Nel racconto moderno il personaggio non esiste. Esistono delle figure e dei fatti che non sono mai esattamente identificabili con i soggetti e gli oggetti; ci sono lotte e sconfitte, ma sono prive quasi totalmente di senso. Alla lettera potremmo immaginare un personaggio sconfitto e in fuga, lacero, disfatto e senza speranza. Potrebbe anche avere un’ultima notte di sogno e di disperazione, in cui i fantasmi vengono eccetera eccetera… L’ultima cena, l’ultimo addio, e così via. Ma queste sono sciocchezze che non succedono che nella storia – e antica, per giunta -. Questa è la realtà: nel mondo moderno tutti sono gli sconfitti, e agli sconfitti resta un’infinità di vie – dal commercio alla dirigenza d’azienda fino all’idea di scrivere le proprie memorie chiamandole banalmente romanzo -. Sconfitti sì, ma vivi. Niente di meno, niente di più. E niente di meglio che essere (credere di essere) fuori della mischia. Fuori della lotta per la vita. Niente più capo né gregario, vivere come tutti quanti: una vita comune. Ma il problema qui è un altro. Non ha importanza, più, essere quello che si è, oppure un’altra cosa, tutt’altra cosa o tutt’altra persona: tanto siamo tutti uguali. Unici, è vero, come individui, ma uguali, poco meno che identici. La nostra è l’epoca più giacobina che sia mai esistita – e a nostra insaputa -. Il livellamento è tale che non c’è alternativa per nessuno: ai vari livelli di cultura, intelligenza, potenza, ricchezza (quindi anche dei loro contrari) la storia (la vicenda) è quasi sempre la stessa.
Il nostro protagonista non è dunque nessuno in particolare, non rappresenta un’idea particolare, non è un simbolo: niente. Uno qualunque ha infinite possibilità di esistere in questo o in qualsiasi mondo: l’ingranaggio è unico. Immaginiamo che la scena si svolga in un futuro a breve, brevissima scadenza, cerchiamo ragioni di riso in un mondo fantascientifico d’invenzione. Ma non lasciamoci fuorviare del tutto: domani, lunedì, riaprono uffici e banche: la lotta sta per riprendere il suo quitidiano volto di normalità noiosa e indifferenziata. Fra poco tutti correranno, affaccendati, come al solito, il gioco rientra nelle sue regole solite. Chi sono i vincitori? Chi sono i vinti? Nessuno lo sa; occorre mimetizzarsi seguendo una strada qualunque senza sapere dove porta. Le cose non cambiano poi molto. Ci può essere persino una fine che non è una fine.
da “O barare o volare“, Gilberto Finzi, 1977, Garzanti