La ricerca dell’identità e la sfida della scrittura.
“Re Kappa” di Luciano Pagano: un giovane autore e il suo mondo
di Antonio Errico
Quando talvolta si dice – e si dice con ciclicità frequente – che il romanzo è finito, che non ci sono più tempi, modi e forme di narrazione, che tutto il narrabile è già stato narrato e che per l’inenarrabile è ovviamente ozioso porsi il problema, probabilmente non si considera adeguatamente quella condizione della scrittura che si definisce metascrittura, metaromanzo, metaletteratura.
Invece credo che sia proprio questa la condizione testuale, forse anche ideologica, comunque poetica, che caratterizza “Re Kappa”, il romanzo che Luciano Pagano pubblica con Besa. È la storia della maniera in cui si dispiega il processo di trasformazione degli eventi in linguaggio, la maturazione delle esperienze di scrittura in forma narrativa, la percezione di sé e degli altri in una condizione verbalizzata.
Probabilmente Pagano intende dimostrare che la fonte e l’origine della narrazione si ritrovano in un impulso a narrare e in una domanda sul senso e la funzione che assume questa condizione esistenziale. Ma soprattutto si pone l’obiettivo di proporre l’idea che la forma narrativa sia l’unica condizione capace di attribuire una sistematizzazione alle esperienze della realtà e alle espressioni dell’immaginario.
Poi sembra che Luciano Pagano vada oltre.
Sulla base di una struttura del ritrovamento di un manoscritto, impiegata come espediente per una funzione parodistica, e di un’ambientazione salentina ma dai caratteri deformati, di un intreccio che lega scrittori di varia genia e consulenti editoriali dall’ambigua fisionomia, viene innestata una formula di trama che diventa la metafora di una visione del reale e dei suoi effetti, delle conseguenze che produce la manipolazione del reale, il mondo parallelo che si può generare da una tessitura verosimile delle ipotesi.
Il manoscritto è una sineddoche della realtà; è una parte per il tutto; tutti i possibili intrecci, i misteri, le storie, le situazioni, il vero, il verosimile, il falso, il possibile e l’impossibile, sono contenuti in un brogliaccio che li rappresenta, in un canovaccio delle tragedie e delle commedie del mondo, in un almanacco degli avvenimenti, un catalogo dei destini e un cestino per tutti i sogni.
Il manoscritto modella il mondo e le sue creature che si fanno personaggi. I personaggi, a loro volta, riformulano il mondo costringendo lo scrittore a ipotizzare una riformulazione del manoscritto. La riformulazione del manoscritto costituisce una manomissione dell’idea di realtà, e quindi una trasformazione dell’idea stessa, oppure un trucco. Comunque una simulazione.
Così si potrebbe dire che il mondo rappresentato dalla narrazione è soltanto una simulazione che in quanto tale predispone e propone una realtà parallela, altra, contigua ma comunque con equivalente valore di quella che simula o che assume a riferimento e modello.
La costruzione (o ricostruzione) dell’identità dello scrittore coincide, nei tempi, nelle forme, nelle modalità, come la ricostruzione (o l’invenzione) della storia di un’opera. Pagano vuole rappresentare quell’incrocio casuale di destini oppure quel verificarsi di congiunture che a volte annodano un’esistenza – o una rete di esistenze – ad uno scartafaccio, quella sorta di magia che dal nulla crea una straordinaria testimonianza del proprio essere ed esistere con le figure e gli intrecci di un universo fatto di parole.
Dal “Nuovo Quotidiano di Puglia” di Mercoledì 25 Luglio 2007