione di teologi liberali che studia che cosa abbia realmente detto e fatto la figura storica di Gesù. Come contributo a tale ricerca Paul Verhoeven, laureato in matematica e fisica a Leida, ha scritto numerosi papers scientifici che formano la base del suo libro L’uomo Gesù.

Era mio padre. Ezra Pound


Giù le mani da mio padre Ezra Pound

Nel 2009 ha avuto la sorpresa di trovare sul «New York Times» un commento sulla crisi dei mutui che si apriva riportando dei versi scritti da suo padre all’alba della Seconda guerra mondiale: «Con usura nessuno ha una solida casa». Versi maturati su teorie economico-politiche che, dopo aver ispirato il suo appoggio al fascismo, contribuirono a far rinchiudere per 13 anni Ezra Pound nel manicomio criminale di Washington. Teorie che ora l’America rivaluta come intuizioni profetiche contro lo strapotere di una finanza apolide, refrattaria alle regole e non compassionevole. «Una piccola rivincita», la citazione giornalistica, nella patria che aveva bandito il poeta come un traditore. Liberandosene con una condanna alla pazzia (mai diagnosticata, comunque). Oggi sfoglia un dossier di riviste italiane e si accorge che, sempre nel nome di suo padre, cresce «la marea nera del terzo millennio»: il movimento CasaPound. Nei resoconti si parla di «iniziative sociali e culturali» promosse dal network dell’ultradestra (lotte per casa, maternità e agroalimentare autarchico), ma anche di «raduni organizzati con disciplina marziale» da una «santa teppa» che si distingue per «bomber di pelle, teste rasate e bandiere dalle simbologie gotiche».

E osserva su Internet una sequenza di video che riassumono il gusto per certe «pratiche guerriere» di questi militanti che, quando «ballano prendendosi a cinghiate», esprimerebbero solo un «vitalismo futurista», mentre invece per qualcuno le loro sarebbero delle «mimetiche prove di violenza». Mary de Rachewiltz, figlia dell’Omero americano del Novecento, riflette sulle contraddizioni del doppio ritorno poundiano. Poi si concentra sugli ultimi ritagli, e si sfoga con sgomento. «Questo è un altro modo di mettere Pound in una gabbia, com’era quella del Disciplinary training center di Pisa dove fu segregato, la Guantanamo del 1945. Un danno enorme, perché nasce da una distorsione del significato del suo lavoro e rischia di comprometterne ancora un pieno riconoscimento critico. Un abuso, perché così lo si relega in una dimensione ambigua che va oltre il reazionario, verso una cifra regressiva. E perché lo si indica, a ragazzi dalle menti confuse, come un profeta tanto più affascinante in quanto pericoloso e proibito». Per l’erede del poeta, insomma, «non si può restare sul diplomatico», nel giudicare coloro che pretendono d’essere i «nipotini di Pound». L’hanno elevato a oggetto di un culto a sfondo quasi mistico-esoterico. E l’hanno inserito tra gli antenati ideali rievocando a mo’ di slogan alcune sue frasi «più o meno fiammeggianti pescate qua e là senza logica» dalla stagione in cui sostenne Mussolini. Che «per mio padre fu un momento di frattura molto complesso». E che perciò andrebbe riconsiderato, secondo lei, sulla base di variabili spesso trascurate.

A partire dalla sua visione della storia perché, spiega, «a lui interessava l’etica più che la politica, e di Mussolini diceva che avrebbe voluto educarlo e che era stato distrutto per non aver seguito i dettami di Confucio». È una difesa che la signora de Rachewiltz, traduttrice e filologa dell’opera paterna che vive a Tirolo di Merano, si concede con disagio. Essendo parte in causa, per lei dovrebbero essere gli anglisti che hanno a cuore la memoria di Pound a «battersi contro certe indebite appropriazioni». Ma decide di intervenire, anche se il terreno è scivoloso, per offrire qualche indizio di ricerca a quanti vogliono addentrarsi in una «questione tormentata e carica di ipocrisie». La sua traccia d’esordio riguarda i malintesi sul rapporto America-Italia da parte di coloro che sostengono di voler recuperare Pound. Chi, da sinistra, emancipandolo dalla «radiazione» decretata nel dopoguerra e presumendo che avesse rinnegato le proprie idee. Chi rivendicandolo alla destra, magari quella estrema di CasaPound. Spiega: «Ci si dimentica che furono gli italiani, e intendo i fascisti, i primi a non fidarsi di lui. La sua filosofia sociale — e adesso si ammette che non era lontana dalla dottrina di Keynes — era scaturita da una folgorazione mentre studiava le carte fondative del Monte dei Paschi e vagheggiava un’Italia antiborghese in grado di recuperare la tradizione e rinnovare il Rinascimento. Sognava un Paese che rifiutasse il capitalismo trionfante in America, dove per lui erano stati stravolti i valori dei Padri Pellegrini, basta scorrere il suo libro Jefferson and/or Mussolini per sincerarsene. Voleva una gestione morale dell’economia, attraverso l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e del processo del denaro che produce denaro, ossia il divinizzato mostro dell’usura che è motore dei circuiti finanziari… Sraffa lo invitò a parlarne alla Bocconi, nel 1933, ma dubito sia stato capito».

Ancora, aggiunge la figlia di Pound, «erano sempre italiani i partigiani che lo prelevarono a Rapallo urlandogli traditore e che avrebbero potuto fucilarlo, se non avesse chiesto di essere consegnato subito alle forze americane. Lui parlò con assoluto candore e sincerità perché aveva la coscienza pulita, del resto non aveva mai tratto vantaggi dalla dittatura né fatto male ad alcuno. Si era esposto fuori da ogni zona grigia perché era nella sua natura libera da conformismi difendere ciò in cui credeva. “I stand exposed”, aveva scritto già da giovane. Ma ormai era in moto la macchina giudiziaria che l’avrebbe stritolato senza nemmeno un processo». E qui si annoda un enigma dell’amletismo poundiano. Il poeta, racconta Mary, che con la madre Olga Rudge lo seguì fino alla morte a Venezia, nel ’72, era «un uomo dalla fierezza gentile, un altruista estraneo a qualsiasi forma di violenza». Caratteri testimoniati pure da Eliot, Joyce, Hemingway e tanti altri che beneficiarono della sua generosa intelligenza e amicizia. Restano però, e pesano come imbarazzanti corpi di reato, i testi delle sue trasmissioni da Radio Roma e rivolti a Usa e Gran Bretagna nella stagione dell’ultimo fascismo. «So bene quello che disse perché ho fatto pubblicare in America tutte le trascrizioni integrali», racconta la figlia. «Per giudicare i suoi discorsi radiofonici — aggiunge — bisognerebbe mettere come tara la radicalità di uno che predica un’utopia da no-global ante litteram, che vede intorno a sé il rischio dello sfacelo e si sente “formica solitaria tra le rovine d’Europa”. Aveva detto: “È dovere di ognuno tentare di immaginare un’economia sensata, e tentare di imporla con il più violento dei mezzi, lo sforzo di far pensare la gente”».

Fu vittima di un abbaglio? «Stando alla lezione impartita dalla crisi di questi mesi, pare di no. Non del tutto. Le sue invettive nascondevano piuttosto una forma di ira ingenua, espressa a volte in forme furibonde. Voleva arrivare al paradiso possibile, alla città eterna… Aveva una visione dantesca ed era molto critico verso Roosevelt, che era sceso in conflitto con l’Italia, e verso i finanzieri di Wall Street (e, faccio notare, che cosa dice in questi giorni il presidente Obama contro le banche?), in larga parte ebrei, ciò che favorì l’accusa di antisemitismo. Accusa ingiusta e basta pensare che i suoi più cari amici erano appunto ebrei — Aldo Camerino, Giorgio Levi, Manlio Torquato Dazzi e tanti altri — senza contare che nessuno di noi sapeva nulla della Shoah… Va considerato che Pound era un poeta, e quando un poeta si arrabbia pronuncia frasi terribili, sragiona, e lo stesso Dante bestemmiava contro la sua patria… Era tempo di guerra, una guerra che le parole dei poeti non potevano fermare. Non letteratura e propaganda ci voleva, ma saggezza». Dunque, Pound riteneva di non aver fatto nulla di male, di aver esercitato un «diritto alla protesta» sancito dalla Costituzione americana, «che voleva salvare nei suoi valori originari assieme alla cultura dell’Europa». Ma come giudicò se stesso, a posteriori? Si pentì? «Riconobbe i suoi sbagli, certo, e ci sono i frammenti poetici della vecchiaia a dimostrarlo: “Ammettere i propri errori senza perdere la rettitudine”… “Un uomo che cerca il bene e fa il male”. Ma senza rinnegare se stesso o il fascismo in quanto tale, perché non era affar suo. E neppure poteva ritrattare la sua convinzione che il fascismo, allora, andasse bene in Italia, restando in fondo convinto di aver fatto una cosa giusta: era stato il primo a capire il dramma, sociale e culturale, al quale avrebbe portato una certa economia…».

«Nei suoi ultimi dieci anni di vita — conclude Mary de Rachewiltz — non parlò più con nessuno, e con noi familiari appena il necessario. Ora, siccome per la legge americana chi sta muto si dichiara innocente, quel silenzio poteva essere interpretato come una dichiarazione d’innocenza. Ma pentirsi di errori di giudizio non significa rinnegare. La realtà era più complessa: mio padre si era reso conto che non riusciva a farsi capire. “Il silenzio è la voce di Dio”, mi disse il prete di San Giorgio dopo aver celebrato il suo funerale. Evidentemente, se continuano a fraintenderlo, quella sua lunga pausa non è bastata».

incontro tra Mary de Rachewiltz e Marzio Breda
Corriere della Sera, 1 Aprile 2010