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La Santa Alleanza


Riprendo qui di seguito un articolo del “Il Manifesto” e ne linko un altro di Panorama del Dicembre 2009 (sembra un secolo) quando Umberto Bossi dava dell”Imam’ al Cardinale Dionigi Tettamanzi

La Santa Alleanza
Marco D’Eramo

Se ci avessero detto che sarebbe stata la celtica e pagana Lega a consegnare l’Italia al Vaticano, non ci avremmo mai creduto. E se ci avessero detto che la Chiesa della Caritas e dei padri comboniani avrebbe applaudito il partito della caccia all’extracomunitario, nemmeno a questo avremmo mai creduto. A dimostrazione della nostra sconfinata ingenuità.
Ma se per Enrico IV Parigi valeva bene una messa, per i cardinali Bertone e Bagnasco un embrione val bene un vu cumprà, alla faccia degli ultimi che diventeranno i primi sì, ma a essere espulsi con foglio di via. Non è facile ingoiarlo, ma una volta accettato questo principio, ci è infine chiaro perché per la curia romana votare a sinistra è più grave che molestare un minore.
Infatti a colpire non è tanto l’arcigno arroccamento del Vaticano sul tema della pedofilia dei preti; e neanche la quasi indecorosa esultanza per i proclami leghisti anti RU-486. No, è la concomitanza: a invocare il sacro diritto alla sopravvivenza degli embrioni è la stessa Chiesa che fa muro attorno ai sacerdoti molestatori. Ed è la stessa destra che ostacola la pillola a difendere i preti pedofili, come si è visto ieri quando il ministro della giustizia ha inviato ispettori contro un procuratore solo perché ha smentito la Curia e ha detto che mai «in tanti anni» è venuta dalla Chiesa una denuncia contro un prete pedofilo. Assistiamo così alla nascita di una nuova Santa Alleanza, come quella sancita nel 1815 dal Duca di Wellington e da Metternich, solo che ora, come tutte le seconde volte, è sancita da Angelino Alfano e Tarcisio Bertone.
È come se la Curia fosse colta dalla sindrome della fortezza assediata. Già una volta nel secolo scorso abbiamo visto a quali disastri ha condotto questa mentalità (nel caso dell’Unione sovietica).
Certo è che in Vaticano non se ne rendono conto: nel resto del mondo la pedofilia ecclesiastica è uno scandalo altrettanto devastante di quello delle indulgenze che suscitò la Riforma protestante cinque secoli fa. La pedofilia ecclesiastica può spazzare via il cattolicesimo da intere aree della carta geografica. Ma che cale? L’importante è riconquistare l’Italia.
E i nostri nuovi machiavelli strapaesani sono pronti a concedere tutto su aborti e pillole, a inondare di euro scuole e cliniche private cattoliche pur di assicurarsi il controllo totale del territorio. Con una bizzarra eterogenesi dei fini: domani a finanziare «Roma ladrona» (o almeno il suo più augusto potere) sarà proprio la Lega. Sembra passato un secolo da quando il giornale dei vescovi se la prendeva col nostro premier: l’Italia val bene una (o più) escort.
Così a noi italiani, padani o non, ci tocca vivere in un paradosso: secondo tutte le statistiche, siamo una società largamente irreligiosa, ma siamo immersi in una cappa clericale; siamo l’unico paese al mondo in cui i prelati dettano legge alla politica quando nel resto del pianeta il cattolicesimo rischia l’estinzione. Per parafrasare un famoso detto di Porfirio Diaz: povera Italia, così lontana da dio, così vicina al Vaticano!

Chi di stampa ferisce di stampa perisce.


Abbiamo pazientato quattro mesi…ora basta! Non è passato molto tempo – le scorse elezioni europee sono ancora un ricordo tiepido – da quando la stampa ci ha subissato con le notizie dell’Affaire Noemi. Quasi non ne avessimo abbastanza si è presentato l’Affaire D’Addario, ovvero: escort a pagamento per il premier. Da lettori ci siamo quasi rotti le palle. Chi ha votato la maggioranza cerca di glissare con le parole dello stesso premier “non siamo mica santi”, quasi a dire: anche gli angeli mangiano fagioli. Chi non lo ha votato vomita sul selciato prima di esalare l’ultimo respiro e accogliere con ovazioni il Presidente della Camera ovunque egli presenzi, feste democratiche e isole comprese. Finché un giorno. Finché un giorno non ci si stufa di tutta questa melma. “Era pure ora!” sbottano i fedelissimi. Ecco che il bravissimo e stimatissimo Giordano viene allontanato dalla sua sedia di direttore de “Il Giornale”. Ecco che al suo posto ritorna l’ottimate Vittorio Feltri. Chi di stampa ferisce di stampa perisce. Rapida sequenza. Querela a Repubblica e alle famose dieci domande che possono essere rivolte a quel posto lì. Querela a “L’Unità”, nel caso che anche i baluardi estremi della resistenza e della libertà di stampa credano di passare impuniti – scrittrici comprese. Caso Boffo ovvero: come allontanare e punire un direttore con un articolo e un dossier finto, una bufala degna di Luther Blissett. Di oggi l’attacco a Gianfranco Fini, sempre dalle colonne de “Il Giornale”, scavalcato a destra dal Premier, troppo di sinistra, praticamente compagno. Chi sarà il prossimo? L’opinione dominante a quanto pare necessita di ‘aiutini’ per drizzare il consenso. Chi sarà il prossimo? Umberto Bossi? Chi può dirlo? Che dire di un bell’attacco al Carroccio? Giusto per non riscaldare troppo gli animi tra Libia e Italia, tra un barcone affondato e un altro respinto, approfittando della distensione imperante…Umberto Bossi…Chi può dirlo? Se non altro le ultime settimane hanno dimostrato che ogni testata dispone dei suoi dossier e foto etc. etc. [continua….]

Umberto Bossi, la carica dei 300.000!


Elettori di destra, avete Umberto Bossi, e ve lo meritate. 15 Giorni. Sono bastati quindici giorni perché Umberto Bossi ritornasse a sfoderare i toni forcaioli cui ci ha abituato in questi anni di governo e non governo, sempre sulla breccia, sempre duro. La notizia è di 54 minuti fa, “Non so cosa vuole la sinistra, noi siamo pronti, se vogliono fare gli scontri io ho trecentomila uomini sempre a disposizione, se vogliono accomodarsi”. Certo, come buon scodinzolatore tra qualche ora sarà pronto a smentire, dirà che la sua è una provocazione, è da provocazioni simili (ricordiamo tutti Calderoli quando indosso una maglietta con le famose vignette danesi) non vorremmo mai essere vaccinati. Eppure certe volte ci vogliono anticorpi come quelli posseduti da Verdone in “Troppo forte”, quando racconta – coincidenza – della sua partecipazione alla Palude del caimano. “Mi auguro aggiunge che la sinistra scelga la via delle riforme, non come l’altra volta che non vollero assolutamente la riforma federale”. È un’iperbole senza requie, o federalismo o morte, o federalismo o scontro, Umberto Bossi assume sempre l’atteggiamento del buttafuori dal mento alzato, che istiga allo scontro. E poi l’apoteosi “I fucili sono sempre caldi”. Bel Paese del cazzo!