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Sacra e profana la bellezza. Su “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.


Sacra e profana la bellezza.
Su “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino.

toniservillo_lagrandebellezza_paolosorrentinoQuando “La grande bellezza”, di Paolo Sorrentino, nel maggio scorso è stato presentato al Festival di Cannes e, negli stessi giorni, è uscito nelle sale, uno dei temi sui quali si è subito insistito da parte della critica è stato il più evidente, quello forse più coinvolgente proprio per la stessa critica, ovvero sia il fatto che la pellicola di Sorrentino fosse una sorta di lucida critica, dal sapore vagamente felliniano, della città di Roma e di un indeterminato jet-set che in essa si muove, come una nebulosa.

Un po’ come se questo, insieme a altri del passato, fosse (solo) l’ennesimo film su Roma. Indubbio il fatto che molti dei personaggi ai quali si è ispirato Sorrentino potrebbero essere dei ‘tipi’, ‘caratteri’ realmente esistenti, inevitabile anche perché il grande cinema, come la grande letteratura, si nutre di questi compositi, veri e propri rifiuti spazzati via dalla realtà. Oltretutto quanto più ci si avvicina alla superficie, nel descrivere il mondo, tanto è più facile incontrare i propri conoscenti. Inevitabile anche perché nel nostro paese, la letteratura e la cinematografia, e di conseguenza anche la critica letteraria e cinematografica, transitano dalla Capitale, quindi è evidente che i primi ‘lettori’ di un fenomeno di questo genere non possono non appartenere a questo ambiente così circoscritto e allo stesso tempo così influente. Mi sembrava, leggendo certi articoli, di cogliere una filigrana sporca del manuale per diventare intellettuali redatto da Luciano Bianciardi, con tutti i consigli per i giovani Gambardella ante litteram che si avvicendano nella città eterna e che devono ‘simulare’ prima ancora di essere.

Allo stesso modo il paragone con Fellini e con la sua ‘Dolce vita’, molto più che con ‘8½’, mi era sembrato quasi automatico, come se una certa ‘distanza’ morale dalla narrazione, unita al cinismo, fossero più una scusa per liquidare l’immediatezza di alcune verità. Non ho creduto fin dall’inizio all’immagine offerta da questo tipo di lente deformante, perché c’erano alcuni elementi, soprattutto la fotografia e la musica, che mi facevano intravedere un utilizzo dell’immagine molto più che descrittivo, in questa pellicola.

È proprio grazie a un equilibrio tra montaggio (Cristiano Travaglioli), colonna sonora e fotografia (Luca Bigazzi), che l’occhio dello spettatore ha la possibilità di percorrere i diversi nuclei senza mai soffermarsi troppo, quasi che questo film presentasse un’analisi istantanea, senza troppi ragionamenti, delle profondità che si mascherano nella superficie. Si tratta della percezione immediata dell’oggetto così come è descritta nella ‘Fenomenologia dello Spirito’ di Hegel, qualcosa di cui, almeno fino a oggi, non si potrebbe dubitare, quell’agnizione bruta dove, per usare le parole di Jean Hyppolite: “il momento della coscienza compare come quello della separazione, della distizione fra soggetto e oggetto, fra la certezza e la verità”. C’è una volontà continua, che all’inizio sembra non conoscere cedimenti, che è quella di Jep Gambardella, teso nel suo non volersi occupare proprio della profondità, di ciò che sta dietro alle cose. Il vacuo è ciò che importa, ovviamente quando questo è il vacuo che avviene e ha dignità di esistenza nel recinto per animali anestetizzati, in quel vero e proprio acquario che è la casa con terrazzo in pieno centro, a Roma.

toniservillo_lagrandebellezza_paolosorrentino_03L’inizio tuttavia è già inizio della fine, nel creparsi di questo quadro così splendido. Le cose compaiono e scompaiono, ma non come la giraffa del commiato di Romano – Carlo Verdone, che avviene in uno scenario felliniano, degno del nomen-omen scelto da chi a sua volta ha eletto Jep a suo unico confidente e amico. Quando le cose scompaiono, in quest’opera, devono pagare il loro pegno nel dolore. Non si tratta della bellezza del Nulla, né della possibilità di scriverci sopra un romanzo, come preconizzato nelle parole di Jep attraverso Flaubert. Si tratta piuttosto di un elemento isolato che, giorno dopo giorno diviene somma di elementi, fino a costruire una nuova coscienza e, in questa, far avvenire la volontà di recuperare il proprio rapporto umano con la realtà, prima, e poi con la scrittura.

Il percorso ascensionale, dantesco, di Jep Gambardella, fino al ricongiungimento con il proprio passato, ha una sua specularità nell’arte. Incomincia con la ‘fuffa’ della pseudo-performer che ha il pube tinto di rosso e con rasato il ‘logo’ falce & martello, si incrina con le foto ‘anche da nuda’ del ricco e annoiato personaggio interpretato da Isabella Ferrari e muta radicalmente quando Toni Servillo visita la mostra di un fotografo, impersonato dal giovane e talentuoso Ivan Franek, che ha fermato sulla pellicola, giorno dopo giorno, il suo volto. Nella storia qualsiasi di un volto Gambardella rivede la propria storia.

Col tempo mi sono accorto, riflettendo su “La grande bellezza”, che uno dei temi principali che fanno da filo conduttore del racconto in questa pellicola, è il dialogo tra il ‘sacro’ e il ‘profano’, un tema che ha come sfondo la città di Roma, che probabilmente unisce più di altre questi due elementi, proprio forse per il fatto di essere la sede ufficiale del nostro ‘sacro’ (il Vaticano, la Chiesa), e, di conseguenza, rendendo più facile un accostamento al profano. Detto questo il paragone tra la poetica presente ne “La grande bellezza” e certa scrittura/fotografia felliniane, è più facile accostando questo film a Roma o, addirittura, al Satyricon, prima pellicola che mi è venuta in mente vedendo il film di Sorrentino, proprio forse per via della fotografia e di quel ‘vagare tra gli inferi’ così simile al passeggiare solitario di Gambardella.

Non sono il primo, né l’ultimo ad accorgersi dell’importanza che hanno, in questa pellicola, le citazioni e i rimandi a Céline e al suo “Viaggio al temine della notte” (http://segnavi.blogspot.it/2013/06/la-passione-di-sorrentino-per-celine.html), già seminati in altre opere del regista, specie ne “Le conseguenze dell’amore”. Paolo Sorrentino sarebbe, per usare i criteri ‘morettiani’ (vedi il corto del regista romano “Il giorno della prima di Close Up”), un autore infante, molto meno che giovane, proveniente da una generazione che è sicuramente stata influenzata da certe letture & visioni, e che adesso ha raggiunto una maturità espressiva simile a quella di cui disponevano, tra gli anni Novanta e Duemila, autori come Virzì, Luchetti, Mazzacurati. Riconsegnare alle masse l’etica del disincanto e l’immagine spietata, ma poeticissima, del Voyage, è un merito per Sorrentino, l’ultimo che aveva portato Céline alle masse del pop nazionale, infatti, è stato un altro giovane autore, il trentaseienne Alessandro Baricco, nel suo Pickwick (1994).

toniservillo_lagrandebellezza_paolosorrentino_02La morte, in questo gioco di rimandi tra sacro e profano, non è una cifra che ci permette di capire. La morte ne “La grande bellezza”, in tre casi, viene occultata, ci vengono presentate le sue premesse e le sue conseguenze, ma il ‘processo’ è nascosto; Elisa, per prima, poi Andrea (Luca Marinelli) e Ramona (Sabrina Ferilli) scompaiono. Ciò che interessa è lo squallore del momento, non tanto l’inadeguatezza nei confronti della morte, quanto l’impossibilità di cogliere un nesso con ciò che resta della vita. È il tempo, che scorre rapidamente nel montaggio a porre lo spettatore nell’obbligo di fare i conti in fretta con tutto ciò che accade. Tanto che al di fuori del tempo, ad esempio come succede con le epifanie del super latitante Moneta/Denaro, e fuori dal flusso vorticante della vita quotidiana di Jep Gambardella (Toni Servillo), il protagonista è spiazzato e lo spettatore trova un appiglio guardando al di sopra della corrente.

Il sacro e il profano tornano, in modo più prepotente, con l’ultimo dei nuclei narrativi, quello dedicato alla ‘Santa’, immagine speculare di Madre Teresa, della quale viene presentato anche l’aspetto spettacolare, sia nel pubblico che nel privato. In precedenza, durante una festa alla quale Jep era andato con Ramona, nella casa di uno dei più importanti mercanti d’arte della Capitale (Lillo De Gregorio), una bambina-artista, un monstrum di bellezza e inquietudine, aveva ritratto un fenicottero durante un action painting. Saranno proprio i fenicotteri, animali totem, a fare da tramite tra il cielo e la terra, il sacro e il profano, ricongiungendo a quelle “radici” di cui la Santa si nutre e che Jep riesce, nel percorso compiuto, a recuperare, riappropriandosi del sentimento di grande bellezza che aveva conosciuto da ragazzo, con Elisa.

Lo stesso sentimento di nostalgia e ritorno aveva fatto produrre a Jep Gambardella l’unica opera letteraria della sua vita. Era proprio la scomparsa di quel distacco, con molta probabilità, che lo aveva condannato a non scrivere più nulla, salvo poi fargli recuperare l’ispirazione nel filo delle cose accadute, nel passato prossimo immediato, di cui il film di Sorrentino, “La grande bellezza”, è un lungo e riuscito prologo.

Luciano Pagano

Un Papa per chi è stufo dei “Papi”


“Habemus Papam”, l’ultima pellicola del regista Nanni Moretti, da qualche giorno nelle sale, è a mio parere uno dei risultati meglio riusciti del regista. Lo dico a scanso di equivoci anteponendo le parole “a mio parere”, al giudizio della critica e a tutto ciò che già in questi giorni sta nascendo in ambito cattolico sotto forma di prime critiche nei confronti di questa pellicola. Quale il perché di questa affermazione? Tanto per cominciare prima della visione partivo dalla piccola delusione a seguito de “Il caimano” (2006), il film incentrato sulla figura del premier Silvio Berlusconi. Prima ancora che la realtà oltrepassasse la fantasia (Rubygate etc. etc.), di quel film, comunque un bel film ‘morettiano’, non mi era piaciuto l’incastro narrativo dei diversi nuclei presenti nella storia e in particolare come si passava da una fase iniziale tutta fatta di preparativi per un film ‘definitivo’ da allestire a opera del produttore Silvio Orlando in conflitto ‘costruttivo’ con la giovane regista, interpretata dalla bravissima Jasmine Trinca, a una fase in cui il finale mi sembrava troppo ‘bruciato’ date le aspettative, e nel quale il finale, seppure altamente rivelatore, lasciava con un senso di impotenza narrativa prima ancora che di impotenza descrittiva, in poche parole, amaro in bocca. In “Habemus Papam” si ha proprio ciò che ci si aspettava dalla visione de “Il Caimano”, ovvero sia vedere la realtà cambiata, stravolta, immaginata, reinventata. Ciò che Nanni Moretti non era riuscito a realizzare con una pellicola su Silvio Berlusconi (molto più difficile sarebbe girarne una ora, forse) riesce invece con un film d’invenzione che parla della breve storia di un papa eletto immediatamente dopo la morte di Giovanni Paolo II.
Il Pontefice viene assalito dai dubbi fin dal primo sentore di dovere essere lui, l’eletto. Raccontare la pellicola, dove non c’è un solo punto della sceneggiatura che sappia di scontato o nemmeno gratuito, sarebbe un peccato.

Molti si sarebbero attesi la descrizione di un pontefice-macchietta, caratterizzato dall’essere l’uomo sbagliato nel momento sbagliato. Quello che capiremo soltanto quando l’ultima scena della pellicola si sarà consumata è che forse, nel dramma umano di questa umanità, la figura impersonata da Michel Piccoli è niente meno che un uomo giusto nel momento giusto, a essere sbagliata è l’aspettativa di un mondo che non potendo più attendere né sperare in una redenzione afideistica, si affida all’elezione di un leader maximo. E se l’”Habemus Papam” di Moretti fosse una metafora filmica atta a descrivere il meccanismo dell’esigenza di leader, innescato da Silvio Berlusconi, e contagioso pure per la sinistra? E se il regista avesse scelto un soggetto, un tema, un tempo e una vicenda ‘blindati’, per parlare d’altro?

Si potrebbe quasi dire che Nanni Moretti, dopo avere previsto e descritto ne “Il caimano” i germi di tutto ciò che negli anni successivi, nonostante il Governo, avrebbe decretato il decadimento del “Papi”, sia passato a descrivere ‘criticamente’ – e senza criticare, il nucleo fondamentale della nostra cultura, ovvero sia la forte unione tra Stato e Chiesa. Proprio nell’anno del 150° anniversario dell’Unità d’Italia uno dei nostri registi più apprezzati all’estero ci ricorda del nostro conflitto storico con il Cattolicesimo, la Religione e Dio, conflitto vissuto molto più interiormente di quanto non sia dato di immaginare. Si paventa quasi l’ombra di quel “Porno-Teo-Kolossal”, ultima opera alla quale lavorava Pasolini, contemporanea a ‘Petrolio’ e alle ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’. Segno che per un regista dello spessore di Moretti il confronto con il tema trattato in “Habemus Papam” rappresenta una tappa cruciale, anche perché a prescindere che si tratti di un Papa, quello della ‘successione’ è un tema ricorrente di questi tempi e importantissimo, basta fare qualche nome (Berlusconi, Fidel Castro, Gheddafi etc.) per immaginare tutte le tematiche relative alla successione e alla ‘sudditanza’ psicologica da leader, fenomeno di deriva molto psicoanalitica e molto poco democratica. Ecco perché Nanni Moretti, come ne “La stanza del figlio” e come in altre pellicole, vedi “Sogni d’oro”, torna a fare lo ‘psicoanalista’, è il personaggio che nella contemporaneità, come un tempo solo gli dei dell’Odissea, domina e allo stesso tempo fa da supervisore alle psicologie, ai caratteri e alle anime di tutti i personaggi.

C’è uno scambio di battute nella pellicola, quello in cui si descrive la posizione del Pontefice nella gerarchia ecclesiastica, laddove si dice che il Papa è il ‘primo’ fedele, ma che è anche l’ultimo. Nel rappresentare sua Santità come un uomo, con i suoi drammi e con le sue titubanze, Nanni Moretti fa un favore anche ai fedeli, innalzando loro stessi a ruolo di ‘primi’. Lo psicanalista impersonato da Moretti non è un credente, non importa, quel che importa è che la Chiesa, in questi giorni che seguono immediatamente l’inizio della proiezione, anziché scagliarsi contro una pellicola per affermare la sua primazia su ogni dubbio ‘umano’ che potrebbe investire la ‘carica’, rischia di fare un autogol. Ciò di cui dovremmo essere curiosi, come fedeli, dovrebbe essere molto di più un altro quesito, ovvero sia “Che cosa pensa, di questa pellicola, Joseph Ratzinger?”.

Fornire allo spettatore un’apertura al dubbio umano, laddove il mondo richiede certezze per essere rassicurato. Dare al lettore certezze in un campo dove il dubbio, la ricerca, l’approfondimento empirico e le leggi fisiche sovrastano la nostra capacità decisionale diventando problemi morali. Questi sono i due estremi delle riflessione che scaturiscono dalla visione di un film, “Habemus Papam” pellicola del regista Nanni Moretti in questi giorni nelle sale, e dalla lettura di “Scienza e verità” (Pensa Multimedia), libro che raccoglie le encicliche dedicate alla scienza da Giovanni Paolo II e che assume un ruolo particolare proprio in questo breve lasso di tempo che ci separa dalla fatidica data del 1° Maggio 2011, giorno in cui Giovanni Paolo II verrà beatificato. Perfino il fatto che un Pontefice venga beatificato, dovrebbe essere oggetto di riflessione da parte di credenti e non credenti, in quanto con questo contesto un uomo viene innalzato agli onori degli altari, con un processo – potremmo dire – ‘transumano’.

Mentre “Habemus Papam” ci presenta un papa dubbioso, questa raccolta di discorsi e lettere di Giovanni Paolo II ai rappresentanti delle più importanti istituzioni e accademie scientifiche del nostro tempo ci restituisce il pensiero consapevole di un pontefice che è stato ‘cardinale’ nel suo ruolo di trait d’union tra epoca moderna e epoca contemporanea. Grazie a lui infatti il dibattito sulla sul rapporto tra scienza, filosofia e morale è potuto divenire tale, e non si è fossilizzato in un’esacerbazione di posizioni a senso unico da parte della Chiesa, che ha, nel suo pontificato, ritrattato e rivisto alcune posizioni oltranziste dal punto di vista storico, basti pensare all’episodio di Galileo Galilei. Lo studio e l’approfondimento del creato da parte della scienza non vanno viste come la numerazione di una serie di cause che minerebbero l’esistenza di Dio, anzi “La scienza contemporanea, la vostra, permette di scoprire un mondo molto più meraviglioso, ed essa ci rinvia ancor più fortemente al Creatore, alla sua saggezza, alla sua potenza, al suo mistero, ed al mistero dell’uomo al quale Dio ha donato questo potere di decifrare ciò che esiste prima di lui”. Tutto rimanda alla gloria e alla potenza del Signore che si dispiega nel creato, sosteneva Giovanni Paolo II, e ben venga che l’uomo possa scoprire gli infinitesimi componenti della materia, siano essi atomi, leptoni, quark: tutto ciò non fa che ribadire la complessità e la bellazza della creazione. Lo stesso dicasi dell’atteggiamento di positività della Chiesa (cfr. “Gaudium et Spes”) nei confronti dei miglioramenti che la scienza apporta di continuo nella nostra vita quotidiana. Ecco perché questo libro “Scienza e Verità” (Pensa Multimedia,Giovanni Paolo II, introduzione a cura di Mario Castellana, in appendice scritti di Arcangelo Rossi e Demetrio Ria, Pensa Multimedia, pp.196, € 14,00, 9788882327910), curato da Mario Castellana, Docente Epistemologia e di Filosofia presso l’Università del Salento, e che si avvale delle riflessioni di Arcangelo Rossi e Demetrio Ria, presenta in un unico volume quella che potremmo definire l’”avanguardia” del pensiero della Chiesa circa il suo rapporto con la scienza e gli scienziati. Non mancano le sorprese, nella lettura, anche per chi più scetticamente crede nell’immobilità dell’istituzione cattolica.

Concludo suggerendo che la visione della pellicola “Habemus Papam”, così come la lettura di “Scienza e Verità”, sono capaci di porre lo spettatore, così come il lettore, di fronte ai limiti della propria coscienza nei confronti del sacro, elemento dal cui rapporto non possiamo prescindere nella vita di ogni giorno, a prescindere che siamo credenti oppure no.

http://twitter.com/lucianopagano

pubblicato sul quotidiano “Il Paese Nuovo” di oggi mercoledì 20 aprile 2011

Rivedere “Palombella rossa”


Rivedere “Palombella rossa” di Nanni Moretti.

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Può un film girato quasi venti anni fa descrivere con una discreta approssimazione l’attuale situazione politica e la sinistra, oggi? Se il regista è Nanni Moretti e il film in questione è “Palombella rossa” la risposta potrebbe essere un sì. “Palombella rossa”, del 1989, è una delle pellicole che più si addentrano nello studio delle anime e dei fantasmi della sinistra. Nonostante siano trascorsi quasi venti anni dalla caduta del muro di Berlino, nonostante il mercato del lavoro sia stravolto, nonostante siano mutati gli equilibri internazionali, in quella pellicola sono descritti alcuni dei termini di un conflitto di identità. Conflitto che con le prossime elezioni anticipate si cerca di risanare o dirimere, tutto e subito, prima di rischiare la sconfitta delle urne. Michele Apicella, esponente politico della sinistra parlamentare, in seguito a uno scontro avuto con l’auto, è soggetto a un vuoto di memoria. Amnesia. Ciò accade nel giorno in cui la sua squadra di pallanuoto deve affrontare l’avversario temuto, l’Acireale. Il giorno della partita precede il giorno in cui gli italiani si recheranno alle urne. Michele viene prelevato dai compagni di squadra “Già, quale squadra? Di che sport stanno parlando?” è la domanda che si pone Michele durante il tragitto in bus, insieme alla squadra e all’allenatore Mario, impersonato da Silvio Orlando, che fino all’inizio del match ripercorrerà le tattiche e le strategie da adottare contro l’avversario. Nello spogliatoio Michele è assorto. Il mister ha descritto gli schemi anche nella pause dopo il pranzo, al ristorante. Si tratta di un’insistenza che accresce l’ansia nei confronti della partita. Pallanuoto. Michele, leggendo un articolo di un giornale che lui ha scritto, si rende conto di essere comunista. Esclamerà proprio così, Io sono comunista. Michele ha un flashback di quando da bambino si allenava. Tutti i genitori seguivano i bambini, lui era accompagnato agli allenamenti da sua madre. Il padre? Comparirà una sola volta, più in là. Michele, nel passato e nel presente, è smarrito. La mancanza di guida che prova da bambino è la stessa che sente adesso, ora che la memoria va e viene per via dello shock subito, facendo emergere i suoi ricordi a tratti, lucidità, nebbie. Sul bordo della piscina viene avvicinato da due persone che si riferiscono a un gesto che lui ha commesso “martedì scorso”, durante una puntata del programma Tribuna Politica. Comincia a delinearsi uno dei significati della pellicola, quello per cui la piscina è una metafora dello scontro politico, con le sue tattiche, nel conflitto che vede contrapposte le due squadre, compresi colpi bassi e scorrettezze. La descrizione della sinistra operata da Nanni Moretti nelle sue opere ha accompagnato tutte le fasi di evoluzione di questo schieramento politico, dagli esordi ai giorni nostri, fino al Caimano (2006), passando per Caro Diario (1994) e ancora in Aprile (1998). I due avventori che avvicinano Michele si autodefiniscono “puri”, sono ossessivi “noi riceviamo tante lettere a cui non rispondiamo mai”. Michele si allontana. “Il potere dell’opposizione è la lotta”. Questa l’affermazione di allora, pronunciata da un altro avventore, un anziano che si definisce sindacalista. La soluzione per la sinistra consta nel sapere dirigere il potenziale conflittuale, nel dare a esso una forma, dei contenuti e soprattutto una direzione. “Siete un partito da rifare, siete scomparsi, galleggiate a mezz’aria”. Si delinea qui un tentativo di assumere la critica e l’autocritica del comunismo. “Mancate d’identità, avete almeno, tre anime”. Viste oggi, quelle immagini, risultano profetiche; non tanto perché prefiguravano ieri ciò che si sarebbe ripresentato oggi, quanto perché alcuni punti nodali del dibattito interno alla sinistra sono rimasti gli stessi. “Chi siete, siete un partito inutile, innocuo”. Sul piano narrativo e stilistico, ai discorsi politici che tutti gli avventori di Michele Apicella si sentono in dovere di promuovere, fa da contrappeso la partita vera e propria, non più politica, cioè lo scontro tra le due squadre di pallanuoto. È in questo momento, quando fa la sua comparsa l’allenatore dell’Acireale (la squadra avversaria che deve incontrarsi con la squadra allenata da Silvio Orlando), che avviene l’identificazione/parallelo tra politica e partita di pallanuoto, su quel terreno sono contenute le critiche al partito politico, il PC, di allora. Silvio Orlando si perde in tattiche e schemi complicati, bilanciamenti fumosi che non interessano gli stessi giocatori, gli unici due che restano a sentirlo sono Michele, (il politico che ha nostalgia del passato?) insieme al giocatore più giovane (il giovane idealista?). Ciò di cui raccontano queste immagini è il tarlo che si insinua come problema degli anni novanta, il progressivo allontanamento dalla base. L’allenatore avversario non si perde in chiacchiere, è consapevole che sulla carta la sua è la squadra vincente, dileggia gli avversari, addirittura sostiene di non prendere la partita sottogamba, perché altrimenti potrebbero sorgere difficoltà; a quell’affermazione, fatta davanti a una squadra di giocatori stravaccati come gli antichi romani alla sauna, tutti scoppiano in una grassa risata. Quel che bisogna sapere è che non c’è rispetto per gli avversari. L’elemento di punta della squadra avversaria è Imre Budavari, giocatore ungherese, nessuno vuole marcarlo. “Quello che è avvenuto in questi anni è un processo di trasformazione della nostra società.”. Michele comincia a ricordare frammenti del suo discorso televisivo. I due avventori di prima lo incontrano nuovamente, è il crollo. “La questione cattolica si intreccia con la questione del centro, noi dobbiamo lavorare per conquistare il centro, non per farci conquistare dal centro”. Uno dei due avventori dice che “Hanno paura di vincere, loro vogliono stare all’opposizione e moriranno all’opposizione”. Oggi si la questione si ripropone in termini diversi, la sinistra è pronta all’eventualità di condurre un’opposizione extra-parlamentare? Il fenomeno cui stiamo assistendo è lo sgretolamento di alcune vecchie leadership che non sono più in grado di dialogare con il Paese, perché hanno percorso tutte le modalità, le strade, senza risultati accettabili?

Il modo è cambiato, la consapevolezza da parte dei cittadini nei confronti di alcuni temi (l’ambiente, l’economia, il lavoro, la partecipazione) sono cresciute. Ecco che i “circoli” sono una parola che Silvio Berlusconi ha messo nel suo dizionario appena ha compreso l’importanza dell’identificazione con il suo elettorato. A ciò contribuisce la continua propaganda che viene effettuata sui mezzi di comunicazione Mediaset. C’è un’apposita rubrica del TG4 dove le persone vengono intervistate sul caro-prezzi nei mercati rionali. I toni con cui la Destra accusa il Governo dei Sedici Mesi sono simili a quelli che si potrebbero utilizzare contro un governo che ha appena fatto ritorno dalla guerra. La pressione fiscale è aumentata, sono stati scoperti alcuni grandi evasori. Dov’erano le telecamere del TG4 tra il 2000 e 2006, gli anni che hanno preparato e fatto montare il caro-vita? Gli aumenti dei prezzi non sono iniziati ieri. Dov’erano i sondaggi? I governi di Silvio Berlusconi sapevano? Certo.
“Perché sei diventato comunista? Perché penso che sia giusto. Uno. Perché non ti senti isolato. Perché sei con altre persone che credono come te in certe cose. Le vivono come te. Con te. Sei parte di un movimento che va avanti in tutto il mondo. Vedi cos’è questa realtà e cerchi di trasformarla. Perché ami l’umanità e siccome ami quella vera fai in modo che venga fuori”. A parlare così è il Michele di quindici anni prima, 1974. Umanità. Umanesimo della sinistra. Attenzione ai problemi dell’uomo, della persona, prima di quelli della società, dell’economia, della ferrea logica dello sviluppo. Oggi un discorso simile non sembra plausibile. Quello di cui c’è bisogno è una ripresa che vada di pari passo con i problemi della persona, in primis quello dell’occupazione e dei salari. Quando l’amico di Michele gli ricorda di come, da ragazzi, hanno preso a botte un ‘fascista’, Michele è inorridito, non può credere che sono stati capaci di ciò. La virulenza della lotta politica non può resistere come cifra caratteristica del porsi. Il Partito Democratico, insieme al Popolo delle Libertà, giocano su un terreno che elegge il fair play a regola di condotta. La “fusione fredda” tra il partito di Silvio Berlusconi “Forza Italia” e quello guidato a Gianfranco Fini “Alleanza Nazionale”, e il gioco delle alleanze in Sicilia, hanno dimostrato che è difficile fare accettare una politica a tavolino, che non tenga conto delle alleanze sul territorio e del consenso degli elettori. Mai come oggi sembra che la cosa più difficile sia proprio fare la conta dei voti in anticipo. Lo stesso Pier Ferdinando Casini ha ammesso in una recente intervista televisiva che in Sicilia non si poteva non agire a questo modo. Una franchezza che fa paura perché dimostra un attaccamento a certi modi di fare politica che difficilmente possono essere sradicati, laddove hanno fino a oggi costituito la norma. È come se una delle nuove differenze debba essere quella di ‘fare le cose alla luce del sole’. Le alleanze vanno cercate e ribadite a questo modo. Chi accetta è dentro, chi non accetta è fuori. È la crisi. Michele si ricorda di quando ha incominciato a nuotare. Voleva cambiare sport. Si tuffa nella vasca, non riconosce gli schemi. Dopo un po’, in azione, ha paura dell’acqua alta “C’è l’acqua alta al centro“. Non riesce ad avanzare. Michele ha il terrore di tuffarsi e, una volta tuffato, ha paura dell’acqua alta. Finalmente si decide, attraversa il centro, un avversario gli ruba la palla con agilità. Non bisogna abbandonarsi ai dubbi, alle angoscie, alle incertezze. C’è una giornalista che cerca di ottenere delle delucidazioni sulle ultime settimane di campagna elettorale da Valentina, la figlia di Michele, interpretata da Asia Argento. Il giorno dopo ci saranno le elezioni. Il giornalismo parla un linguaggio superficiale. La giornalista che lo intervista, impersonata da Mariella Valentini, estrae un Bignami, un ipotetico bignami con la storia del PC. “Che sensazione ha essere in un partito ormai al tramonto?”. Nel famoso intervento di martedì un giornalista prende il suo orologio, lo mostra a Michele, dice che il suo orologio ha due quadranti, uno dei quali è regolato sull’ora di New York, “oggi, anche il suo orologio è regolato sull’ora americana?”. La risposta del Michele di allora “Non posso che ribadire il riconoscimento dell’adesione dell’Italia alla Nato” può confrontarsi con un passo del programma del neonato PD “Il PD è per il rafforzamento dell’amicizia e della collaborazione nazionale e europea con gli Stati Uniti.”. Michele non è d’accordo con chi crede che il Capitalismo abbia dimostrato di essere in grado di risolvere le sue contraddizioni. Tuttavia esistono dati oggettivi per cui il non allineamento a certe posizioni porta a un’esclusione dell’Italia dalla politica estera. Il timore di oggi si accompagna ai dati di crescita di altri paesi, come la Spagna, e di arretramento dell’economia del nostro paese. Michele scaraventa a terra un cattolico. “Io sono felice che tu esisti tu sei felice che io esisto?”. Michele Apicella risponde deciso “No”. Un tiro di Budavari è così forte da spaccare la traversa della porta. La partita si arresta. La giornalista prosegue nel suo dialogo a senso unico con Michele Apicella. È la dimostrazione che la realtà politica è fluida non solo per chi ne partecipa, ma anche per chi tenta una descrizione di essa. Rivelando che non soltanto è ridicolo pensare che possa esistere un bigino del PC, ma che lo stesso dibattito si sposti da un’area pratica a un’area concettuale, dove le “parole sono importanti”. Le parole sono le cose. Bisogna trovare quindi una descrizione che sia in grado di contenere la ‘cosa’ descritta. Michele, alla vista di una scena del Dottor Zivago alza il pugno sinistro. “Mai godersi nulla se prima non c’è stata una fatica”. Michele è un politico che viene assalito dai frammenti dei discorsi. “Il problema è il silenzio.” Il cattolico presenta a Michele un guru/teologo che gli ha cambiato la vita. Anche l’allenatore dell’Acireale ha un suo guru, è un maestro di yoga. Un altro aspetto che dell’ideologia che viene qui rappresentato è quello del deus ex-machina, un politico che si faccia portatore delle istanze del proprio partito, con l’altra faccia della medaglia, il rischio di vedersi trasformati in icona. L’arbitro della partita trova in uno psicanalista l’uomo della sua vita. Al fianco di Silvio Orlando c’è Remo Remotti, l’uomo che ha cambiato la sua vita, interrogato “Dicci qualcosa?” non dirà nulla. Gli avventori che compaiono all’inizio, quelli che continuano a portare dolci a Michele, lo avvicinano ancora, dopo che lui ha commesso un fallo, chiedono a Michele con insistenza di “fare i nomi e i cognomi”. Michele è stato espulso. Michele non si sposta dalla sua posizione. Dagli spalti parte un coro “Michele è finita, l’hai persa la partita”. Ecco che cosa ricorda la torta a Michele, da bambino aveva rubato una torta ed era stato spedito in collegio dalla famiglia. Si tratta di un sogno. È in pantofole in strada. “Noi dobbiamo essere insensibili, noi dobbiamo essere indifferenti alle parole di oggi. Chi parla male pensa male e vive male, bisogna trovare le parole giuste”. Michele incontra lo stesso ragazzo fascista a cui aveva appeso un cartello al collo, insieme ad altri manifestanti. Ne scaturisce un’acquisizione per cui Michele ammette di essere uno schematico. Silvio Orlando, l’allenatore, urla troppo, viene espulso anche lui. Si lamenta con l’arbitro per la sua corruzione. L’arbitro, deputato a far sì che vengano rispettate le regole, è un “cane”. Bisogna inventare un linguaggio nuovo, una vita nuova. Michele continua a rimuginare il senso travisato dell’intervista che ha appena concesso alla giornalista. “Se io traduco quello che ho in testa in una forma semplice, io fallisco…Bisogna pensare tutto, prevedere tutto…Un concetto, appena viene scritto, ecco subito che diventa menzogna….non bisogna fare un uso criminale delle parole”. Il terremoto politico avvenuto negli anni novanta, del quale la discesa in campo di Silvio Berlusconi, altro non è che una scappatoia, volge forse al termine, con la completa trasformazione della sinistra italiana. “Proviamo a recuperare, un goal alla volta”, dice Silvio Orlando. Nel 1991 ne “Il portaborse” di Daniele Lucchetti (con Nanni Moretti attore protagonista), descriveva la corruzione della politica. “Palombella rossa” contiene una descrizione dei temi che agitavano la sinistra di allora, alcuni dei quali sono gli stessi che chiedono una risposta oggi. Una delle differenze è semplice, sono passati venti anni, e certi problemi forse si danno già per risolti in maniera scontata. Forse alcuni problemi sono sorpassati. Sembra che soltanto oggi ci si stia accorgendo di quella che oramai è sulla bocca di tutti con la parola di “Casta”, a maggior riprova del fatto che i due governi precedenti, e non tanto l’ultimo governo Prodi, hanno mediaticamente ottuso i sensi.

L’arbitro non concede un rigore lampante. La giustizia non sanziona. Silvio Orlando grida “Assassini!”. Lo psicologo suggerisce all’arbitro come comportarsi. Chi decide la giustizia non possiede lo spirito necessario per decidere. A un certo punto il ragazzo cattolico torna alla carica di Michele Apicella insieme al suo guru sudamericano, che enuncia una verità che molto si addice allo scontro odierno, in termini di grande coalizione “Siamo cattolici, religiosi, sportivi. Ma non buoni contro cattivi, buoni contro buoni. Così i buoni fanno goal. Ogni goal è un silenzio.”. Mentre dai bordi del campo i due avventori, quelli che lo hanno disturbato continuamente con profferte di torte, gli gridano che lui è un egoista, che pensa solo a se stesso, Michele ha la palla di un goal, il secondo che segna in pochi minuti. Non può perdersi in sterili pensiero socio-analitico-filosofici, deve segnare, è con l’acqua alla gola, tira, mette a segno. La piscina è una metafora del mondo in cui viviamo. A dieci secondi dalla fine la squadra di Michele è sotto di un goal. Viene finalmente assegnato un rigore, sull’8 a 9. Michele chiede una possibilità, può farcela, chiede a Mario (Silvio Orlando) di battere il rigore. Remo Remotti, il guru di Silvio Orlando, dà il suo consenso. In questa fase nessuno assume su sé la responsabilità delle proprie scelte, tutti si affidano alla decisione di una persona più grande “Valentina ce l’ho fatta. Batto il rigore, vinciamo il campionato”. Michele batte il rigore, troppo presto, l’arbitro non ha fischiato. “Ma quanti anni sono che parlo da solo. E non hai pietà tu di me”. Michele viene colpito da un avversario. “Cosa vuol dire ripensare le ragioni di fondo di una forza che vuole ripensare la società?”. Michele è pronto al secondo tiro, dal pubblico parte un fischio, Michele tira e sbaglia. Anche questo è un falso tiro. Siamo, finalmente, al terzo tentativo. Michele lascia la palla a galleggiare, esce dalla piscina. Tutti vengono attratti magneticamente verso il televisore dove nel frattempo il Dottor Zivago è giunto all’ultima scena. Tutti conoscono quella scena. È un film già visto. Visto e rivisto. Malgrado le regole del gioco siano cambiate, malgrado un tentativo, e un altro e un altro ancora, tutti sono bloccati dalla scena finale, quella del tram, in cui Lara si allontana dalla scena e Zivano tenta invano di raggiungerla. Gli spettatori del film incitano insieme, finché Zivago non scende dall’autobus. Urla di tutti. I presenti gettano le sedie per terra, tirano calci, pugni. Il film, visto e rivisto, delude sempre. “Ma dove vuole andare questo PC?”.

In risposta alla domanda postagli durante la Tribuna Politica avviene l’episodio chiave del film. Michele Risponde così “Come dovrebbe fare? L’alternativa democratica mi sembra qualcosa di fisiologicamente maturo, utile, per il nostro paese, perché voi non ritenete possibile questo, perché voi non ritenete possibile il partito comunista al governo, cos’è che non va, cosa c’è che non va, il programma? Cosa dobbiamo fare, ancora? Noi dobbiamo guardare al nuovo, noi dobbiamo aprire le porte del partito a tutti, ai giovani, alle donne, ai lavoratori, ai movimenti, noi dobbiamo dire Venite! Venite nel partito, prendetelo, Vediamo insieme cosa possiamo fare, Questo Sentimento Popolare Nasce Da Meccaniche Divine, è un rapimento mistico e sensuale, mi imprigiona a te, dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri, non accontentarmi di piccole gioie quotidiane, fare come un eremita, che rinuncia a te”. Il discorso di Michele si scioglie nel canto di “E ti vengo a cercare”. La scena ritorna al presente, Michele continua a cantare, questa volta sta per battere il rigore decisivo della partita, dagli spalti anche gli spettatori cominciano a cantare “E ti vengo a cercare”, di Franco Battiato, in coro. Il rigore non è più importante. I nuotatori cantano, “Questo secolo è oramai alla fine, saturo di parassiti senza dignità, mi spinge solo ad essere migliore con più volontà…cercare l’uno al di sopra del bene e del male…essere un’immagine divina di questa realtà…Acireale! Acireale! Acireale”. Tutto il pubblico si alza in piedi. Michele viene risucchiato in ipotesi assurde sul terzo rigore “se io guardo a destra il portiere pensa che tiro a sinistra, ma io tiro veramente a destra…a destra, a destra, guardare a destra, devo guardare a destra e tirare a destra, il portiere mi lascia spazio a sinistra, no, forse è meglio a sinistra…” Michele tira e sbaglia. Gli spalti si riversano in acqua. La partita è persa. È perso l’appuntamento con la conferma della storia che si ripete su se stessa (Zivago), è persa la battaglia da parte di chi adotta la tattica dell’arrovellamento cerebrale distante dalla pratica (Mario – Silvio Orlando). “Se io avessi tirato veramente a destra”. Michele continua a ripensare al rigore, si dice, “torniamo a quel momento”. In chiusura, domina la nostalgia. I padri che incitano all’inizio sono sostituiti dalle madri che asciugano i capelli dopo la doccia, a tutti i bambini, negli spogliatoi. “Sono trent’anni che sto dentro l’acqua, stai attento all’acqua”. La morale è contenuta nelle ultime parole, dove la parola pallanuoto può essere sostituita dalla parola ‘politica’: “Io m’aspettavo di più…m’aspettavo di più dalla vita, di più, e meglio. Anche se questa pizza qui, lo spogliatoio. Ecco il motivo per cui per venticinque anni ho giocato a pallanuoto, che è uno sport che poi non mi piace nemmeno tanto, però, queste trasferte, i pullman, gli autogrill, il pubblico che ti insulta, che ti sputa addosso, i calci degli avversari, beh, tutto questo è bellissimo”. Michele è confuso, guida l’auto, esce fuori di strada per una seconda volta. Non si è fatto nulla. Un sole rosso sorge, tirato su un impalcatura, funge da scenografia per una probabile festa, mentre il sole rosso sorge, il Michele bambino ride. Cosa è cambiato e, soprattutto, cosa è rimasto ancora intatto nella sinistra?

Luciano Pagano

Gli ebook di Musicaos.it

ecce mondo [ecco come va il mondo…]


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chippe coppe fe fe – bau!
chippe coppe fe fe – bau!
chippe coppe – fe fe – bau – bau – bau!

dai eh!

qualcuno potrebbe spiegare perché è scappato dal paese di origine…ma se siamo tutti di Roma

ieri sera sono stato molto male…spesso faccio queste scene…sto molto giù vago per casa…sbarro gli occhi…a volte mi guardo allo specchio…vado in bagno e apro il cassetto delle medicine…prendo quelle più pericolose…ieri c’è stata una scelta meticolosa…poi sono andato in cucina e ho preso un bicchiere d’acqua

non lo so…forse tutto questo…risale a dei traumi infantili…mi ricordo…quand’ero bambino…tanti anni fa

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Nanni Moretti, Ecce Bombo, 8 marzo 1978