La rete dei desideri che si incrociano
tratto da Tabula Rasa, numero 4, (Besa Editrice, Novembre 2005),
informazioni su Besa Editrice, iQuindici, Musicaos.
[1] Miopie e miraggi.
Di recente il poeta e critico letterario Maurizio Cucchi, in visita nelle Puglie per presentare il suo primo romanzo, ha avuto modo di essere intervistato sul “Corriere del Mezzogiorno” dal poeta e giornalista Enzo Mansueto. Maurizio Cucchi, sempre di recente ha curato/sottoscritto un volume antologico dedicato alla “Nuovissima poesia italiana” per i tipi di Mondadori. L’attenzione critica di Maurizio Cucchi nei confronti della poesia e della lingua italiana, della prima come critico e della seconda come scrittore, è pressocchè indiscutibile. La sua antologia pubblicata nella collana dei Meridiani e curata insieme a Stefano Giovanardi (Poeti italiani 1945-1995), costituisce il secondo tassello di un discorso antologico iniziato da Pier Vincenzo Mengaldo nel 1978 e, allo stesso tempo, si propone come riferimento per una generazione, non soltanto di lettori, cui appartenevano nell’anno in cui fu pubblicata l’antologia “Poeti italiani del Novecento”, bimbi ancora in fasce o addirittura non-ancora-nati; si tratta di quella generazione che comincia oggi ad essere presentata e raccolta in altri progetti editoriali. Con ciò risulta evidente, accostata alla militanza giornalistica di Cucchi, la conoscenza della materia. Ma torniamo all’intervista del Corriere. L’argomento toccato, ad un certo punto, è stato l’esplodere della nuova oralità poetica, dei reading, di movimenti legati alla poesia e alla sua espressione. L’intervistatore chiede un parere su Lello Voce. Cucchi risponde anzitutto chiarendo che questo fenomeno non è affatto recente e poi, molto brevemente, dicendo che se lasciamo la poesia in mano a persone come Voce forse è meglio che andiamo a giocare tutti a pallone.
La bellezza di (certi) giudizi critici si misura, anche, dalla commistione dello stile, della competenza, e della singolarità che i giudizi stessi vogliono racchiudere in maniera apodittica. La sottrazione dell’immagine e il rifiuto da parte dello scrittore, rifiuto programmatico messo in atto ed enunciato ad esempio dai Wu Ming (cfr. Manifesto, da home page di http://www.wumingfoundation.com), il rifiuto da parte dello scrittore di intervenire in argomenti che non gli competono minimamente, che esulano dalla sua poetica, dalla sua ricerca, da tutto ciò che non è scrittura, ebbene questo rifiuto è legittimo. E’ interessante vedere come una posizione così forte (dove la ‘forza’ è un semplice concetto che bilancia la debolezza filosofica cui ci abituano certe descrizioni postmoderne) venga da scrittori che operano (anche) in rete piuttosto che da intellettuali che migrano da uno studio all’altro, parlando di letteratura, della loro ultima fidanzata, del loro piatto preferito o di tutte e tre le cose insieme. Antitetici a queste forme di intellettualismo sono tanto Maurizio Cucchi quanto Lello Voce. Tornando all’esegesi della risposta su Voce espressa da Cucchi, sfruttiamo questo concetto dei Wu Ming, in che modo? Cercando di capire quale aspetto dell’agire culturale di Lello Voce sia passibile della critica cucchiana, che sfocia in un invito a recarci allo stadio, oppure, lama a doppio taglio, a sederci in casa ad osservare gli ottavi di finale della Champions League piuttosto che a leggere un libro o, se ci chiamiamo Lello Voce, a scrivere dei versi.
Il pretesto iniziale è utile per questo, la rete dopo diversi anni non è più il luogo par excellence dell’underground letterario, dei sentieri interrotti e delle pagine scadute, dei siti commerciali delle case editrici, dei forum chiusi, la rete è discussione e qualità, nonché possibilità concreta di far nascere e veicolare discorsi di natura ‘storico-letteraria’, questo articolo presenta alcuni spunti di riflessione in tal proposito.
[2] La prosecuzione della letteratura con altri mezzi.
Il rapporto tra i lettori di poesia e i poeti è cambiato. E’ cambiato allo stesso modo il rapporto tra i poeti e la poesia stessa. E’ questo un periodo in cui uno dei sinonimi più accattivanti dell’agire culturale sulla rete è quello di condivisione. Qualcosa che nasce per essere espresso nasce per essere condiviso. Un incremento della condivisione costruisce le basi per quell’incremento del sapere che rende possibile la conoscenza, sapere è potere. La poesia è un patrimonio letterario e culturale non esclusivamente basato sull’azione della scrittura, il fatto che sia presente sui libri o che sia presente in rete è indifferente. ‘La parola è importante’.
La costituzione di un presupposto canone critico, non sappiamo fino a quando, sarà centrata sul vaglio della produzione cartacea.
Ciò implica che la letteratura poetica, per quanto la poesia ancora dirsi appartenente ad una nicchia, è comunque legata ad un discorso di circolazione dei materiali e quindi anche economico. Un critico letterario difficilmente potrà leggere due o trecento libri al mese, come difficilmente potrà soffermarsi su non più di una decina di testi in modo chiaro e imparziale. A ciò si aggiunga il fatto che spesso la poesia è veicolata il più delle volte su mezzi di indiscutibile pregio manifatturiero, edizioni a tiratura limitata, stampe che per alcuni editori specializzati non superano le cento/duecento copie di tiratura, cinquecento nel migliore dei casi. In poche parole certe ‘zone’ della produzione letteraria poetica letteraria sono situate all’esatto opposto di ciò che la rete rappresenta in termini di capacità di raggiuntimento del lettore. Edizioni limitate si ritagliano uno spazio nella marea di libri stampati (più di centomila all’anno); ‘contenuti’ sul web convivono sullo stesso plateux orizzontale (leggi anche ‘di orizzonte’) tra miliardi di pagine in rete. Il che significa, agli antipodi, che quando un libro di versi riesce a giungere nelle mani del lettore, in Italia, si grida ancora al miracolo. Questa situazione era lucidamente descritta in un libro comparso per Pratiche Editrice nel 1981, il libro in questione era “Sulla poesia. Conversazioni nelle scuole”, tra gli autori ospitati e interrogati dagli studenti delle scuole c’erano, anche, Andrea Zanzotto e Maurizio Cucchi. Era chiaro, già allora, che il numero di lettori/acquirenti della poesia non era per niente considerevole.
Lo stesso Cucchi rispondeva così alla domanda “Quante copie sono state vendute delle sue opere?”:
“Il Disperso, pubblicato da Mondadori, ha avuto una tiratura di 2.000 esemplari, che poi vengono più o meno venduti, di cui 100-200 vengono distribuiti gratis a critici, amici, ecc. e gli altri che figurano venduti sono in libreria, o nelle biblioteche. In Italia si può calcolare che un libro di poesi di autore vivente pubblicato da un grosso editore venga letto – salvo gli addetti ai lavori – da 500 persone su circa 60 milioni di abitanti. Le cose sono peggiorate dal ’56 ad oggi dal momento che la tiratura media di un testo poetico rimane di 2.000 copie ed essendo aumentato il numero di abitanti è evidente che la diffusione della poesia è diminuita.
Si dice nei rotocalchi che il cantautore è un poeta; ho il massimo rispetto per i cantautori, però la poesia è un’altra cosa, richiede un altro tipo di lavoro, un altro senso della parola. La facile riproducibilità delle opere di poesia toglie al mestiere di poeta molto del prestigio sociale e della importanza economica in confronto, per esempio, a quello del pittore.” (il corsivo è mio).
Ecco un’altra affermazione su cui si può ulteriormente riflettere. Quanti hanno scoperto le opere di Villon o Edgar Lee Masters, per fare un esempio, grazie all’ascolto dei dischi di Fabrizio De André? Certo è vero, le eccezioni confermano le regole. Tuttavia, quando si parla di “prestigio sociale” mi vengono in mente una serie di immagini evocative, Dante Alighieri che passeggia e viene additato come una persona che ha realmente compiuto un viaggio nell’Oltretomba è un esempio di immagine evocativa.
Emblematico a riguardo l’atteggiamento di Mario Luzi, nei confronti di Fabrizio De André, in un intervento intitolato proprio “Fabrizio De André, la chanson come letteratura” (5 novembre 1997, ora in “Mario Luzi. Una voce dal bosco”, Nuova Iniziativa Editoriale S.p.a., 2005) esordiva così “Caro De André, sono invecchiato nella quasi totale ignoranza del suo talento e me ne scuso”, per poi riconoscere il forte valore sociale e letterario dell’opera del cantautore, nel quale riconosceva evidentemente un’identità di percorso civile, a prescindere dall’iscindibilità di testo e musica, tuttavia tentando di leggere quei testi dotati di intrinseca ritmicità. Un’esortazione, certo, rivolta da uno dei poeti più rappresentativi del secolo ad uno dei suoi cantanti più espressivi; se proprio vuol darsi una regola che scinda la musica dalla poesia ‘letteraria’ lo chansonnier de “La guerra di Piero” è certamente l’eccezione che confermerebbe quella regola.
Venti anni fa, in Italia, il paragone possibile tra cantautori e poeti. Oggi, la ritrosia, per alcuni, nel riconoscere come buoni i risultati poetici di certi movimenti che nascono e utilizzano la rete, che, a scanso di equivoci, non è ‘additivo’ della poesia, semmai veicolo possibile, non tanto perché non ci sia della qualità in certi discorsi, ma forse perché alcuni discorsi risultano scomodi e non funzionali alla letteratura della distanza (Poesia Italiana) perché troppo vicini alla vita.
[3] Nella frattura il percorso
Eppure è proprio all’interno di questa frattura (tra cantautori e poeti ieri, e tra scrittori in rete e scrittori fuori dalla rete, non semplicemente intesa come supporto) che si è delineato un percorso di continuità tra gli anni sessanta e oggi, nel mentre che è in atto una discussione sull’affrancamento/oltrepassamento del Gruppo ’63. Aldo Nove è stato curatore di un’antologia intitolata Covers, nella quale venivano presentati testi di canzoni tradotti in italiano da poeti. L’antologia “ma il cielo è sempre più blu” reca come sottotitolo “album della nuova poesia italiana”. La commistione di linguaggi, già in atto, diviene una scelta programmatica. Non ‘antologia’, né tuttavia ‘collezione’ di testi. Con un rimando alla lingua inglese si dà una versione non tanto di ‘collection’, quanto di ‘compilation’ della poesia italiana di oggi, rendendo ragione di un movimento ampio di resa della poesia al pubblico. Gli stessi curatori vengono sono definiti come peejays, ‘deejay della poesia’, ‘poetry jammer’. Jamming & Slamming. Il fenomeno, al di là del suo valore documentario e letterario, può essere interpretato in duplice chiave. Una critica più superficiale potrebbe definire, questo, come un tentativo di ‘svecchiare’ la poesia, avvicinandola a quante più persone possibile. Questa interpretazione, se accettata come univoca, presupporrebbe che la poesia in genere sia un corpus agonizzante al cui capezzale si affannano nei modi più impensati medici, alchimisti e fattucchieri. Secondo me questi sono veicoli che non servono a ringiovanire, ma a confermare le origini della poesia, la poesia come canto, la poesia come narrazione lirica di ciò che accade, la poesia come tentativo difficilissimo e impervio di descrivere la realtà. Un fenomeno che è nato e si è accompagnato alla poesia dalla sua nascita a oggi. L’ermetismo di Celan non sarebbe comprensibile senza un ancoraggio alla sua condizione storica e biografica.
E’ un tentativo ben riuscito di rendere merito di un travaso oramai in atto tra “poesia e realtà” (vedi Poesie e Realtà ’45-’75, Il pane e le rose, Savelli, Roma, 1977, a cura di Giancarlo Majorino), tra azione e pensiero dell’agire poetico. In un mondo in cui non si è più capaci di ricordare la poesia deve giungere in soccorso, in un mondo dove siamo bombardati da informazioni e da miriadi di linguaggi differenti la poesia può fornire i mezzi per delineare orizzonti di silenzio nel mezzo del frastuono, se necessario con lo stesso frastuono trasmutare il silenzio che ne consegue, l’attimo infinitesimale che passa dalla fine di un verso detto e lo spegnimento del microfono. I musicisti raffinati potranno continuare a sostenere che questa non è propriamente musica, e i poeti altrettanto ortodossi potranno sostenere che non si tratta propriamente di poesia. Resta il fatto che queste produzioni rendono merito di centinaia di altre produzioni simili, in teatro, dove la poesia è disseminata e contaminata, lì anche la lingua muta.
[4] L’antologia negata. ma il cielo è sempre più blu Lello Voce/Aldo Nove
1. Uno dei concetti più interessanti che Lello Voce trasmette durante i poetry slam è il concetto di comunità. Perché veniamo ad ascoltare in un reading un poeta che dice i suoi versi? Per esserne appagati? Perché partecipiamo da spettatori ad una lettura di versi, alla presentazione di un libro, ad un poetry slam? Per essere lì? Non escluso che a volte accada anche questo, ma che cos’è che spinge il lettore all’incontro con chi scrive? Il gesto di acquistare, ricevere, scaricare e leggere un libro è un gesto intimo che presuppone il cercare e, momentaneamente, la soddisfazione del desiderio nell’aver trovato, nell’opera che abbiamo di fronte, una risposta. In inglese e informatica diremmo query, è il meccanismo che ci spinge a vagare casualmente da uno scaffale all’altro di una biblioteca in cerca della risposta ad una domanda interiore. La presentazione di un libro, con l’autore o con un critico oppure con un semplice lettore appassionato che fa da guida, è un momento in cui si crea ‘comunità’, in un reading o in uno slam si raggiungono momenti che possono viaggiare dall’emozione alla repulsione in pochi attimi. Il concetto, tuttavia, è uno: non c’è una persona che parla davanti ad una platea, lo spettatore e l’attore sono sullo stesso livello.
Questa condizione può darsi se ci limitiamo all’ambito della parola scritta, dovunque essa compaia? La risposta è sì, la poesia può, nell’intimità della lettura, divenire lettura di se stessi; eppure l’urgenza di certe situazioni non può rimanere su un foglio di carta. La poesia è una moneta che acquista valore nello scambio continuo, nel non essere più propria (dell’autore) ma altra (di tutti). Questo è uno dei tasselli che compongono l’anima del discorrere-poesia di Lello Voce. Facciamo un passo indietro, al Gruppo ’93, per rintracciare, se c’è, l’origine e la premessa di questo operare:
“Le condizioni per progettare un lavoro poetico non sembrano più date dalla dicotomia tra lingua ordinaria e lingua seconda in cui realizzare lo scarto.
La lingua ordinaria, oggi, è già in partenza estetizzata come comunicazione sociale. Il vecchio detto ‘si fanno più metafore in un giorno di mercato che in cento poesie’ all’interno di una mutazione complessiva delle situazioni e delle modalità comunicative, è diventato una realtà quanto mai pervasiva. Al rapporto norma-scarto potrebbero essere contrapposte diverse strategie di contaminazione” (“Baldus, Mariano Baino, Biagio Cepollaro, Lello Voce, Allegoria e torsione della lingua” in Gruppo ’93. La recente avventura del dibattito teorico letterario in Italia, Piero Manni,1990).
Il presupposto stesso della ricerca poetica andrebbe cercato nell’orizzontalità di un discorso sulla lingua, più che nella sua verticalità. Per quanto la poesia, nei secoli, possa aver attraversato periodi di fruizione legati essenzialmente ad ambiti elitari, perfino nelle corti doveva esservi ‘condivisione’ e, per quanto ristretta, ‘comunità’, il che tuttavia, oggi, non è più possibile. Non può darsi comunità senza dialogo tra i partecipanti e i componenti della comunità perché il dialogo è uno dei presupposti dell’idea stessa di comunità. La poesia non è soltanto una questione di scrittura e di lingua.
“Crediamo nella funzione essenzialmente comunicativa della poesia in quanto lingua e nostro obiettivo è quello di evitare l’afasia derivante dall’enfatizzazione del lavoro sul significante per indagare, attraverso la complessità dei livelli testuali, la complessità del reale”
E prima ancora “[…] la dicotomia insistente sulla centralità del Soggetto o, al contrario, sulla sua disseminazione” verso “una pratica testuale costantemente critica nei confronti dell’io lirico”.
La differenza che viene stabilità è tra poesia per sé e poesia per gli altri, questo sembrerebbe il messaggio. A questo si aggiunge, di recente, Fastblood (i cui testi riuniti sotto il titolo L’esercizio della lingua hanno ricevuto il Premio Delfini di Poesia 2003), l’ultimo lavoro su cd di Lello Voce, dove viene messa in gioco l’idea di brand, con utilizzo degli stessi mezzi dei media per apportare idee differenti, alternative ed contrarie ad una condizione che quelle idee ha generato.
2. La poesia quindi, quando non è soltanto parola scritta, quando è anche ‘discorso’ che travalica i confini della pagina, diviene interlocutrice di alcune logiche. Una delle possibili alterità rispetto alla poesia tradizionale potrebbe consistere nella dichiarazione di queste logiche e di un tentativo di risolverle senza che tutti, il poeta, la lingua, l’azione, ne risultino schiacciati. Le antologie sono state il punto di partenza di questo discorso. I criteri, la scelta dei materiali, la stesura delle schede critiche espellono un lavoro, poi visibile sotto forma di elenco, autori, poesie scelte. Antologia equivale a comunità.
L’antologia “ma il cielo è sempre più blu” è differente, perché dell’antologia tradizionale, o meglio, di alcune cattive antologie, travarica l’impianto di catalogo per innescare il discorso, il suo filo conduttore, nell’impianto visibile dell’antologia. Il progress che ne risulta è esso stesso telaio della proposta editoriale. Perché, dunque, antologia negata?
Rimandiamo al sito di Lello Voce (www.lellovoce.it) per ogni notizia riguardante il difficile percorso editoriale di questa operazione, conclusosi nella sua diffusione dal sito stesso.
Il sottotitolo dell’opera recita “album della nuova poesia italiana”. Lello Voce ha prodotto due testi accompagnati da cd (“I segni i suoni le cose”, Manni e “Farfalle da combattimento”, Bompiani) oltre al già menzionato FastBlood. Mentre Aldo Nove ha curato nel 2001 Covers. Nelle galassie oggi come oggi (Einaudi). Di conseguenza esiste un richiamo sotteso al fatto che i poeti contenuti in questa antologia non possono essere scissi dal loro agire poetico e performativo. Tra gli altri troviamo testi del collettivo torinese Sparajurii, impegnato in laboratori di scrittura, performance di reading e produzione di cd audio, dove viene condotto l’interessante esperimento, se così potremmo definirlo, di mixing poems with music, laddove al posto di musiche originali vengono utilizzati pezzi musicali noti (dai The Doors, fino a Lou Reed, passanto per Brian Eno), con un effetto di risulta straniante, dovuto anche alle tematiche affrontate nei testi. Ma procediamo all’interno del testo.
3. Abbiamo detto che la peculiarità di questo testo è nel telaio, l’antologia è infatti un racconto. Tra una poesia e l’altra, infatti, brevi frammenti di prosa delineano un discorso. Inoltre è interessante la suddivisione tematica in sezioni (le rovine, i ruoli, il lavoro, la discoteca, il sesso, la memoria, la violenza, l’amore, le merci, la lingua, il sogno [vostro]). Le sezioni delineano un catalogo all’interno del catalogo. C’è un testo di Tiziano Scarpa, Il capitalismo straniero, che racchiude in una poesia terribile quello che da venti, forse trent’anni ci è accaduto intorno. L’ansia smodata di un paese che cerca verità e trova televisione. Perché dunque la prosecuzione della letteratura con altri mezzi? Perché la poesia deve essere critica e, attualmente, la rete fornisce il grado di libertà adatto perché la critica sia recepita in modo capillare, come è giusto che sia per tenere il passo con chi è onnipresente e onnicomunicante. E se la realtà diventa più cattiva allora anche le antologie non devono descrivere lo status quo della poesia ma devono farsi portatrici di una proposta differente. Citiamo una poesia di Luciano Erba (in Mengaldo, 1978), intitolata “Le giovani coppie”:
Le giovani coppie del dopoguerra
pranzavano in spazi triangolari
in appartamenti vicini alla fiera
i vetri avevano cerchi alle tendine
i mobili erano lineari, con pochi libri
l’invitato che avev portato del chianti
bevevamo in bicchieri di vetro verde
era il primo siciliano della mia vita
noi eravamo il suo modello di sviluppo.
La linea lombarda si assesta su un’espressione dei moduli del quotidiano in versi, in una circoscrizione del fatto reale tramite descrizioni ‘esatte’, nei suoi esiti più spontanei questa poesia traduce un nuovo-realismo (non neorealismo). Ci vorranno anni per arrivare a raggiungere la stessa cruda spietatezza (vedi Ecce Video, di Valerio Magrelli) del quotidiano che, ad esempio, si ritraccia nei versi di Gabriele Frasca antologicizzati qui da opere già pubblicate. Oggi però sembra che il tentativo più atteso sia quello di tradurre in versi il reale, con tutta la sua insensata mostruosità e, nello stesso tempo, di cercare una soluzione. Lo specchio si è infranto e l’incanto si è rotto. A distanza di cinquant’anni il reale è edulcorato, in altri contesti si cerca una poesia che colmi il divario tra il dopoguerra e l’oggi. Mi vengono in mente certe atmosfere rintracciabili in “Le luci gialle della contraerea” (Mario Desiati, LietoColle), quale forma di impegno può essere attuata, da una generazione che ha vissuto sulla sua pelle virtuale la visione di una guerra reale a distanza? Le nostre case possono essere paragonato a rifugi? Il rifugio è altrove. Alla poesia, con il tramite della rete, si chiede di aderire il più possibile alla realtà. La stessa sete di reale giunge dalle redazioni delle riviste letterarie. Sullo stesso percorso si muovono le voci poetiche dell’agire, seminate in un paese dove il verso è detto e cantato, in teatro e in musica. Aedi cui non spetta il compito di costruire dopo le rovine, ma di rendere possibile la costruzione anche nonostante le rovine.
Ho incominciato questo intervento citando un’intervista di Maurizio Cucchi. Uno dei passaggi di quell’intervista racchiudeva un pensiero scomodo, quasi in contraddizione con quanto sostenuto in precedenza nello stesso luogo.
(E. Mansueto) E che dire di internet: la rete sta erodendo la pagina scritta?
(M. Cucchi) <<Io credo che la pagina sia una casa in affitto. La poesia non è necessariamente parola scritta. Sta nel nostro cervello. Uno può comporre a memoria e ripetere oralmente. La pagina è un luogo, un supporto su cui depositare la parola. La parola è la cosa importante>>. (Corriere del Mezzogiorno, 5 febbraio 2005, supplemente de Il Corriere della Sera).
La parola è importante.
Libri, Ascolti, Visioni.
– Sulla poesia. Conversazioni nelle scuole. Bertolucci Sereni Zanzotto Porta Conte Cucchi. Pratiche Editrice, Parma 1981
– “ma il cielo è sempre più blu”, album della nuova poesia italiana, a cura di Lello Voce e Aldo Nove
– Sololimoni, agrumi e testi sui fatti di Genova, a cura di Giacomo Verde e Lello Voce, con “Global Horror Picture Show” di Marco Philopat, Shake Edizioni Underground, 2002
– Gabriele Frasca, La lettera che muore. La “letteratura” nel reticolo mediale, meltemi, Roma 2005
– Mario Luzi, una voce dal bosco. a cura di Renzo Cassigoli con una introduzione di Gianni D’Elia. Nuova Iniziativa Editoriale S.p.A., Aprile 2005
– Fastblood, absolutepoetry, MRF5 ed. mus, e informazioni su www.lellovoce.it
– SparajuriiLive, download da www.sparajurii.com
– Mariangela Gualtieri (Teatro della Valdoca), Michele Sambin (Tam Tam), Roberto Paci Dalò (Giardini Pensili)
– “il detto del morto orale” (CB)
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