Epigonia


“Epigonia”

epigonia.jpg

questi che il ferro e il fuoco fanno usi
fendere verso voi persi ad abusi

non vogliono che esprimere una lingua
loro fino al tumore che l’impingua

recitano una parte al suono di un motivo
fragile vita priva di scorta al rivo

di sangue che li trova abbandonati
dopo sia incenso e soste e per commiati

generici come sempre il morto attira
su sé cordoglio e manca o dov’è la folla

quando spira

Ed ecco io video. Apocalissi con figure, in movimento.


“Ed ecco io video”

Un Predicatore americano, sullo schermo, sta parlando dell’imminente ritorno di Cristo sulla terra. Segue un breve resoconto della predica online, al quale tento di avvicinare alcune riflessioni sul cortocircuito tra escatologia e millenarismo. Suggerisco, dopo la lettura, la visione del video, spero tuttavia di essere riuscito a condensarne in maniera ottimale il contenuto.
L’intenzione del Predicatore è quella di mostrare il panorama completo delle profezie contenute all’interno della Bibbia. In pratica, oggi stiamo vivendo un periodo quieto, per i fedeli e per la chiesa, nel quale soltanto in apparenza stiamo continuando a vivere la nostra vita all’insegna del fancazzismo più sfrenato. Sta per avvicinarsi infatti un periodo di tribolazione, in questo periodo tutti i fedeli sono prossimi all’incontro con Cristo, il che mi pare essere un buon giro di parole per dire che tutti stiamo per morire, non solo, il Predicatore sostiene che nei prossimi sette anni avverrà la più grande delle tribolazioni, dopodiché il Cristo tornerà sulla terra. Mi preoccuperei di meno se tutto ciò fosse vero. Ma la cosa si fa interessante, il Predicatore dice che tutto ciò è in accordo con quanto scritto sulla Bibbia. Mi domando cosa abbia mangiato questa persona nel pranzo del giorno in cui, dopo sonni tormentati e risvegliandosi nel tardo pomeriggio, oltre ad una serie discreta di flatulenze, ha partorito questa nuova visione del mondo. Ad uso e consumo di noi mortali, è naturale. Un breve spot interrompe questa anticipazione, si tratta della pubblicità di un tour, un viaggio che ognuno di noi può fare spendendo qualche centinaio di dollari. Il comune mortale, prima che sia giunta la notte della grande tribolazione potrà visitare Patmos, Istanbul, la Roma dei papi e di San Pietro. Segue, dopo lo spot del viaggio organizzato, e poi quello delle pubblicazioni editoriali dedicate all’interpretazione delle profezie millenaristiche. Mi viene da pensare che questi predicatori ogni due o tre anni dilazionino il giorno fatidico nel quale cominceranno i sette anni di fine del mondo, così da vuotare le casse, svendere le copie rimaste, ricominciare daccapo. Deve essere un mercato fiorente. ‘Quando leggerete queste cose, capirete che Gesù è prossimo’.
La puntata in questione è dedicata all’11 settembre. Il Predicatore ci spiegherà l’importanza di questo evento se letto nell’ottica dei prossimi anni – in termini di avverarsi delle profezie bibliche – non solo, ci mostrerà i passi della Bibbia nei quali si parla degli attacchi alle Torri Gemelle. Con rispetto parlando, Let us go.
Il Predicatore non è stupido, parte da considerazioni geografiche, bacchetta alla mano e mappamondo sulla scrivania. Negli Stati Uniti d’America vive un settimo della popolazione mondiale, questo è il primo dato che si premura di affermare. Il secondo dato consiste nel fatto che la maggior parte del petrolio del pianeta è conservato dall’altra parte (rispetto agli States) del globo, in medio oriente. Un Predicatore, questo, che dimostra di conoscenza degli ultimi venti anni di storia contemporanea. Il succo del discorso iniziale è questo, nella Bibbia è previsto che, a causa del petrolio, tutto l’ovest si sposterà verso l’est, l’attenzione del mondo sarà rivolta all’est, all’oriente, la fonte citata è Zaccaria 5. Il Predicatore tentenna, la sua voce è convinta, il tono è sicuro, l’andamento, tuttavia, è zoppicante. Qualcosa mi dice che stia mentendo su qualcosa, c’è una forzatura. Nella Bibbia si parala di malvagità, il Predicatore dice che la malvagità è un modo come un altro per definire il denaro, il libero scambio, il commercio; non mi sembra di capire, sto ascoltando un americano tuonare contro il libero mercato e la globalizzazione, il che sarebbe plausibile, un Predicatore televisivo si scaglia contro mammona all’indomani dell’undici settembre. Zaccaria parla di due donne che avevano ali come di cicogna, le due donne andranno dalle Torri Gemelle (impero americano) per prendere la malvagità e la ricchezza e portare a Shinar, ex-Babilonia, Iraq per intenderci; le due donne porteranno lì la ricchezza e costruiranno un palazzo. Vado in cerca delle tracce dell’Efa (come dice la Diodati), o Ephah come dice il Predicatore. Trovo niente meno che l’Apocalisse, e la Babilonia Commerciale. La descrizione di Babilionia, così come è scritta nell’Apocalisse, fa troppo gola per non essere paragonata a New York. Ed è lì che va a parare il Predicatore, è ovvio, Apocalisse 18 vs. 11 Settembre. Spot pubblicitario numero due, nel quale si vende un calendario, un chart, un calendario/grafico che ci permette di riconoscere l’approssimarsi della fine del tempo – in anticipo – è ovvio.
Ed ecco il colpo scenico del Predicatore, il suo tocco da maestro. Al contrario di Sodoma e Gomorra, Babilonia ha sempre goduto di ottima salute anche nei momenti in cui il signore la vedeva dall’alto con occhi torvi. Babilonia la grande, Babilonia la prosperosa, il Predicatore dice che Babilonia non è stata mai distrutta, tanto è vero che io ci sono stato nel 1963, nel 1971, e di recente, nel 1980, Babilonia, of course, non è affatto New York, la cui descrizione calza meglio a quelle contenute nei testi sacri, Babilonia è l’Iraq, ecco perché le profezie sono veritiere e la Bibbia non è affatto da cogliersi in senso metaforico. La Bibbia è un romanzo neorealista la cui trama abbraccia quasi quattro millenni, e, ai giorni nostri, siamo prossimi al termine della vicenda…almeno così è scritto. Saddam Hussein, in accordo con quanto scritto sulla Bibbia e fermo restando che Babilonia non è stata mai distrutta, da anni e anni sta conducendo quella che è la Costruzione della Seconda Babilonia. Follia pura. Saddam quindi non stava in realtà alimentando il suo potere personale sulle spalle degli abitanti di uno dei paesi in potenza più ricchi del pianeta, Saddam stava costruendo la Seconda Babilonia, in accordo con quanto scritto sulla Bibbia. Le guerre di religione, così ripudiate e affibbiate a chi sta dall’altra parte del mediterraneo (per noi) e del globo (per gli americani), sono fomentate anche in patria, cos’altro vuol dire il Predicatore se non che la nostra missione contro l’Iraq poggia su basi che le sono fornite da una doviziosa interpretazione delle sacre scritture, di fronte alle quali, tutti quanti, dobbiamo inchinarci? Alcuni brandiscono la spada e il corano, altri brandiscono la spada e la Bibbia, non cambia nulla, chi li sta a sentire si accorge che hanno ragione, che le loro parole sono fondate, che tutto era scritto. Tutte le guerre sono state già scritte. Un modo come un altro per gettare fumo negli occhi degli ignoranti. Dimenticavo di aggiungere che per tutta la durata della prima parte della predica, dietro al Predicatore c’è uno schermo al plasma con un fermo immagine raffigurante un peplum ambientato a Babilonia. L’immagine materiale che il Predicatore intende trasmettere assume un ruolo-chiave nell’esegesi. Vengono letto, di seguito, alcuni passi di Geremia, nei quali sono contenuti due tipi di concetti, il primo, che Babilonia verrà inesorabilmente distrutta, delenda Babylon, il secondo concetto è che verranno distrutte pietre angolari che sono pietre angolari, vite che sono vite, palazzi che sono palazzi; nulla in tutto ciò è metafora, ciò che non è stato ancora distrutto al giorno d’oggi lo sarà. I palazzi di Babilonia crolleranno, avvolti nelle fiamme e vampate terribili, fino agli ultimi due versi di Geremia 51. Ma se Geremia sostiene che Babilonia verrà distrutta e non risorgerà mai (premessa maggiore) e se il Predicatore televisivo sostiene che Babilonia non è mai stata distrutta prima d’oggi (premessa minore) allora stiamo assistendo alla distruzione di Babilonia (Iraq). Non ci sono dubbi, secondo il Predicatore stiamo vivendo la fine, siamo sull’orlo del compimento della profezia. Terzo Spot. Vi ricordate di quando vedevate la televisione tutti insieme, come una buona famiglia cristiana? Rimpiangete quei giorni? Ma dai! Da oggi c’è 1-888-SKY-ANGEL, la rete di programmi religiosi di intrattenimento e divulgazione, cartoni animati, video musicali, programmi di approfondimento, al costo di 9$ al mese per 36 canali, giusto il prezzo di una small pizza (in corrispondenza di questo advertise nello spot si vede una mamma che mangia una fetta di pizza insieme alla bambina, in piedi davanti al classico bancone della cucina americana, quella con il bricco di caffè sciacquato dietro le spalle). Domanda: il Predicatore è a conoscenza del fatto che per sintonizzarsi su SKY ANGEL al cliente fedele basta possedere una parabolica da 18”? Quarto spot. Ancora il tour nei luoghi dell’impero cristiano cattolico apostolico romano, che quindi intuisco essere la fonte primigenia del sostentamento economico di questi predicatori. Ci stiamo avvicinando al clou, con Daniele 2, 34-35 e 44, tutti sapete di cosa stiamo parlando se parliamo di un gigante dalla testa d’oro e i piedi d’argilla. Il signore farà sorgere un regno indistruttibile che nessuno potrà intaccare o attaccare, anzi, sarà proprio questo regno a soggiogare tutti gli altri. La profezia è ambigua e duale, il Predicatore è abile a questo punto nel non citare né l’uno (gli Stati Uniti d’America – il Bene) né l’altro regno (l’Iraq di Saddam Hussein). Mi sono dimenticato di dire che la trasmissione in questione risale al 25 settembre di quest’anno, quindi non è frutto del parto malato di menti predicatrici che si sono arrovellate su queste tematiche dopo l’11 settembre, questo video illuminista viene trasmesso dopo che la guerra è stata iniziata, dopo che sullo svolgimento della stessa a livello planetario chiunque ha avuto modo di farsi e vedere crescere diverse opinioni, dopo l’arresto e il processo a Saddam Hussein. Il segreto della profezia cela il perché del mantenimento, in ottima salute, di Babilonia. Babilonia potrà essere distrutta soltanto dalla seconda venuta di Cristo. Difatti siamo giunti alla profezia più importante di tutte, quella contenuta nel capitolo diciotto dell’Apocalisse; questa profezia è importante perché il suo contenuto sarà realtà proprio poco tempo prima della seconda venuta di Gesù Cristo. La prima caduta di Babilonia, senza troppi spargimenti di sangue è avvenuta nel 539 avanti Cristo per mano dei Persiani. Quella cui stiamo per assistere (o già assistendo?) sarà (è?) la seconda. Dopo quest’ultima profezia il Predicatore riporta il discorso in zone geografiche e semantiche attuali, torna a parlare di petrolio, il linguaggio e i termini utilizzati in diversi racconti profetici, la terminologia ship, shipmaster, fanno pensare quasi alle petroliere, sappiamo che sono queste grandi navi a trasportare il petrolio. “(18,17) E tutti i capitani, tutti i passeggeri e i naviganti e tutti quanti commerciano per mare se ne staranno da lontano (18,18) e, vedendo il fumo del suo incendio, grideranno: <<Quale città era simile alla grande città?>>. (18,19) E si getteranno della polvere sul capo e grideranno, piangendo e facendo cordoglio, dicendo: <<Ahi! Ahi! La grande città in cui tutti coloro che avevano navi sul mare si erano arricchiti della sua magnificenza, perché è stata devastata in una sola ora!”. Il fatto che i naviganti e tutti quanti commerciano per mare se ne staranno lontano viene collegato, nella nuova profezia, all’embargo. Il Predicatore chiede alla sua spalla, per supportare l’ipotesi che anche gli eventi di cui parla l’Apocalisse siano eventi che stanno accadendo oggi sotto i nostri occhi, “ma come facevano tutti coloro che avevano navi sul mare ad essersi arricchiti della sua magnificenza, se non commerciando in oil?(petrolio)”. Tutto torna. La logica e la scientificità dell’aderenza tra realtà del testo e realtà del mondo è suggerita dalla serietà trasmessa dal Predicatore e dalla sua spalla, il primo, poco oltre la quarantina (Mr. Phillip Goodman), è quello con la parlantina sciolta, il secondo, più anziano non fa che confermare quanto sostiene il primo, tutti e due hanno una Bibbia formato A4 davanti a loro, la sfogliano, la leggono, saltano da un libro all’altro. Al termine dell’intervento viene proposto l’acquisto di un libro-reportage da Babylon (Bagdad). God bless you, vi invitiamo alla seconda parte dello speciale che andrà in onda la prossima settimana, e ricordate che our goal is to reveal the truth of scripture as it pertains to the second coming of Jesus Christ.

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Digressione. Il contenuto della rivelazione sin qui esposta è facilmente visibile in rete, non solo, i testi sui quali si basa l’intera rivelazione, oltre naturalmente alla storia degli ultimi anni, sono con molta probabilità già presenti in casa vostra, nella Bibbia (Antico e Nuovo testamento). Proprio nell’inserto settimanale del Sole24Ore uscito domenica scorsa un articolo di Gianfranco Ravasi era dedicato alla Bibbia nel suo significato di testo religioso unito alla sua importanza come testo letterario. La Bibbia intesa non soltanto come libro dei libri ma anche come storia delle storie, miniera di narrazioni cui hanno attinto i popoli d’Oriente e, in virtù della diffusione planetaria del Cristianesimo, anche i popoli d’Occidente. E’ innegabile, malgrado l’abisso ideale che separa l’Antico dal Nuovo Testamento, il ruolo che questo testo ha avuto e continua ad avere nella storia della diffusione della cultura presso i popoli nelle diverse epoche, l’immaginario collettivo si è da sempre nutrito delle narrazioni e delle storie bibliche. La Bibbia di Gutenberg ha contribuito alla diffusione della lettura come fenomeno individuale, forse dando un input decisivo al fenomeno dell’autodidassi lettoriale e autoriale. Lo stesso Martin Lutero tradusse e diffuse le favole di Esopo, segno che ai tempi della Riforma la Bibbia era strumento di trasmissione di una consapevolezza di sé al cospetto del mondo.

§

Il delirio profeto-statunitense descritto non è affatto inedito. Non si tratta di una novità, la paranoia che connette i fatti che accadono oggi in Medio-Oriente con l’Apocalisse non si tratta di un fenomeno che segue all’undici settembre. Un film più di tutti sembra raggiungere il livello paranoideo del Predicatore menzionato pocanzi, addirittura una produzione angloitaliana degli anni settanta, laddove l’addirittura è giustificato dalla presenza nello stesso film di calibri come Kirk Douglas, Adolfo Celi e Robert Caine, forse la pellicola in questione non ha meritato l’Oscar, tuttavia in una storia della cospirazione paranoica connessa ai racconti relativi alla fine del mondo un posticino se lo ritaglia. Questa pellicola, in anticipo/sintonia di 30 anni, con il delirio neotestatunitense è stata impressa in Inghilterra, e si intitola “Holocaust 2000” (con Kirk Douglas, Robert Caine, Adolfo Celi).
Basta leggere la trama prima ancora di vedere il film per accorgersi di quante pulsioni si addensino attorno a questo oggetto-paranoico:

“L’industriale Robert Caine vuol costruire in un paese del Terzo Mondo una centrale termonucleare di inaudita potenza, ma anche mostruosamente pericolosa. Si oppongono al progetto sua moglie Eva, il capo dell’opposizione dello Stato che ospiterà l’impianto, uno scienziato, un medico e un sacerdote che nella centrale identifica una delle “bestie” dell’apocalisse. Quando costoro vengono eliminati in circostanze oscure, Caine, dapprima incredulo, si convince che il suo progetto è voluto dal Maligno, dall’Anticristo, per la distruzione dell’umanità. Scopre anche grazie al defunto medico che l’Anticristo si è incarnato in suo figlio Angel. Decide allora di ucciderlo ma viene immobilizzato e condotto in una clinica per malati di mente dove rischia la morte. Riuscito a fuggire, raggiunge la sua compagna, la giornalista Sara Golan che gli ha appena dato un figlio e con la donna e il bambino si rifugia in un lontano paese. Assunta la direzione dell’impresa Angel è ormai libero di realizzare il suo progetto che dovrà essere attuato al compimento del suo trentatreesimo anno. Come vogliono le profezie, però, il figlio che Sara ha dato a Robert è destinato a contrastare i piani del Maligno.”

Il film è disseminato (più esatto sarebbe dire profuso) di citazioni dal libro dell’Apocalisse, una delle visioni che rimane più impressa è quella dello stabilimento petrolifero che emerge dai flutti e si trasforma nella bestia dalle molte teste.

Il regista di questo anti-capolavoro si chiama Alberto De Martino, lo stesso cognome del ben più famoso antropologo e studioso, Ernesto De Martino, che proprio ad un testo postumo ripubblicato nel 2002 da Einaudi e intitolato “La fine del mondo”, raccoglieva anni di ricerche e riflessioni sul tema delle apocalissi culturali. L’edizioni in questione altri non è che una ristampa dell’edizione del 1977, in pratica lo stesso anno in cui fu girato Holocaust 2000. Proprio da questo testo estraggo un frammento (260.3) nel quale viene delineata con lucidità estrema la differenza tra l’escatologia delle scritture nella quale c’è speranza, e l’escatologia della contemporaneità, dalla quale ogni forma residua di speranza è scomparsa:

“Nella vita religiosa dell’umanità il tema della fine del mondo appare in un contesto variamente escatologico, e cioè o come periodica palingenesi cosmica o come riscatto definitivo dei mali inerenti alla esistenza mondana: si pensi per esempio al Capodanno delle civiltà agricole, ai movimenti apocalittici dei popoli coloniali nel secolo XIX e nel XX, al piano della storia della salvezza nella tradizione giudaico-cristiana, ai molteplici millenarismi di cui è disseminata la storia religiosa dell’occidente. In contrasto con questa prospettiva escatologica, l’attuale congiuntura culturale dell’occidente conosce il tema della fine al di fuori di qualsiasi orizzonte religioso di salvezza, e cioè come disperata catastrofe del mondano, del domestico, dell’appaesato, del significante e dell’operabile: una catastrofe, che narra con meticolosa e talora ossessiva accuratezza il disfarsi del configurato, l’estraniarsi del domestico, lo spaesarsi dell’appaesato, il perder senso del significante, l’inoperabilità dell’operabile.
Senza dubbio l’attuale congiuntura culturale dell’occidente non si esaurisce in questo tema disperante e disperato, e anche quando se ne lascia sfiorare o toccare o addirittura investire con soffio di tempesta reagisce variamente al suo mortale richiamo […]”

Lo spunto per la collezione di queste note deriva dalla considerazione che l’interesse per la fine e della sua descrizione nascondono le modalità di cui si nutre l’uomo per vivere il presente. A ciò si aggiunge che, se ad esempio nel caso di De Martino l’antropomitografia poteva costruirsi soprattutto su fonti letterarie oltre che sulla ricerca antropologica, oggi non esiste più una religione o qualche religione, bensì migliaia di movimenti, alcuni dei quali millenaristi; oggi, forse, si possono azzardare ipotesi di natura stratigrafica sulla consistenza dei fenomeni culturali, ognuno con ricezione diversa perché somma di quanto veicolato anche da fonti spurie (la Bestia di Holocaust 2000 come raffigurazione della Bestia nell’Apocalisse di Giovanni). Esempi di narrazioni che si rincorrono, che anticipano oppure descrivono in contemporanea alimentandosi di un cortocircuito che non è più vissuto come alterità, o addirittura arrivano postume di due millenni rispetto a quanto accaduto. Essendo la veridicità di ogni discorso in discussione, ciò che si vede sarà ciò che si ottiene, compresa la fine del mondo.

Fonti

Per la rivelazione della profezia, ovvero Il secondo ritorno di Cristo
http://video.google.com/videoplay?docid=458579566498649741&q=11%2F9

dalla Bibbia i libri di
– Zaccaria, 5
– Daniele, 2
– Geremia, 51
– Apocalisse, 18


e poi

– Ernesto De Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi prima ed. 1977, 2002.
– Holocaust 2000 regia di Alfredo De Martino, con Kirk Douglas, Robert Caine, Adolfo Celi, Agostina Belli, Simon Ward


Filmografia apocalittica

The Horn Blows at Midnight (1945)
Late Great Planet Earth by Hal Lindsey (1970)
666 by Salem Kirban (1970)
A Thief in the Night (1972)
The Omen (1976)
God Told Me To (1977, a.k.a. Demon)
A Distant Thunder (1977)
Damien: Omen II (1978)
The Number of the Beast (197?)
The Number of the Beast by Robert Heinlein (1979)
Fear No Evil (1980)
The Apple (1980)
The Final Conflict (1981)
Image of the Beast (1981)
The Prodigal Planet (1983)
The Seventh Sign (1988)
Child of Darkness, Child of Light (1991)
Omen IV: The Awakening (1991)
The Servants of Twilight (1991)
The Rapture (1991)
The Bible Code by Michael Drosnin (1997)
The End of Days (1999)

La rete dei desideri che si incrociano


La rete dei desideri che si incrociano

tratto da Tabula Rasa, numero 4, (Besa Editrice, Novembre 2005),
informazioni su Besa Editrice, iQuindici, Musicaos.

[1] Miopie e miraggi.
Di recente il poeta e critico letterario Maurizio Cucchi, in visita nelle Puglie per presentare il suo primo romanzo, ha avuto modo di essere intervistato sul “Corriere del Mezzogiorno” dal poeta e giornalista Enzo Mansueto. Maurizio Cucchi, sempre di recente ha curato/sottoscritto un volume antologico dedicato alla “Nuovissima poesia italiana” per i tipi di Mondadori. L’attenzione critica di Maurizio Cucchi nei confronti della poesia e della lingua italiana, della prima come critico e della seconda come scrittore, è pressocchè indiscutibile. La sua antologia pubblicata nella collana dei Meridiani e curata insieme a Stefano Giovanardi (Poeti italiani 1945-1995), costituisce il secondo tassello di un discorso antologico iniziato da Pier Vincenzo Mengaldo nel 1978 e, allo stesso tempo, si propone come riferimento per una generazione, non soltanto di lettori, cui appartenevano nell’anno in cui fu pubblicata l’antologia “Poeti italiani del Novecento”, bimbi ancora in fasce o addirittura non-ancora-nati; si tratta di quella generazione che comincia oggi ad essere presentata e raccolta in altri progetti editoriali. Con ciò risulta evidente, accostata alla militanza giornalistica di Cucchi, la conoscenza della materia. Ma torniamo all’intervista del Corriere. L’argomento toccato, ad un certo punto, è stato l’esplodere della nuova oralità poetica, dei reading, di movimenti legati alla poesia e alla sua espressione. L’intervistatore chiede un parere su Lello Voce. Cucchi risponde anzitutto chiarendo che questo fenomeno non è affatto recente e poi, molto brevemente, dicendo che se lasciamo la poesia in mano a persone come Voce forse è meglio che andiamo a giocare tutti a pallone.
La bellezza di (certi) giudizi critici si misura, anche, dalla commistione dello stile, della competenza, e della singolarità che i giudizi stessi vogliono racchiudere in maniera apodittica. La sottrazione dell’immagine e il rifiuto da parte dello scrittore, rifiuto programmatico messo in atto ed enunciato ad esempio dai Wu Ming (cfr. Manifesto, da home page di http://www.wumingfoundation.com), il rifiuto da parte dello scrittore di intervenire in argomenti che non gli competono minimamente, che esulano dalla sua poetica, dalla sua ricerca, da tutto ciò che non è scrittura, ebbene questo rifiuto è legittimo. E’ interessante vedere come una posizione così forte (dove la ‘forza’ è un semplice concetto che bilancia la debolezza filosofica cui ci abituano certe descrizioni postmoderne) venga da scrittori che operano (anche) in rete piuttosto che da intellettuali che migrano da uno studio all’altro, parlando di letteratura, della loro ultima fidanzata, del loro piatto preferito o di tutte e tre le cose insieme. Antitetici a queste forme di intellettualismo sono tanto Maurizio Cucchi quanto Lello Voce. Tornando all’esegesi della risposta su Voce espressa da Cucchi, sfruttiamo questo concetto dei Wu Ming, in che modo? Cercando di capire quale aspetto dell’agire culturale di Lello Voce sia passibile della critica cucchiana, che sfocia in un invito a recarci allo stadio, oppure, lama a doppio taglio, a sederci in casa ad osservare gli ottavi di finale della Champions League piuttosto che a leggere un libro o, se ci chiamiamo Lello Voce, a scrivere dei versi.
Il pretesto iniziale è utile per questo, la rete dopo diversi anni non è più il luogo par excellence dell’underground letterario, dei sentieri interrotti e delle pagine scadute, dei siti commerciali delle case editrici, dei forum chiusi, la rete è discussione e qualità, nonché possibilità concreta di far nascere e veicolare discorsi di natura ‘storico-letteraria’, questo articolo presenta alcuni spunti di riflessione in tal proposito.

[2] La prosecuzione della letteratura con altri mezzi.

Il rapporto tra i lettori di poesia e i poeti è cambiato. E’ cambiato allo stesso modo il rapporto tra i poeti e la poesia stessa. E’ questo un periodo in cui uno dei sinonimi più accattivanti dell’agire culturale sulla rete è quello di condivisione. Qualcosa che nasce per essere espresso nasce per essere condiviso. Un incremento della condivisione costruisce le basi per quell’incremento del sapere che rende possibile la conoscenza, sapere è potere. La poesia è un patrimonio letterario e culturale non esclusivamente basato sull’azione della scrittura, il fatto che sia presente sui libri o che sia presente in rete è indifferente. ‘La parola è importante’.
La costituzione di un presupposto canone critico, non sappiamo fino a quando, sarà centrata sul vaglio della produzione cartacea.
Ciò implica che la letteratura poetica, per quanto la poesia ancora dirsi appartenente ad una nicchia, è comunque legata ad un discorso di circolazione dei materiali e quindi anche economico. Un critico letterario difficilmente potrà leggere due o trecento libri al mese, come difficilmente potrà soffermarsi su non più di una decina di testi in modo chiaro e imparziale. A ciò si aggiunga il fatto che spesso la poesia è veicolata il più delle volte su mezzi di indiscutibile pregio manifatturiero, edizioni a tiratura limitata, stampe che per alcuni editori specializzati non superano le cento/duecento copie di tiratura, cinquecento nel migliore dei casi. In poche parole certe ‘zone’ della produzione letteraria poetica letteraria sono situate all’esatto opposto di ciò che la rete rappresenta in termini di capacità di raggiuntimento del lettore. Edizioni limitate si ritagliano uno spazio nella marea di libri stampati (più di centomila all’anno); ‘contenuti’ sul web convivono sullo stesso plateux orizzontale (leggi anche ‘di orizzonte’) tra miliardi di pagine in rete. Il che significa, agli antipodi, che quando un libro di versi riesce a giungere nelle mani del lettore, in Italia, si grida ancora al miracolo. Questa situazione era lucidamente descritta in un libro comparso per Pratiche Editrice nel 1981, il libro in questione era “Sulla poesia. Conversazioni nelle scuole”, tra gli autori ospitati e interrogati dagli studenti delle scuole c’erano, anche, Andrea Zanzotto e Maurizio Cucchi. Era chiaro, già allora, che il numero di lettori/acquirenti della poesia non era per niente considerevole.
Lo stesso Cucchi rispondeva così alla domanda “Quante copie sono state vendute delle sue opere?”:

Il Disperso, pubblicato da Mondadori, ha avuto una tiratura di 2.000 esemplari, che poi vengono più o meno venduti, di cui 100-200 vengono distribuiti gratis a critici, amici, ecc. e gli altri che figurano venduti sono in libreria, o nelle biblioteche. In Italia si può calcolare che un libro di poesi di autore vivente pubblicato da un grosso editore venga letto – salvo gli addetti ai lavori – da 500 persone su circa 60 milioni di abitanti. Le cose sono peggiorate dal ’56 ad oggi dal momento che la tiratura media di un testo poetico rimane di 2.000 copie ed essendo aumentato il numero di abitanti è evidente che la diffusione della poesia è diminuita.
Si dice nei rotocalchi che il cantautore è un poeta; ho il massimo rispetto per i cantautori, però la poesia è un’altra cosa, richiede un altro tipo di lavoro, un altro senso della parola. La facile riproducibilità delle opere di poesia toglie al mestiere di poeta molto del prestigio sociale e della importanza economica in confronto, per esempio, a quello del pittore.” (il corsivo è mio).

Ecco un’altra affermazione su cui si può ulteriormente riflettere. Quanti hanno scoperto le opere di Villon o Edgar Lee Masters, per fare un esempio, grazie all’ascolto dei dischi di Fabrizio De André? Certo è vero, le eccezioni confermano le regole. Tuttavia, quando si parla di “prestigio sociale” mi vengono in mente una serie di immagini evocative, Dante Alighieri che passeggia e viene additato come una persona che ha realmente compiuto un viaggio nell’Oltretomba è un esempio di immagine evocativa.
Emblematico a riguardo l’atteggiamento di Mario Luzi, nei confronti di Fabrizio De André, in un intervento intitolato proprio “Fabrizio De André, la chanson come letteratura” (5 novembre 1997, ora in “Mario Luzi. Una voce dal bosco”, Nuova Iniziativa Editoriale S.p.a., 2005) esordiva così “Caro De André, sono invecchiato nella quasi totale ignoranza del suo talento e me ne scuso”, per poi riconoscere il forte valore sociale e letterario dell’opera del cantautore, nel quale riconosceva evidentemente un’identità di percorso civile, a prescindere dall’iscindibilità di testo e musica, tuttavia tentando di leggere quei testi dotati di intrinseca ritmicità. Un’esortazione, certo, rivolta da uno dei poeti più rappresentativi del secolo ad uno dei suoi cantanti più espressivi; se proprio vuol darsi una regola che scinda la musica dalla poesia ‘letteraria’ lo chansonnier de “La guerra di Piero” è certamente l’eccezione che confermerebbe quella regola.
Venti anni fa, in Italia, il paragone possibile tra cantautori e poeti. Oggi, la ritrosia, per alcuni, nel riconoscere come buoni i risultati poetici di certi movimenti che nascono e utilizzano la rete, che, a scanso di equivoci, non è ‘additivo’ della poesia, semmai veicolo possibile, non tanto perché non ci sia della qualità in certi discorsi, ma forse perché alcuni discorsi risultano scomodi e non funzionali alla letteratura della distanza (Poesia Italiana) perché troppo vicini alla vita.

[3] Nella frattura il percorso

Eppure è proprio all’interno di questa frattura (tra cantautori e poeti ieri, e tra scrittori in rete e scrittori fuori dalla rete, non semplicemente intesa come supporto) che si è delineato un percorso di continuità tra gli anni sessanta e oggi, nel mentre che è in atto una discussione sull’affrancamento/oltrepassamento del Gruppo ’63. Aldo Nove è stato curatore di un’antologia intitolata Covers, nella quale venivano presentati testi di canzoni tradotti in italiano da poeti. L’antologia “ma il cielo è sempre più blu” reca come sottotitolo “album della nuova poesia italiana”. La commistione di linguaggi, già in atto, diviene una scelta programmatica. Non ‘antologia’, né tuttavia ‘collezione’ di testi. Con un rimando alla lingua inglese si dà una versione non tanto di ‘collection’, quanto di ‘compilation’ della poesia italiana di oggi, rendendo ragione di un movimento ampio di resa della poesia al pubblico. Gli stessi curatori vengono sono definiti come peejays, ‘deejay della poesia’, ‘poetry jammer’. Jamming & Slamming. Il fenomeno, al di là del suo valore documentario e letterario, può essere interpretato in duplice chiave. Una critica più superficiale potrebbe definire, questo, come un tentativo di ‘svecchiare’ la poesia, avvicinandola a quante più persone possibile. Questa interpretazione, se accettata come univoca, presupporrebbe che la poesia in genere sia un corpus agonizzante al cui capezzale si affannano nei modi più impensati medici, alchimisti e fattucchieri. Secondo me questi sono veicoli che non servono a ringiovanire, ma a confermare le origini della poesia, la poesia come canto, la poesia come narrazione lirica di ciò che accade, la poesia come tentativo difficilissimo e impervio di descrivere la realtà. Un fenomeno che è nato e si è accompagnato alla poesia dalla sua nascita a oggi. L’ermetismo di Celan non sarebbe comprensibile senza un ancoraggio alla sua condizione storica e biografica.
E’ un tentativo ben riuscito di rendere merito di un travaso oramai in atto tra “poesia e realtà” (vedi Poesie e Realtà ’45-’75, Il pane e le rose, Savelli, Roma, 1977, a cura di Giancarlo Majorino), tra azione e pensiero dell’agire poetico. In un mondo in cui non si è più capaci di ricordare la poesia deve giungere in soccorso, in un mondo dove siamo bombardati da informazioni e da miriadi di linguaggi differenti la poesia può fornire i mezzi per delineare orizzonti di silenzio nel mezzo del frastuono, se necessario con lo stesso frastuono trasmutare il silenzio che ne consegue, l’attimo infinitesimale che passa dalla fine di un verso detto e lo spegnimento del microfono. I musicisti raffinati potranno continuare a sostenere che questa non è propriamente musica, e i poeti altrettanto ortodossi potranno sostenere che non si tratta propriamente di poesia. Resta il fatto che queste produzioni rendono merito di centinaia di altre produzioni simili, in teatro, dove la poesia è disseminata e contaminata, lì anche la lingua muta.

[4] L’antologia negata. ma il cielo è sempre più blu Lello Voce/Aldo Nove

1. Uno dei concetti più interessanti che Lello Voce trasmette durante i poetry slam è il concetto di comunità. Perché veniamo ad ascoltare in un reading un poeta che dice i suoi versi? Per esserne appagati? Perché partecipiamo da spettatori ad una lettura di versi, alla presentazione di un libro, ad un poetry slam? Per essere lì? Non escluso che a volte accada anche questo, ma che cos’è che spinge il lettore all’incontro con chi scrive? Il gesto di acquistare, ricevere, scaricare e leggere un libro è un gesto intimo che presuppone il cercare e, momentaneamente, la soddisfazione del desiderio nell’aver trovato, nell’opera che abbiamo di fronte, una risposta. In inglese e informatica diremmo query, è il meccanismo che ci spinge a vagare casualmente da uno scaffale all’altro di una biblioteca in cerca della risposta ad una domanda interiore. La presentazione di un libro, con l’autore o con un critico oppure con un semplice lettore appassionato che fa da guida, è un momento in cui si crea ‘comunità’, in un reading o in uno slam si raggiungono momenti che possono viaggiare dall’emozione alla repulsione in pochi attimi. Il concetto, tuttavia, è uno: non c’è una persona che parla davanti ad una platea, lo spettatore e l’attore sono sullo stesso livello.
Questa condizione può darsi se ci limitiamo all’ambito della parola scritta, dovunque essa compaia? La risposta è sì, la poesia può, nell’intimità della lettura, divenire lettura di se stessi; eppure l’urgenza di certe situazioni non può rimanere su un foglio di carta. La poesia è una moneta che acquista valore nello scambio continuo, nel non essere più propria (dell’autore) ma altra (di tutti). Questo è uno dei tasselli che compongono l’anima del discorrere-poesia di Lello Voce. Facciamo un passo indietro, al Gruppo ’93, per rintracciare, se c’è, l’origine e la premessa di questo operare:

“Le condizioni per progettare un lavoro poetico non sembrano più date dalla dicotomia tra lingua ordinaria e lingua seconda in cui realizzare lo scarto.
La lingua ordinaria, oggi, è già in partenza estetizzata come comunicazione sociale. Il vecchio detto ‘si fanno più metafore in un giorno di mercato che in cento poesie’ all’interno di una mutazione complessiva delle situazioni e delle modalità comunicative, è diventato una realtà quanto mai pervasiva. Al rapporto norma-scarto potrebbero essere contrapposte diverse strategie di contaminazione” (“Baldus, Mariano Baino, Biagio Cepollaro, Lello Voce, Allegoria e torsione della lingua” in Gruppo ’93. La recente avventura del dibattito teorico letterario in Italia, Piero Manni,1990).

Il presupposto stesso della ricerca poetica andrebbe cercato nell’orizzontalità di un discorso sulla lingua, più che nella sua verticalità. Per quanto la poesia, nei secoli, possa aver attraversato periodi di fruizione legati essenzialmente ad ambiti elitari, perfino nelle corti doveva esservi ‘condivisione’ e, per quanto ristretta, ‘comunità’, il che tuttavia, oggi, non è più possibile. Non può darsi comunità senza dialogo tra i partecipanti e i componenti della comunità perché il dialogo è uno dei presupposti dell’idea stessa di comunità. La poesia non è soltanto una questione di scrittura e di lingua.

“Crediamo nella funzione essenzialmente comunicativa della poesia in quanto lingua e nostro obiettivo è quello di evitare l’afasia derivante dall’enfatizzazione del lavoro sul significante per indagare, attraverso la complessità dei livelli testuali, la complessità del reale”

E prima ancora “[…] la dicotomia insistente sulla centralità del Soggetto o, al contrario, sulla sua disseminazione” verso “una pratica testuale costantemente critica nei confronti dell’io lirico”.
La differenza che viene stabilità è tra poesia per sé e poesia per gli altri, questo sembrerebbe il messaggio. A questo si aggiunge, di recente, Fastblood (i cui testi riuniti sotto il titolo L’esercizio della lingua hanno ricevuto il Premio Delfini di Poesia 2003), l’ultimo lavoro su cd di Lello Voce, dove viene messa in gioco l’idea di brand, con utilizzo degli stessi mezzi dei media per apportare idee differenti, alternative ed contrarie ad una condizione che quelle idee ha generato.

2. La poesia quindi, quando non è soltanto parola scritta, quando è anche ‘discorso’ che travalica i confini della pagina, diviene interlocutrice di alcune logiche. Una delle possibili alterità rispetto alla poesia tradizionale potrebbe consistere nella dichiarazione di queste logiche e di un tentativo di risolverle senza che tutti, il poeta, la lingua, l’azione, ne risultino schiacciati. Le antologie sono state il punto di partenza di questo discorso. I criteri, la scelta dei materiali, la stesura delle schede critiche espellono un lavoro, poi visibile sotto forma di elenco, autori, poesie scelte. Antologia equivale a comunità.
L’antologia “ma il cielo è sempre più blu” è differente, perché dell’antologia tradizionale, o meglio, di alcune cattive antologie, travarica l’impianto di catalogo per innescare il discorso, il suo filo conduttore, nell’impianto visibile dell’antologia. Il progress che ne risulta è esso stesso telaio della proposta editoriale. Perché, dunque, antologia negata?
Rimandiamo al sito di Lello Voce (www.lellovoce.it) per ogni notizia riguardante il difficile percorso editoriale di questa operazione, conclusosi nella sua diffusione dal sito stesso.
Il sottotitolo dell’opera recita “album della nuova poesia italiana”. Lello Voce ha prodotto due testi accompagnati da cd (“I segni i suoni le cose”, Manni e “Farfalle da combattimento”, Bompiani) oltre al già menzionato FastBlood. Mentre Aldo Nove ha curato nel 2001 Covers. Nelle galassie oggi come oggi (Einaudi). Di conseguenza esiste un richiamo sotteso al fatto che i poeti contenuti in questa antologia non possono essere scissi dal loro agire poetico e performativo. Tra gli altri troviamo testi del collettivo torinese Sparajurii, impegnato in laboratori di scrittura, performance di reading e produzione di cd audio, dove viene condotto l’interessante esperimento, se così potremmo definirlo, di mixing poems with music, laddove al posto di musiche originali vengono utilizzati pezzi musicali noti (dai The Doors, fino a Lou Reed, passanto per Brian Eno), con un effetto di risulta straniante, dovuto anche alle tematiche affrontate nei testi. Ma procediamo all’interno del testo.

3. Abbiamo detto che la peculiarità di questo testo è nel telaio, l’antologia è infatti un racconto. Tra una poesia e l’altra, infatti, brevi frammenti di prosa delineano un discorso. Inoltre è interessante la suddivisione tematica in sezioni (le rovine, i ruoli, il lavoro, la discoteca, il sesso, la memoria, la violenza, l’amore, le merci, la lingua, il sogno [vostro]). Le sezioni delineano un catalogo all’interno del catalogo. C’è un testo di Tiziano Scarpa, Il capitalismo straniero, che racchiude in una poesia terribile quello che da venti, forse trent’anni ci è accaduto intorno. L’ansia smodata di un paese che cerca verità e trova televisione. Perché dunque la prosecuzione della letteratura con altri mezzi? Perché la poesia deve essere critica e, attualmente, la rete fornisce il grado di libertà adatto perché la critica sia recepita in modo capillare, come è giusto che sia per tenere il passo con chi è onnipresente e onnicomunicante. E se la realtà diventa più cattiva allora anche le antologie non devono descrivere lo status quo della poesia ma devono farsi portatrici di una proposta differente. Citiamo una poesia di Luciano Erba (in Mengaldo, 1978), intitolata “Le giovani coppie”:

Le giovani coppie del dopoguerra
pranzavano in spazi triangolari
in appartamenti vicini alla fiera
i vetri avevano cerchi alle tendine
i mobili erano lineari, con pochi libri
l’invitato che avev portato del chianti
bevevamo in bicchieri di vetro verde
era il primo siciliano della mia vita
noi eravamo il suo modello di sviluppo.

La linea lombarda si assesta su un’espressione dei moduli del quotidiano in versi, in una circoscrizione del fatto reale tramite descrizioni ‘esatte’, nei suoi esiti più spontanei questa poesia traduce un nuovo-realismo (non neorealismo). Ci vorranno anni per arrivare a raggiungere la stessa cruda spietatezza (vedi Ecce Video, di Valerio Magrelli) del quotidiano che, ad esempio, si ritraccia nei versi di Gabriele Frasca antologicizzati qui da opere già pubblicate. Oggi però sembra che il tentativo più atteso sia quello di tradurre in versi il reale, con tutta la sua insensata mostruosità e, nello stesso tempo, di cercare una soluzione. Lo specchio si è infranto e l’incanto si è rotto. A distanza di cinquant’anni il reale è edulcorato, in altri contesti si cerca una poesia che colmi il divario tra il dopoguerra e l’oggi. Mi vengono in mente certe atmosfere rintracciabili in “Le luci gialle della contraerea” (Mario Desiati, LietoColle), quale forma di impegno può essere attuata, da una generazione che ha vissuto sulla sua pelle virtuale la visione di una guerra reale a distanza? Le nostre case possono essere paragonato a rifugi? Il rifugio è altrove. Alla poesia, con il tramite della rete, si chiede di aderire il più possibile alla realtà. La stessa sete di reale giunge dalle redazioni delle riviste letterarie. Sullo stesso percorso si muovono le voci poetiche dell’agire, seminate in un paese dove il verso è detto e cantato, in teatro e in musica. Aedi cui non spetta il compito di costruire dopo le rovine, ma di rendere possibile la costruzione anche nonostante le rovine.
Ho incominciato questo intervento citando un’intervista di Maurizio Cucchi. Uno dei passaggi di quell’intervista racchiudeva un pensiero scomodo, quasi in contraddizione con quanto sostenuto in precedenza nello stesso luogo.

(E. Mansueto) E che dire di internet: la rete sta erodendo la pagina scritta?
(M. Cucchi) <<Io credo che la pagina sia una casa in affitto. La poesia non è necessariamente parola scritta. Sta nel nostro cervello. Uno può comporre a memoria e ripetere oralmente. La pagina è un luogo, un supporto su cui depositare la parola. La parola è la cosa importante>>. (Corriere del Mezzogiorno, 5 febbraio 2005, supplemente de Il Corriere della Sera).

La parola è importante.

Libri, Ascolti, Visioni.

– Sulla poesia. Conversazioni nelle scuole. Bertolucci Sereni Zanzotto Porta Conte Cucchi. Pratiche Editrice, Parma 1981
– “ma il cielo è sempre più blu”, album della nuova poesia italiana, a cura di Lello Voce e Aldo Nove
Sololimoni, agrumi e testi sui fatti di Genova, a cura di Giacomo Verde e Lello Voce, con “Global Horror Picture Show” di Marco Philopat, Shake Edizioni Underground, 2002
– Gabriele Frasca, La lettera che muore. La “letteratura” nel reticolo mediale, meltemi, Roma 2005
– Mario Luzi, una voce dal bosco. a cura di Renzo Cassigoli con una introduzione di Gianni D’Elia. Nuova Iniziativa Editoriale S.p.A., Aprile 2005
– Fastblood, absolutepoetry, MRF5 ed. mus, e informazioni su www.lellovoce.it
– SparajuriiLive, download da www.sparajurii.com
– Mariangela Gualtieri (Teatro della Valdoca), Michele Sambin (Tam Tam), Roberto Paci Dalò (Giardini Pensili)
– “il detto del morto orale” (CB)

Ben il guerriero


Ben il Guerriero
tratto da Tabula Rasa, numero 4, (Besa Editrice, Novembre 2005),
pp. 300, € 7,00
informazioni su Besa Editrice, iQuindici, Musicaos.

1.
“Sei mai andato da quella verso l’’Hotel Cinque Palle?”, non ci sono andato risposi io, “per me è la più buona di tutte, certo, appena entri la sala è tappezzata di Mussolini, fotografie su fotografie, però la fanno davvero buona”. Discutevamo di pizzerie, qual’era la pizzeria più buona della città, a seconda dei gusti, delle forme e dei tempi di attesa . “In che senso? Ma anche nella sala dove si consuma?”.”Si”.”Vuoi dirmi che uno mangia la pizza e si trova circondato dalla XMAS, i gerarchi e tutto il resto?”. Nemmeno la sera prima avevo visto un film di Russ Meyer un regista del secolo scorso, quello dove un sosia di Hitler viene sodomizzato da un cowboy e finisce divorato da un piranha; quale sarebbe il corrispettivo filmico odierno se Russ Meyer fosse ancora vivo? Domande che frullano in testa quando ho esaurito i miei discorsi improvvisati sulla meteorologia e mi avvento in altri campi dello scibile sapendo che non potrei toccare troppi argomenti e che proprio non mi va di parlare delle splendide performance del Lecce-prime-giornate-di-campionato, quando ogni lunedì è buono perché sul giornale escano titoli del tipo “a un passo dalla Uefa”,”Lecce….Champions?”. Questo venerdì non andrò a cena da Mussolini. Finalmente arrivo a destinazione con il mio collega, dobbiamo riparare un sistema corticale, una cosa semplice, abbiamo fissato l’appuntamento alle dodici così tra una cosa e l’altra tiriamo fino a mezzogiorno e mezza e poi torniamo a casa a mangiare, ognuno a casa sua, così oggi arrivo un po’ prima del solito. Fine settimana, venerdì, due giorni di quiete per lavorare alle mie cose. Prima di tornare a casa passo a comprare le sigarette e chi ti incontro? Ma si, sempre lui, Ben il Guerriero in versione calendario, dietro il bancone. Chiedo un pacco di Pall Mall Rosse. Pago, prendo il resto. Prima di uscire butto un occhio al calendario, Ben in impeccabile completo nero con una vanga in mano, immagino cosa stesse pensando, in quel momento il tabaccaio senza timidezza ‘ne vuole uno? Fanno cinque euro’, esco lasciandolo con un ‘no grazie’. Torno in macchina, caz!, un pacco di MarlBoro, e sì perché a Lecce, se volete un pacco di Pall Mall dovete pronunciare esattamente “PAAL MAALLE” e non “POL MOL”, altrimenti il traduttore fonetico automatico di cui sono abitualmente dotati i neuroni dei tabaccai traduce “MALBORO” e senza alcun problema vi rifila treuroecinquanta di sigarette, prima o poi costeranno come a Londra, così dicono. Va bene, oggi non mi dispiace, una volta tanto si fuma serio. Nel tragitto fino a casa mi chiedo quale sia la cospirazione di oggi, prima il mio collega che mi consiglia di andare a passare il venerdì sera nella pizzeria/nostalgia e poi questo tabaccaio che cerca di farmi passare ogni giorno del prossimo anno, ogni mese per dodici mesi, con una foto trentacinque per cinquanta del beniamino: nessuna cospirazione, sono cose che capitano ogni giorno, anche in edicola. A casa leggo una mail, un amico sta partendo per Bologna, è l’unico posto dove ha trovato un corso post laurea in traduzione che fa al caso suo, dura tre mesi e gli lascia la possibilità di lavorare per mantenersi. “Il traduttore?!?”, ogni volta che ho lavorato presso qualche casa editrice mi hanno sempre fatto fare almeno tre lavori diversi, certe volte mi astraevo, mi osservavo dall’alto, il mio corpo piegato sul tavolo come in un coma fotografico, ‘ma cosa sto facendo? se qualcun altro mi stesse osservando?’, altre volte somigliavo ai cinesi nel circo, quando ero piccolo al circo c’era sempre il numero dei piatti tenuti in rotazione vertiginosa su bacchette alte e flessibili, quando uno stava per smettere di ruotare bisognava dare una carica altrimenti cadeva in terra, il mestiere di traduttore come quello di correttore sono in via di estinzione, il paese è ancora ricolmo di laureati in discipline umanistiche di conseguenza bisogna spremersi al meglio, riuscire a passare con disinvoltura da un tavolo di progettazione ad un tavolo dove i libri dopo essere stati progettati vengono stampati, piegati, impilati, cellophanati e magari anche spediti. Questa era la prima cosa che mi veniva in mente pensando al mio amico che voleva fare il traduttore, ce lo siamo detti, il traduttore puro come il poeta puro non esistono, se non altro a Bologna, seconda città leccese, troverai quel che cerchi, c’è posto per tutti, siamo autarchici. Mi addormento. Penso a quella parola. Ma l’ho detta sul serio? Ho detto ‘autarchici’? Questo pomeriggio filerà liscio come ogni venerdì pomeriggio, tutti hanno fretta di chiudere pensando sabatodomenica e a come lo passeranno, domattina sarò in qualche ipermercato a fare la spesa per una settimana insieme alla mia ragazza.

2.
– Hanno portato via il gorgonzola – che cosa vuol dire, non vuol dire niente ‘hanno portato via il gorgonzola’, sarà finito, è mezzogiorno, sai che il sabato mattina negli hard discount è la stagione delle cavallette. La mia ragazza non ne vuole sapere. Siamo immobili davanti al banco frigo, sezione latticini ed affini, con lei che vuole convincermi che prima o poi, prima della chiusura, qualcuno verrà a riempire gli scaffali vuoti e potremo ritornare a casa felici con il nostro gorgonzola. Cerco di farle cambiare idea, “vedi, in fondo non è che sia così importante, questa settimana salteremo due pranzi a base di gorgonzola, niente gnocchi di patate al gorgonzola, non succede nulla, cosa vuoi che succeda?”. Aspetto una risposta affermativa, mi aspetto un segnale, qualcosa del tipo “va bene, hai ragione, in fondo che cosa ce ne importa, sono solo due etti di formaggio”. Mentre aspetto una risposta il mio occhio vaga per il supermercato, nessuna signora carina, il corridoio dove siamo io e lei è deserto, continuo a vagare, sento qualcosa alle spalle, mi giro verso lo scaffale di fronte, pasta legumi e cornflakes, osservo un pacco di pasta, leggo l’etichetta, non voglio credere ai miei occhi, ‘pasta balilla’. Prendo la mia ragazza per un braccio, lei crede che sia la solita scenata, non ha capito nulla, andiamo alla cassa paghiamo e usciamo. Alla cassa il commesso non batte ciglio, prende i prodotti e prima ancora che io abbia fatto in tempo a sistemarne uno nella busta lui me ne scaglia un altro, ci guardiamo, non capisce, non voglio farmi capire, prima di pagare lo faccio attendere finchè l’ultima delle mie merci non è inserita nell’apposita busta. Sul suo camice nero c’è una macchia, sembra cenere, eppure negli ipermercati è vietato fumare, è vietato ovunque.

3.
Il fine settimana è anche l’unica occasione che mi è rimasta per andare dal barbiere ad aggiustarmi i capelli. Quando avevo venti anni, non molto tempo fa, nemmeno troppo poco, insomma quando potevo permettermelo portavo i capelli lunghi, sempre lunghi, finchè un giorno non decisi di farmi un doppio taglio alle tempie, per sentirmi più leggero, alla fine la testa alleggerita cominciava a piacermi, ‘troppi capelli troppi pensieri’, così mi rapai a zero senza pensarci due volte. Adesso ho raggiunto un punto di equilibrio, circa una volta al mese, di sabato, vado dal barbiere a farmi radere e per un’aggiustatina.
Entro da Lino. La bellezza di questo luogo è disarmante, non c’è nulla, nemmeno la musica nell’aria, l’unico ronzio è prodotto da un condizionatore d’aria che sta sempre acceso, anche d’inverno, qui dentro si può fumare. Quotidiani stropicciati sulle poltrone, cinque del pomeriggio, tutto ciò che deve accadere è già accaduto, la mattina con i caffè portati dal garzone ai primi clienti e scene simili, mi siedo in poltrona, Lino si gira e mi chiama, il mio turno è subito. Mi guardo allo specchio mentre il mio collo viene circondato da un asciugamano, le prime volte deve essere stato differente. Ne sono certo, le prime volte succedeva qualcos’altro, mi ricordo che Lino mi chiedeva che taglio preferivo, addirittura prendeva delle riviste, sempre le stesse, che teneva nascoste nell’armadietto insieme alla schiuma da barba e alle lozioni, sfogliava velocemente uno di questi giornali usurato e stropicciato dall’uso, poi, cambiava idea come un michelangelo davanti alla pietà rondanini, si fermava un altro secondo e alla fine mi mostrava una foto. Prima deve essere stato così. Non mi ricordo quando è successo, non ricordo nulla. Lino estrae un rasoio da un cassetto, mi dice “tutti quelli che vedi in giro hanno tre, al massimo quattro di lame…questo rasoio ne ha cinque, qui a Lecce Provincia lo usiamo soltanto in due, io e mio cognato di Maglie”.
Il rasoio di Lino non mi spaventa, la mia testa è cosparsa di schiuma, uno strato sottile, circa due centimetri. Dopo due minuti sono rasato a zero, non so più se la mia testa è calda per via di tutti i pori e follicoli che sono stati passati al filo di cinque lame oppure perché la superficie della mia calotta subisce d’improvviso il calore delle lampadine, entrambi i motivi mi sembrano spiegazioni decenti. Faccio uno squillo alla mia ragazza “dove sei?”. E’ in un negozio di scarpe, non è molto lontano. Vado io.

4.
Questo si che è profumo. Dicono che Coco Chanel abbia realizzato il suo mitico Numero Cinque mescolando non so quante essenze. A quanto pare il potere di questa fragranza, quando fu proposta, non consisteva tanto nel profumo in se stesso, quanto nel fatto che quest’odore nuovo fosse nient’altro che questo: un odore nuovo, sintetico (traslucido, mai visto), inesistente in natura. Entro nel negozio di scarpe e mi sembra di essere un atomo finito in una boccetta di Coco Chanel nel pomeriggio precedente alla scelta della fragranza numero cinque, un attimo prima del mescolìo miracoloso. Ci sono diversi gruppetti seduti o in piedi, tutte coppie composte da commessa & cliente, per terra, vicino ad ognuna di queste coppie giacciono scatole e scarpe, se fossi miope penserei di essere capitato su un set cinematografico. Si filmano le conseguenze di un attacco suicida, tutto è esploso in aria e per qualche coincidenza inspiegabile sono rimaste soltanto le gambe dei cadaveri, gambe di pelle e di cuoio, gambe sventrate fino allo stinco oppure fino all’inguine, gambe insieme alle loro bare di cartone con differenti marche e iscrizioni. La mia ragazza, non potrei immaginare il contrario, sta provando un paio di stivali neri che le arrivano fino al ginocchio. “Con questi sto bene? Mi piacevano anche quelli lì, soltanto che c’era solamente il trentasei”, rispondo che vanno bene quelli, se solo potesse scegliere un altro colore “stai scherzando, sono anni che ho smesso di indossare scarpe colorate, non sono più una bambina, nemmeno tu, pensaci, guardati”. Il tono di quel ‘guardati’ è perentorio. Lei parla con quel tono quando intende portarmi con i piedi per terra risparmiando inutili battute, così assume quel tono e se la cava con una parola. Non riesco a replicare, ha ragione. Il mio paio di Aurora di pelle sono testimoni di questo e di altri smacchi, belle, nere, con un sottile filo bianco che percorre la suola, marziali, eppure così comode, non me le tolgo mai, nemmeno a lavoro, in realtà a lavoro ne indosso un paio diverso, quelle senza il filo bianco e con la suola a tacchetti gommati color marroncino, non potrei presentarmi in ufficio con un paio di scarpe troppo frivole. Chiedo alla mia ragazza se è soddisfatta dell’acquisto, le dico di prepararsi, mi piacerebbe passare da una libreria qualsiasi, giusto una mezzora. I nostri sabatodomenica sono così. La commessa del negozio di scarpe fa scivolare un foglio all’interno della busta insieme allo scontrino, c’è una festa stasera in una discoteca del centro, si tratta di una Commemorazione, un presentimento percorre il mio rachide fino alla base della nuca, spero che gli amici della mia ragazza non mi ci vogliano portare. Non ci penso fino a stasera, non voglio pensarci.

5.
In libreria con la mia ragazza. Non so quale libro acquistare, osservo la copertina di un libro di versi, lo prendo, lo sfoglio un po’, guardo il prezzo, non costa nulla, forse ne vale la pena, no, non ne vale la pena, lascio il libro appoggiato su una pila di best-seller e continuo la mia perlustrazione. Leggo diversi risvolti di copertina “un marinaio abbandona la sua abitazione, in un paese sulla costa dalmata, in cerca di avventure nel mar mediterraneo, dovrà accorgersi, a malincuore che…”, “…e così Roderigo si trova da solo, accerchiato dal nemico e da tutte le sue paure, finchè l’orgoglio non lo spinge a misurarsi con quanto di più terribile è rimasto, con…”, “lui, lei, un intreccio che non può essere descritto se non paragonato a…”. Chiudo ogni libro producendo un rumore secco, una smorfia nauseata mi resta impressa nella mente, sul volto un sorriso da idiota. Compro un dizionario. “Ma questo è il terzo che compri, cosa te ne farai di tutti questi dizionari vuoi dirmelo?”. Cerco rifugio nelle parole, credo che le parole, nel loro germe, contengano una possibile spiegazione di quanto mi sta accadendo intorno, niente di più. Tengo questa considerazione per me. Un commesso si avvicina come un falco pellegrino, uno di quelli che sono scolpiti all’ingresso del municipio o che svettano ancora sul cornicione del palazzo prefettizio. Mi chiede se sono soddisfatto. Non proprio, ma può andare, passo la mano sulla testa, odoro ancora di talco “odore di bimbo”.

6.
Invece devo pensarci, sono costretto a pensarci. “Quale migliore occasione per mettere in mostra i miei stivaloni nuovi?”, così mi ha detto, stivaloni. Davanti a certe affermazioni sono inerme, sono un bruco che cammina sopra un escremento, zampetta dopo zampetta, pensando che prima o poi diventerà farfalla, ma quanto dura mediamente la vita di un bruco? E se non diventerà farfalla, se arriverà alla fine dell’escremento tirando l’ultimo respiro? Non voglio pensarci, invece devo pensarci. Hanno telefonato alla mia ragazza, si sono liberati giusto due posti per la Commemorazione, non possiamo mancare, non dobbiamo mancare, ‘d’altronde’, come dice lei, ‘quando ci capita ancora? L’ultima a cui siamo stati è stata due anni fa, stai diventando noioso, ogni tanto mi va di fare le cose che fanno gli altri, non sono come te io…’. Già, forse è vero.

7.
Vengono a prenderci direttamente da casa, sono due amici della mia ragazza, lavorano nel suo stesso ufficio. Siamo al Flower dopo venti minuti di slalom cittadino da casa nostra fino ai vicoli e ai cunicoli del centro storico. Fuori dal locale ci sono un migliaio di persone, tutti vestiti di nero. La musica ci investe da diverse centinaia di metri. Parcheggiamo la macchina, la Commemorazione inizierà tra una ventina di minuti, ce lo dicono i parcheggiatori abusivi sparsi lungo la strada. Alla fine riusciamo ad entrare. La Festa della Commemorazione si tiene ogni due anni, ecco perché non ci vado sempre, certe volte sbaglio l’anno oppure credo di esserci già stato, può capitare a chiunque. E’ la festa che ricorda attraverso quali vicende il nostro paese riuscì, nel secolo scorso, a raggiungere l’indipendenza dalla ragione, accadde più o meno nel duemila e dodici. Un percorso difficile e tortuoso che condusse le nostre esistenze – noi che ancora non eravamo nati – a divenire ciò che oggi siamo, ammassi di neuroni inscatolati, in corso di continuo rammollimento.

Io avevo letto alcuni libri, da bambino, e mi era capitato di osservare diverse registrazioni video che raccontavano queste vicende. Non ci capivo nulla, mi ricordo personaggi vestiti di blu o nero, carriarmati, altre persone che venivano fucilate o delle quali i corpi mutilati venivano esibiti con allegria, da compagni dei nostri il cui volto era nascosto.
La Commemorazione ricordava tutto questo. Nel bel mezzo della musica tutto divenne silenzioso, comparvero alcune di queste immagini accompagnate ad un sottofondo musicale, poi un altro momento di silenzio ed infine un grande applauso. La faccia di Ben il Guerriero, nero vestito, con il cranio rasato, era proiettata dovunque. Ma come era possibile tutto questo, che cosa era successo? Una parte della mia testa aveva dormito per quarant’anni, cinquanta forse, ancora di più? Eppure avevo meno di trent’anni, continuavo a ripetermelo, credevo di stare vivendo un incubo, eppure fino al giorno prima non mi ero accorto di nulla. In che paese vivevo? Non riuscivo a rispondermi. La mia reazione fu inaspettata, corsi via dal Flower e salii su un taxi.

8.
Le ho risposto al telefono appena un attimo fa, l’ho rassicurata, sei già a casa? Va bene, arriverò anche io, dammi un’ora. Mi faccio scarrozzare ancora un’altra ora in giro per la città, non so cosa voglio, non so se questa città mi appartiene, non so cosa voglio fare da grande, mi sono abituato al peggio senza nemmeno accorgermene, non mi sono accorto di nulla. Lei stava cambiando, la città intorno a me stava cambiando, il paese era cambiato da tempo, nonostante l’ordine fosse in cima ai discorsi di tutti i gerarchi, nonostante in questo torrido inverno degli anni ’50 – secolo due – era fascista – mi sembrasse di aver vissuto una giornata come le altre.

9.
Ritorno a casa. Salgo i tre piani di scale, un gradino alla volta. Domani sarà diverso, non smetterò mai di ripeterlo, contro ogni schermo che replica continuamente il contrario farò tutto il possibile perché ciò non accada. Mi chiedo se sia possibile fare qualcosa per cambiare questa situazione che non mi piace, mi volto verso di lei cercando una conferma, uno sguardo. E’ ancora domenica. E’ già domenica. Ho pensato che potremmo andare in pizzeria, questa sera. Un mio collega me ne ha consigliata una, dice che si mangia davvero bene, l’unica cosa che devo riuscire a sopportare è il gran numero di quadri e fotografie che ritraggono Ben il Guerriero, ce ne sono di ogni dimensione, in tutte le stanze. Il mio collega mi ha spiegato che c’è un trucco semplicissimo, ‘guarda fisso nel piatto dove mangi, resisti finchè hai fame, quando li incontri da solo non voltarti mai per primo’. Non sono d’accordo.

[Si consente la riproduzione parziale o totale di quest'opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.]

Il giardino di fuoco


Il giardino di fuoco

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Le sue mani racchiudono i seni in due coppe con una stretta ammiccante. Lo sguardo è altrettanto lascivo. La donna è in ginocchio con le gambe spalancate, poggiate su un pavimento rivestito in moquette. Fuori c’è il sole, tanto sole. Si direbbe un giorno d’estate. Come ho fatto ad arrivare fin qui? Non ricordo. Lei continua a sorridermi ferma, quasi immobilizzata, come se la stessi osservando in un fermo immagine latente. Intuisco che là fuori ci saranno almeno quarantacinque gradi centigradi, le macchine procedono a rilento su un nastro d’asfalto, come se i copertoni schiodassero la superficie della strada all’inizio di ogni giro di ruota e la riincollassero al termine del giro, moltiplicato per quattro ruote, moltiplicato per un centinaio di autovetture che passano in questo tratto di strada ogni venti secondi, velocità sostenuta. Di fronte c’è un albergo, non può essere altro, una costruzione in finto stile liberty. Com’è che sono finito qui? Ora ricordo, avevo finito di leggere la posta elettronica, vagavo nei meandri di google, sono giorni che battendo sulla tastiera questo nome mi esce sempre ogogle, non credo che dislessia sia la parola esatta per descrivere il fenomeno, o forse sì. Il prezzo di un barile di petrolio ha raggiunto i sessantacinque dollari, questa notizia mi fa pensare alle automobili con occhio diverso, come fossero carcasse in movimento venute da un tempo archetipo, me le immagino nei musei tra quindici anni, gdf003.jpgimmagino una copia di me invecchiata che apre il garage, toglie un telo di plastica impolverato dal cofano di un auto, f aun giro settimanale al suo catorcio. Ma che cazzo ci fa la Tour Eiffel là dietro? Alle spalle della pornostar ammiccante, come caduta dall’alto piantandosi nel mezzo dell’albergo, c’è la Tour Eiffel. Ricordo di Venezia. C’è solo un posto al mondo dove l’uomo è stato così coglione da ricostruire Piazza San marco in scala 1:1, Las Vegas, ergo, ci può essere soltanto un luogo dove si può costruire una copia della Tour Eiffel, cioè Las Vegas. Salvo l’immagine e torno al motore di ricerca. Sono pronto a compiere un massacro. Sequestreranno il mio hard-disk cercando le prove della mia colpevolezza, perché il kitsch è terrore, e le azioni volte a contrastare il kitsch, quandanche velate di espedienti attinti alla strategia del terrore, sono benefiche. Scrivo ‘Las Vegas’ ‘Tour Eiffel’, sono fortunato, ecco l’albergo, appartiene alla catena dei Caesar’s Palace, adesso ho bisogno di una mappa dettagliata, così potrò attuare il mio piano devastatorio e cruento. Maps.google.com, inserisco nel campo ‘Las Vegas’, osservo una piantina della città, faccio uno zoom sul viale principale, quello dei casinò e degli alberghi, che oggi si chiamano tutti ‘Resort’, mi vengono in mente immagini nauseabonde che pesco nei ricordi degli anni ottanta, lo stivale gigante, il cow-boy gigante pieno di luminarie da festa leccese, quando il genere umano è vicino al disastro, tutto si riempie di luce, la mia azione di terrore sarà illuminatrice.Eccolo lì, l’albergo si chiama ‘Casino Paris’, passo in modalità satellite, la sagoma della Torre è inconfondibile, ne riconosco i contorni anche da questa stanza. L’ultima foto che mi hanno inviato da Parigi era uscita male, l’angolazione era sfuggita al controllo, forse un incidente, la Tour Eiffel non si vedeva, si vedeva la sua ombra. Qualche giorno fa hanno arrestato un iracheno, nel suo computer portatile hanno trovato le foto scattate da satellite di alcune località italiane, dal suo cellulare nei giorni precedenti al suo arresto erano partire diverse telefonate a numeri italiani e tedeschi. Devo stare attento a come uso il telefono, nessun passo falso, nessuna mossa azzardata. Osservo la foto. Torno ad osservare la mia Camila, è così che si chiama lei, sull’altra finesta. Passo da una finestra all’altra in cerca di un indizio, devo capire dove è stata scattata questa istantanea. Di fronte al ‘Paris’ c’è una piazza enorme, prato inglese e fontane che si illuminano di notte, e un altro albergo, il Bellagio Hotel. Il nome mi fa accapponare la pelle, mi viene in mente Frank Sinatra. Sono nella fase che succede alla scelta dell’obiettivo, questa fase prende il nome di ‘raccolta delle informazioni’. È il momento di visitare il sito da vicino, raccogliere campioni. Il Bellagio Hotel ha soltanto suite. Planimetria delle stanze. Stanze 42-56. Penthouse Room. Enlarge. La moquette è la stessa della foto, identica, la stanza è la numero 46. È qui che Camila si è fatta fotografare, interpreto il segnale. Le vergini non ci attendono in cielo, le vergini che ci aspettano sono arrivate con una taxine – un taxi limousine da undici metri – si sono fatte accompagnare nella loro stanza al settimo piano dell’albergo fingendosi attrici porno, hanno fatto la doccia, hanno indossato una veste di lino bianco intessuta con oro, dopo circa due ore sono state immortalate, faceva da sfondo una ricostruzione esatta della Tour Eiffel. Il messaggio completo è 24 agosto, Parigi. Camila mi accoglierà nella capitale francese, regalandomi due barrette di cioccolata, ‘ne bastano due per far crollare un palazzo di quaranta piani’, ‘oppure per ridurre in cenere un aeroporto di medie dimensioni’ aggiungo. Le cariche esplosive contengono il segreto della nostra mirifica strategia. Le Twin Towers ne erano imbottite fino alle fondamenta, esistono tre ingegneri in tutto il mondo capaci di attuare un piano simile. Noi siamo portatori di messaggi semplici, colombe della pace.

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Chi di voi non ha desiderato, almeno una volta nella sua vita, di vedere crollare un ponte da una distanza ravvicinata, o qualche altra cosa, essere lì mentre cade? È una sensazione indescrivibile, non si può comunicare, il vuoto che ti lascia dentro è sempre più grande dello spazio che viene liberato. Dura un attimo, poi ne vuoi ancora.
Quelli rasi al suolo siamo noi, ci muoviamo al limite e ogni passo allontana il margine del limite di un altro passo. La notizia del rapimento di un funzionario ci riempie di sdegno, dopo poco meno di un anno vengono rapiti dieci funzionari ogni sei mesi. Il crollo di un aereo o il rinvenimento di uno zainetto ricolmo di epslosivo, se inesploso, passa inosservato. La cosa peggiore è che passa inosservato l’inasprimento delle leggi, la chiusura delle frontiere, la limitazione della privacy. Quando ci vorrà perché su google ognuno di noi possa essere localizzato? Qualche anno fa una società vendeva foto prese dal satellite a 87 dollari l’una, credo che il prezzo oggi sia in ribasso, quando io e Camila abbiamo divorziato ho speso una cifra incredibile di euro per farmi arrivare nella casella postale le foto scattate al tetto di casa sua, la vetrata limpida da cui ogni giorno potevo vederla stesa nel letto, prima del risveglio. Utilizziamo questi strumenti da anni.
Adesso il tempo è maturo. Quel che ci attende, lì fuori, è un giardino di fuoco.

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[Si ringrazia Rachel Aziani, nella parte di Camila e la direzione dell’Albergo Paris di Las Vegas, per la cessione gratuita della stanza n. 46, il racconto tratto da Vertigine_6, “Politicamente scorretto”]

Si consente la riproduzione parziale o totale di quest’opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.

Il nome della città.


Il nome della città, Lecce. La città al momento sembra rivestire un ruolo marginale all’inizio di questa storia. Marginali a loro volta saranno i ruoli ricoperti dalle varie figure che, in successione, occuperanno come metafore l’inizio di questo racconto. Lettore, devo ammetterlo, fin qui sei stato buono davvero, così buono che ti posso risparmiare secoli e secoli di giri con motociclette e macchine verso lidi stanchi e noiosi in situazioni e scenari fotocopiati dove il taglio delle figure è identico e il massimo che può permettersi il giovane è bere qualche birra in un bar vicino al mare mentre le zanzare ronzano attorno ai lampioni e tra mezz’ora circa sta per accadere qualcosa che cambierà la vita a tutti quanti, un motorino si ferma all’angolo, uno di noi si avvicina, scambio rituale di euro, adesso possiamo andare al concerto. Ed eccomi adesso, domenica mattina in macelleria, il sole meschino riaffacciarsi per prendere il sudore fin dentro le ossa, astro meschino e immobile. Questa mia allucinazione rimaneva nelle orbite della normalità. Mi ricordavo del periodo in cui avevo sospeso il giudizio e non scrivevo, grande periodo pensavo, pensavo, pensavo. Parlavo poco e scrivevo punto. Lettore mio, non ci crederesti, ero un ragazzetto d’azione. Oggi è paurosa la normalità di questi cani randagi che aspettano di ingollare sotto al sole le fettine semiputride che ho acquistato. Appena uscito mi sembrò quasi di volare, di librarmi nel cielo. Della mia città apprezzo lo stile che mi manca, non il sole che invece mi uccide. Difficile per i suoi raggi toccarmi nello stile. Nessuno dei miei amici mi ha mai condonato l’amore per la pioggia. Posso coprirmi, quando piove. Posso nascondermi, se c’è freddo. Quando fa caldissimo vorrei spellarmi e non posso. Ne risulta un’influenza dello stile. Quella che chiamo un’influenza debole. Chi legge non ci crede. Ma chi legge non crede mai. Se ne sta seduto perché è certificato che leggere in movimento è cosa complicata, grave, solenne, come librarsi nel cielo. Qui non si tratta di lettura. La carenza di stile io la vivo come un dramma, a maggior ragione semmai uno stile c’è stato. È difficile dirlo.

L’uomo delle foreste


L’uomo delle foreste.
Verso un transito poetico che non sia transito celeste.

1. L’ispirazione non esiste, non ci ho mai creduto, se esiste non mi ha mai toccato, non sono stato eletto da questa tangente. Da aspirante scrittore ho scritto ed ho scritto di getto e poi ricomposto, per limatura e senza troppe scuse.
Questi pensieri sono relativi ad uno stato di attraversamento della lucidità, tra un prima e un dopo, nel breve lasso di tempo durante il quale un pensiero si coagula. L’attraversamento non è necessariamente costituito da momenti mancanti, né può risolversi in un quid valido dal punto di visto estetico, rappresentando esso né più né meno che un’esperienza di transito sconvolgente e personale. L’atteggiamento da mantenere potrebbe essere questo: guardo un oggetto, lo osservo, sono quell’oggetto, guardo un oggetto che ora non è più lo stesso, nemmeno io sono più come prima. Un occhio esterno non può certificare. Di certo il transito e l’attraversamento, sono legati al fare, al divenire, al cambiamento.
Il transito può scaturire da più cause. La mia preferita è lo stress, il sovraccarico sensoriale, la somma di tensioni provenienti da diverse sollecitazioni (“State svegli fino a tardi. Accadono strane cose quando siete andati troppo in là, siete stati svegli troppo a lungo, lavorato troppo e siete isolati dal resto del mondo”, Bruce Mau). Il peso di una massa incredibile, stratificata e anonima, costituita da terre, ere geologiche, conflitti mondiali, che si concentrano in un punto. La pressione di più atmosfere che fa divenire diamante un pezzo di legno, carbone, fossile.
Nel momento del transito è raro il fenomeno del comparire a se stessi riuscendo ad autorappresentarsi, in quel momento sono emittente, trasmittente, ricevente, cerco di esserci il meno possibile, il linguaggio dell’incoscienza sarà già abbastanza mediato, storicamente, da ciò che è stato sul mio corpo. L’ispirazione non esiste, il transito è incoscienza al lavoro, resa a detrimento del corpo che fa da schermo, da tela, da foglio di carta bianco non ancora proiettato su qualcosa che poi sarà visibile per tutti, forma dell’intraducibile. La collezione di questi momenti, costituisce un quadro vivido, costruito sull’eccezione. Un suono che rimbomba in latenza, senza turbamenti, per poi esplodere. Dopo? In seguito il transito si costruisce sulla ripetizione. La ripetizione dei gesti corporei e meccanici riconduce a questo stato, ne fa ricordare i momenti con il tentativo disperato di riallacciarsi alla tensione di un non essere, di una twilight zone. La ripetizione dei gesti corporei e meccanici riconduce a questo stato. La concentrazione estenuata fa perdere il controllo del sé, sfocia in transito. La mente come incrocio momentaneo di più direttrici, dette anche voci, la trance è il corpo che prende possesso sulla coscienza esautorando la veglia e sfociando in espressione. Ma anche la coscienza è coscienza corporea, è corpo. Ne “Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza”, J. Jaynes ipotizza che in un passato remoto le azioni dell’uomo fossero ‘dettate’,’ispirate’, da agenti esterni (extraterrestri, divinità) e che la coscienza (la voce di dentro) sia nata per sopperire all’improvvisa mancanza di queste presupposte voci di comando, ne sarebbero testimonianza diffusa alcuni passi dell’Iliade comparati a testi di epoca successiva, appartenenti all’Odissea di Omero. Lo stesso avviene nella trattazione dei sogni profetici come fu descritta in epoca classica. Queste spiegazioni nascono dal non volere riconoscere l’incredibile potere cerebrale di sopportazione di tutte le tensioni.
La poesia è altra da sé. Il poeta, lo scrittore, prima di far rientro nella razionalità del progetto sono totalmente ‘fuori’. Ogni fenomeno dispone della propria ‘scimmia’ che fa da mimo alla genesi, all’originario, replicandone la rappresentazione senza appiglio. Il transito può essere mimato, può essere rappresentato ad uso e spavento di chi guarda, ma ciò è valido e succede perfino alle soglie della razionalità, essa pure dispone di ‘scimmie’, il poeta può regredire o arrestarsi, restare scrittore di versi. Fare i conti con i propri momenti transeunti significa fare i conti con un percorrere assiduo il filo teso, conoscere e praticare una follia quotidiana che altri non è se non il disporre di un quantitativo di libertà ed energia eccezionali, che non necessariamente devono confluire in un’opera o in un momento creativo. Quando ciò accade il transito è stato selezionato, il raggio di luce attraverso la fessura dello spettro, nella camera oscura, rimanda bande parallele, monocromatiche, ciò che era un universo multicolore e caotico diviene regola, perfezione.
Trance, transito, accogliere il passaggio, la trasmutazione, la transitorietà, giocare con i frammenti mobili della creazione, lavorare sulle categorie dell’allusione, dell’ammiccamento, del non completamente detto ed espresso.
I critici letterari si confrontano periodicamente sull’idea di fine della letteratura e fine della poesia. Interessante è invece il confronto sull’idea di opera-mondo, romanzo-mondo; il secolo scorso e l’attuale presentano diversi esempi di opere che fagocitano il reale nella sua interezza, opere ruminanti. Dietro di esse, però, c’è un autore mondo il cui corpo è stato completamente attraversato (“Kein Sein ohne Seiendes”, Adorno). Una poetica del transito dirompe maggiormente di una psicologia della scrittura, dandosi in psicosi della scrittura (struttura).
Il sistema nervoso accoglie gli stimoli, gli occhi, la vista, apparati sotto la fronte, direttamente collegati al sistema, il cervello è sede dei pensieri e degli urti, della fratture storiche. Tutto il corpo è sede dei pensieri, il corpomente transeunte è delocalizzato. Le opere che accolgono l’attraversamento ed il delirio sono opere mondo disinnescate dal corpo originario.

Esperienze nel bosco uno.

Attraversare il bosco di notte, compiere a ritroso la stessa strada che si percorre ogni giorno, con la luce del sole, mai fatta nel senso inverso, notte pesta, non si vede nulla, ogni rumore, ogni buca, non è la stessa strada, sembra che sia impossibile fare ritorno, battito del cuore accelerato, fidarsi del proprio ricordo.

Esperienze nel bosco due.

Questa notte ha nevicato, ora ha smesso. Questa mattina da casa all’università, attraverso il bosco. Sette giorni senza parlare con nessuno, nessun contatto con l’esterno, soltanto letture, televisione, radio, scrittura. È proprio necessario attraversare il bosco stamattina? Sì. Andare all’università adesso sarà come visitare un pianeta sconosciuto, fare ritorno. Mi incammino, dopo un chilometro mi accorgo di essere circondato dal bosco innevato, nessun ciclista, nessuno studente. D’un tratto ti viene il timore di aver perso la strada, tutto è bianco, provi ad orientarti con gli alberi ma ti accorgi che in questi mesi non hai mai fatto caso agli alberi, sempre camminando con lo sguardo in terra, il tuo riferimento erano le buche, i segni per terra. Il sangue adesso ti rimbomba nelle tempie, se non troverai una via d’uscita impazzirai e impazzirai se troverai la strada, ecco la strada, non impazzirai.

2. Il transito derivante dalla ripetizione, dall’estenuazione, e quello derivante dall’isolamento, dall’improvviso restringersi del campo visivo, dall’amplificazione di tutto ciò che ci circonda. Esistono persone con cui il transito è stato benevolo e altre che ne sono rimaste atterrite, ma chi può autorappresentarsi definitivamente la successione di stati/stadi mentali di un’altra persona se non vivendo la medesima esperienza? Non ci si può affidare alla psicologia dell’autore per descrivere una sua opera, né si può descrivere il transito come variazione di gradienti chimici e circolazione di fluidi. Non è questo il luogo per decidere se il transito debba accompagnarsi ad una forma espressiva di natura artistica, il transito è una forma di delirio dove attività e passività si confondono.
Ho scritto di getto un libro di circa duecento pagine, un romanzo inizialmente nato da un flusso poetico, della poesia possedeva la forma e per certi versi la materica continuità sonora. L’ho scritto in una ventina di giorni, prima dei quali ero davanti ad una scelta, e insieme a questa scelta avevo abbandonato un periodo notevole di inoccupazione e stress. Credevo di essere agente di quella scrittura, non era così. Quelle pagine si sono scritte da sole ed io ero emittente, mi ricordo del mio stato emotivo e mentale di quei momenti, quasi completamente assente a me stesso. Al termine di questo momento di scrittura e giunto alla fine di ogni pagina mi sentivo bene, il transito era l’attraversamento di un luogo terapeutico, analgesico. Scrivere pensando all’ispirazione è già mancanza di scrittura prima ancora che negazione dell’esistenza di ispirazione. Sette revisioni di quel testo prima che somigliasse ad un oggetto allusivamente narrativo. Mancante da esso la storia, presente in maniera occlusiva la mia precedente storia personale. Le tracce del delirio sono permanenti e quel testo è privo di soggetto attore, di eventuale protagonismo del personaggio, le azioni e gli eventi sono dettati dalla voce, non quella del narratore, nessun dio, bensì da quella dello scrittore che si rivolge all’attore obbligato dalle proprie azioni, da cui il titolo di Motoproprio.

Esperienze nel bosco tre, metafora.

Se fossi stato un fisico sicuramente sarei stato un esperto nello studio dei fluidi. I fluidi. La teoria dei fluidi. La portata di un condotto/è il volume liquido/che passa in una sua sezione/nell’unità di tempo/e si ottiene moltiplicando/la sezione perpendicolare/per la, per la? I miei piedi stanno per essere sommersi dall’acqua del bidet, seduto sulla tavoletta abbassata del cesso, con l’asciugamano appoggiato sulle gambe. Io non lavo i miei piedi, li detergo. Lascio che l’acqua, infiltrandosi nei pori, depuri efficacemente i miei piedi, non devo fare nulla, mi basta restare con i piedi in ammollo, è fatta. Immagino che mi piace restare con i piedi così, riapro il rubinetto. Il mio bidet ha un buco, in alto, quando mi dimentico l’acqua aperta quel buco non riesce ad ingollarne abbastanza, il bidet rischia di esondare d’acqua sul pavimento. Non questa volta, ho deciso per un ricambio di fluido, sono un esperto in materia, stanotte. Regolo il dosatore affinché l’acqua scenda lentamente, adesso l’acqua che filtra in uscita attraverso il buco è pari alla quantità d’acqua che fuoriesce dal rubinetto. Sono entusiasta nell’ammirare gli effetti di questo lento riciclo di fluido che si svolge nel mio bidet. Peccato che l’acqua sia sporca, pensandoci, non mi accorgerei dei moti convenzionali se non intravedessi il movimento di pulviscolo che continua a moltiplicarsi in circonvoluzioni. La sporcizia è testimone galleggiante dell’avvenuta pulizia, si addensa ai bordi. Mi accorgo di un’altra cosa. Alcuni frammenti di sporcizia vengono attratti dal getto di acqua che scroscia dal rubinetto, mentre altri pelucchi vengono risucchiati e portati con sé dall’acqua che defluisce nel buco. Mi accorgo subito di questo fenomeno e mi dico ‘scelgono dove andare a finire’. Mi ricordano Paolo e Francesca, ributtati di continuo nella bufera. Ho elaborato finemente una teoria, lavandomi i piedi un giorno sì e uno no; quando torno a casa troppo tardi e non ho voglia di farmi la doccia, allora mi lavo i piedi, così quando mi corico sotto le coperte non mi addormento terrorizzato, ebbene, la mia teoria è questa: la sporcizia che viene ributtata in circolo è più intelligente di quella che viene risucchiata nel buco, il primo corollario della teoria era ovvio, anche il più piccolo granulo di pulviscolo possiede una certa capacità decisionale. E io nel buco non ci finisco. Asciugo i miei piedi, li infilo nelle pantofole, mi lavo i denti. Dinamica di corpi in movimento. Mi è difficile, in questo momento, ragionare la mia vita in termini differenti o troppo distanti dallo scambio di fluidi. La mia vita è respiro, anche quando inalo tonnellate di polveri e carboni, tutto si riduce in pulviscolo, tosse. Alcuni dei miei l’altra mattina stavano facendo volantinaggio, tra due sabati mobilitazione, ma da cosa? Sono tre mesi che siamo mobilitati. Prima o poi la lettera arriva a tutti. Lo dice anche Carlo. Carlo è il più giovane degli studenti con cui divido l’appartamento, dietro Porta Nuova, quarto piano, scale, ringhiera, ballatoio, a quest’ora non mi vengono in mente più di quattro parole, piano, ringhiera, scale, ballatoio gocciolante. Gennaio.

3. L’ispirazione non esiste, non ci ho mai creduto, se esiste non mi ha mai toccato, non sono stato eletto da questa tangente. Da aspirante scrittore ho scritto ed ho scritto di getto e poi ricomposto, per limatura e senza troppe scuse. Tuttavia mi sono accorto di come la pratica della scrittura faccia attraversare stati emotivi diversi, faccia bene, come realmente sia possibile attraverso una narrazione concentrare in un luogo contenuto un mondo che, prima di noi, è accaduto. Il transito nella ragione dispiega fenomeni silenti, uno scrittore consapevole ne fa uso per descrivere la sua realtà altrimenti relegata in deliri univoci, cronici, politici e diffusi.

[Luciano Pagano,
Lecce – Gennaio 2005]

Transiti 1

– Claude Ollier, Estate indiana, 1967, Einaudi
– Bruce Mau, “Un manifesto (incompleto) per la crescita”, ArtLab, anno 4 numero 2, Milano, luglio 2002
– Samuel Beckett, Watt, Einaudi, 1998
– Gilles Deleuze e Felix Guattari, L’anti-Edipo, Einaudi, 1975

Transiti 2

– Edouard Schurè, I Grandi iniziati, Rizzoli, 1991
– Terence McKenna, Il nutrimento degli dei. La ricerca dell’albero originale della conoscenza, Libri Urra, Apogeo, Milano, 1995
– Theodor W. Adorno, Teoria Estetica, Einaudi, 1977
– Julian Jaynes, Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza, Adelphi

Transiti 3

Lecce, Torino, Saarbrücken

[intervento tratto da “Dissociazione e creatività. La transe dell’artista”
a cura di
Vincenzo Ampolo e Luisella Carretta
prefazione di Georges Lapassade
Campanotto Rifili, agosto 2005, ISBN 88-456-0711-9, €16,00]

Si consente la riproduzione parziale o totale di quest’opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riprodotta.