Manuale per principianti. su “Occidente per principianti” di Nicola Lagioia


A scanso di ogni equivoco chiarisco da subito il senso del titolo di questa recensione, secondo me, da un buon libro si può sempre imparare qualcosa, ci si può confrontare con la realtà e con la scrittura di un’altra persona, si apprende e si critica, in questo senso l’ultimo romanzo di Nicola Lagioia, “Occidente per Principianti”, è un ottimo esempio di scrittura, un ottimo esempio di come si possano mescolare più generi, dal punto di vista dello stile e dell’intreccio, e, infine, di come si possa descrivere il conflitto tra invididuo e realtà, nella fattispecie il grande circo che ruota attorno all’informazione. Difatti, insieme ai personaggi sembrano essere protagonisti di questo romanzo le “situazioni”, ovvero i nuovi stereotipi del quotidiano contemporaneo, la redazione fluttuante di un giornale, che in realtà non viene nemmeno nominata dato che il mondo del giornalismo viene spaccato in due, e una parte di esso, quella che noi vediamo, è in realtà il risultato di molteplici attriti che di nascosto fanno in modo che gli eventi accadano (l’informazione crea l’evento) , mentre nel frattempo alcune persone, di nascosto, danno vita alla materia grezza dell’evento, agli pseudo-fatti e alle parole. Il grande studio di avvocati a Milano, dove allo stesso modo con cui si fabbricano gli eventi/notizie si fabbricano le leggi/escamotage, la professoressa di Cinema, il famosissimo latitante che si scioglie come un bambino al ricordo del suo passato da avanspettacolo, il tutto nel torrido luglio del duemila uno. Il mondo della scrittura (anche di quella filmica) diviene ciò che è, per l’appunto un crocevia di distorsioni, affollato di profittatori e ricattatori, dove i pochi puri (Materia, forse) vengono colti costantemente da pensieri paranoici. Lo scrittore, questa volta come artigiano, malgrado sia un ghost writer sembra per una volta appassionarsi all’evento che deve creare, da un indizio all’altro sembra davvero interessato a scoprire il passato di Rodolfo Valentino, forse vorrebbe somigliare a quest’attore, quanto meno vorrebbe come lui sfondare quella linea di demarcazione tra l’anonimato e lo spettacolo, così come il latitante per l’appunto sta rinchiuso in un bunker a masterizzare cd&dvd e viene presentato anche lui come uno che fa gesti d’attore, per poi rivelarsi davvero un ex-cabarettista. Tutto si gioca sulla metafora dello spettacolo, ed il reale è reale nella misura in cui più di una persona, ma forse basterebbe l’articolo di un giornale, lo certificano, e quindi è probabile che ti rifilino un chilo di pesce puzzolente spacciandolo per elisir di giovinezza, purchè lo facciano nel retro bottega del laboratorio di una maga fattucchiera cocotte. Il tutto, nel romanzo, avviene con una leggerezza ed una scrittura che scorrono in un soffio, la storia è divisa in due parti, nella prima il protagonista si prepara al suo viaggio sulle tracce di Rodolfo Valentino, nella seconda questo viaggio prende il suo corso. La forza della prima parte è proprio nella descrizione di Roma che ne fa Nicola Lagioia, più che altro nella descrizione di questa cultura supermarket dove ognuno sceglie da se quali sono le sue bussole per orientarsi nella discussioni da cocktail, Foucault? Foucault. Camus? Camus; per poi dare spazio ad una delle sensazioni che più sono presenti in questa parte del romanzo, la malinconia, da Fitzgerald a Celine (“C’è un’inerzia in tutto questo, una pesantezza, una tristezza”). Il mondo nel frattempo scorre velocemente, luglio, Genova, le notizie si inseguono come veline mentre i protagonisti inseguono una velina che deve divenire fatto concreto. I linguaggi si mescolano, il fumetto, il film, la comunicazione ossessiva degli sms di Zelda e quella delle telefonate oltreoceano, l’oltreoceano viene presentato quasi come un anomalo e distante paradiso in telefonate gracchianti. In parallelo si sviluppa la vicenda di Materia, il cineasta che il cinema ha redento ed espulso come una particella di antimateria intento nella produzione del capolavoro intitolato “Occidente per principianti”, con cineprese e pellicole d’annata (se Kubrick fosse ancora vivo sceglierebbe sicuramente Materia come direttore della fotografia) e tagli e montaggi computerizzati, in fuga, forse semplicemente in ricerca costante della compagnia di un amico. Il finale? Il finale è a sorpresa, ne vale la pena. Nel frattempo è finita l’estate, è arrivato il settembre del duemilauno, senza un grammo di retorica l’autore si allontana dalla scena per finire in un ristorante, non è più un fantasma come recita la quarta di copertina, non lo sono più nemmeno i personaggi che ha creato, soltanto che adesso tra il virtuale ed il reale si è creato un ulteriore scarto, quello dell’iperreale, ripreso, rivisto, riproposto centinaia di volte, con cui il protagonista fa i conti per non soccombere. Mi viene in mente che per un protagonista uscito dal mondo sommerso dei ghosts, forse, da qualche parte, un altro ha preso il suo posto.