Kyoto mon amour
Giovedì 11 febbraio 2005, ore 9.00, Times Square, New York, 37 gradi fahreneit.
[1] Non fa neanche tanto freddo, non quanto pensavo che potesse fare qui a New York, mi avevano avvertito, 'a New York fa sempre freddo', forse perché i miei amici sono stati a New York per pasquetta e lì non fa ancora caldo, febbraio, marzo. Non importa. Poco meno di dieci gradi e ad essere sincero non li sento nemmeno. L'aria è secca, ha smesso di nevicare da una settimana abbondante e la neve ha fatto in tempo a sciogliersi tutta. Siamo atterrati in piena tranquillità, senza turbolenze. New York. Il cuore pulsante dell'impero, l'impero del male. 'Vai a New York e prova a certificare quel che accade, se ti riesce cerca di individuare i germi del male'. Non è per nulla facile. Forse i miei amici sono un po' prevenuti. Sono prevenuto anch'io, prima di partire ho letto qualche libro ed ho visto troppi, troppi film. Le casse della redazione non scoppiano di denaro, mi hanno mandato per due giorni soltanto. Ho fatto i conti in tasca ed ho deciso di godermi il più possibile queste poche ore di permanenza, non sono stupido. Il paragone peggiore è questo 'New York è la Roma dei nostri tempi', ovvero, NY non è paragonabile al resto dei paesini degli States, NY è tutt'altra faccenda, come Roma ai tempi dell'impero romano, oggi, NY. Non mi importa. Secondo me i luoghi si somigliano tutti, forse perché le persone sono le prime ad assomigliarsi, ad esclusione del manager seduto di fianco a me sull'aereo, un tipo che coltivava a pastiglie l'ansia d'atterraggio 'io non volevo venirci, proprio non volevo' come se dovesse accaderci qualcosa, da un momento all'altro. Figuriamoci se volevo venirci io. Fare un reportage da New York era soltanto una scusa, niente di più, fare finta di essere malato per due giorni, sputtanare un po' di soldi, fare nuove esperienze, vedere quel che accade dall'altra parte dell'oceano atlantico in un giorno qualunque di febbraio.
Tanto per cominciare una considerazione: soltanto a Londra un cittadino viene monitorato, volente o nolente, da circa trecento telecamere a circuito chiuso al giorno. Terribile. Inquietante. Forse utile per le forze dell'ordine, con una piccola constatazione, se mi è concessa, io non sono un criminale, il mio redattore non è un criminale, i miei collaboratori non sono criminali, o meglio, per alcuni di essi sarei pronto a testimoniare davanti ad un giudice, forse anche una corte suprema, 'sì, non ho a che fare con uno scrittore o collaboratori criminali, al massimo alcuni amici si macchiano di peccati veniali, nulla di più' quindi mi chiedo, tornando a questo concetto di supervisione, da dove giunga la necessità di essere costantemente monitorato da una telecamera a circuito chiuso. Ci stiamo cadendo tutti. La trappola e lì per essere serrata, il nostro piede scalzo, assieme alla caviglia, verrà chiuso nella tagliola, non potremo farci a meno. Il telefono è utile, il video telefono è inquietante. Mi spiego, se non esistono problemi (tecnici) ad intercettare una telefonata allora vuol dire che in futuro (oggi) una videotelefonata sarà naturalmente intercettabile. Mi chiedo se l'industria del porno sia pronta ad affrontare la rivoluzione dell'UMTS. Immagino quale differenza può esserci tra una telefonata ad una normale segreteria erotica ed un’altra ad un telefono di nuova generazione (archeozoico: 166 – xxx xx xx, paleozoico: 188 – xxx xx xx, mesozoico: 899 – xxx xx xx, cenozoico: http://www.xxx.xx.xx, evo moderno: telefono privato, pubblicazione di annuncio su giornale quotidiano, operatrice/ore che ti risponde al videotelefono e ti intrattiene); quanto meno non si porranno spiacevoli equivoci, come in quel film di Altman dove l’attrice della chat-line dava appuntamenti telefonici e rispondeva mentre il marito guardava le partite e il bambino frignava. Ma cosa c'entra tutto questo con New York? C'entra, c'entra…Se non mi ricordo male avevo cominciato dicendovi che non c'erano abbastanza soldi per mandarmi in viaggio per almeno una settimana, abbiamo dovuto rosicare le casse fino al limite per potermi permettere un viaggio aereo di andata e ritorno, come se non bastasse lo scorno abbiamo dovuto approfittare delle offerte che si fanno per San Valentino, che scadevano, puntualmente, il 12 febbraio. Ebbene, la notte di San Valentino (precisamente alle 4 di notte) ero su un aereo diretto negli Stati Uniti d'America. Un viaggio così allucinante può essere soltanto paragonabile all'ipotetica realizzazione del mio sogno più assurdo, quello di trascorrere il Capodanno su un treno, partire alle otto di sera, facciamo da Lecce, e svegliarsi a Milano l'uno a mattina, o a Bologna, a Roma no, non ci penso, arriverei quando la festa è ancora in corso, non ci penso proprio, metà degli ubriachi che stanno quasi per andare a coricarsi e l'altra metà ipertonici a rompermi i coglioni. Meglio arrivare in stazione a Milano o Bologna, fra le sei o le otto di mattina, il primo giorno dell'anno.
Quindi su un aereo per New York, arriverò la notte di San Valentino, mi sveglierò il quindici febbraio in città. Mi hanno detto che ha smesso di nevicare e mi hanno anche detto che sarà il viaggio meno complicato della mia vita: aeroporto-taxi-albergo-un giorno e mezzo scarso a passeggiare costeggiando un isolato perché non c'è tempo, perché non ne vale la pena, perché non ti abbiamo dato abbastanza libertà (Y€$, freedom)-taxi-aeroporto-milano-roma-brindisi-lecce.
Mi sono abbarbicato su un pensiero, 'sarò in grado, o meglio, che tipo di reportage posso scrivere? Non sarebbe stato meglio spendere quei soldi in un altro modo? Magari per stampare un libercolo in tiratura limitata da dare in regalo ai lettori della rivista? Beh, ad essere sincero mi andava di prendere una pausa, quindi, eccomi.'
C'è il ricordo di un film che continua a frullarmi nella testa mentre il taxi mi porta in albergo, saranno le luci multicolore, il film è Strange Days, non potrò fare a meno di visitare Times Square, questo mi dico, è impossibile, affanculo le Avenues, affanculo anche Central Park, ad essere sincero affanculo i ponti, tutti e quattro, non posso venire a New York senza visitare Times Square. Dico al tassista di passarci, anche solo per cinque minuti, anche se non è di strada per andare in albergo, figuratevi se la redazione di Musicaos.It poteva permettersi una stanza vicino a Times Square, se avessimo avuto così tanti soldi di sicuro avremmo mandato qualche altro sfigato a fare questo reportage, e invece no, il tassista mi dice che Times Square non è affatto sulla rotta del mio albergo, tuttavia se proprio insisto…ed eccoci qui. Sul palazzone che fa da scenografia naturale a tutti i film con cui ci hanno bombardato nell'infanzia, non ultimo proprio Strange Days, c'è incollata una pubblicità mastodontica. Mi viene in mente l'Italia, forse la Spagna. Soltanto in Europa saremmo in grado di concepire qualcosa di così eccessivo, dal palazzo fuoriesce il muso di un camioncino, sarà alto almeno cinque metri, una specie di furgone tedesco, non nomino la marca in questione perché questo reportage è quasi totalmente anonimo, ve la faccio intuire con una domanda, del genere che dovete memorizzare nel caso di smarrimento della vostra password di casella postale, la domanda è "qual'è quella marca di automobile tedesca dal cui paraurti, negli anni '90, andava molto di moda svellere il circolo di lega/alluminio, molto somigliante al simbolo della pace, un po' amputato, tuttavia?". Ecco la risposta, sì, la marca è quella. Il camioncino fuoriesce completamente dalla facciata dell'edificio e se non fosse già San Valentino e quindi the Ash Wednesday non fosse già passato da quasi una settimana mi verrebbe spontaneo pensare che si tratta di un residuato del carnevale, un carro newyorkese. Ma perché non mi hanno spedito in Brasile? Dimenticavo, non c'erano abbastanza soldi. L'effetto è comunque posticcio, nulla che non si sarebbe potuto risolvere meglio con l'utilizzo di uno schermo gigante rutilante di immagini multicolori, peccato, credevo di arrivare per imparare, il mio sogno era di tornarmene con idee fresche fresche di design, e invece mi tocca di certificare il kitsch. Non sono poi così sfortunato come credevo, avrò qualche patrono nascosto perchè il mio albergo è proprio qui vicino, fa un freddo tremendo, regalo una mancia al tassista, una leggenda vorrebbe i turisti newyorkesi molto sprovveduti in materia di mance, e tutto questo perché i tagli dei dollari sono differenti ma la carta è identica, questo non mi succede, non mi sarebbe successo in Italia, figuriamoci negli States, oh Y€$, do all'autista quanto gli spetta di mancia, prendo la mia valigia da solo ed entro nell'albergo.
Non mi attende nessuno, intuisco che al piano terra dell'albergo/pensione c'è un bar, si tratta di un'agnizione bella e buona, vado nel bar al piano terra, il bar fa da reception, ristorante, sala intrattenimento, il tutto senza soluzione di continuità all'infuori del fumo di sigaretta, ma qui non era vietato fumare dovunque? A quanto pare ho scelto un albergo malsano, poco male, fumo parecchio anche io, mi troverò bene, comincio già a rimpiangere la partenza di dopodomani. C'è soltanto una persona, un uomo, potrà avere una sessantina d'anni, ne dimostra di più, sta seduto su una poltrona davanti al televisore, fuma una sigaretta. Chiedo nel mio inglese da liceo se mi è possibile raggiungere la stanza che mi ha prenotato la redazione, sì, mi è possibile, soltanto un minuto. Finalmente sono a letto. Prometto a me stesso che domattina mi dedicherò all'osservazione del popolo americano, a partire da Times Square. Sempre che qualcosa non me lo impedisca, sempre che io non cominci a provare repulsione per qualcosa che vedo o per qualche persona che incontro, e così è.
In figura 1 e in figura 2, proprio vicino agli oggetti in bella mostra del negozio di souvenir c'è una donna con la pelliccia, da qui non sembra vera, credo che lo sia. Da più vicino mi accorgo che è ben tenuta, intendo la pelliccia, è proprio originale. Le pellicce non mi piacciono, o come dico sempre, non mi 'piaciono'. La redazione in realtà mi ha spedito qui per parlare di Christo e dei suoi Gates a Central Park, ma a me non importa, non mi importa prenderli in giro, non mi importa di far sapere loro che con la cifra che mi hanno dato non posso nemmeno permettermi un pranzo decente al ristorante dell'albergo/pensione/sala da biliardo e che quindi rimarrò qui tutto il giorno (mi bastano venti minuti per capire tutto) ad osservare la gente che passa.
Ecco infatti la mia attenzione catturata dall'uomo col cappello che in figura 7 sta portando una valigia. La sua descrizione corrisponde esattamente ai disegni che ho in tasca, prima di partire mi hanno consegnato un plico di foglio, diversi disegni raffiguranti americani tipici che avrei dovuto individuare tra la folla, questo uomo appartiene ad uno di quelli, devo marcarlo ed attenderne il ritorno, il resto andrà da sé. Non si è accorto di nulla, bene. Non si è accorto che il suo paese non ha sottoscritto il protocollo di Kyoto. Non so se siete stati mai nello studio di un avvocato o se ne conoscete uno oppure semplicemente se vi è mai capitato di andare in tribunale, anche soltanto per una causa civile, oppure per un sinistro, sapete che gli avvocati interpretano la legge. Ogni legge possiede cavilli che possono tramutarsi in capestri, basta un gesto d'interpretazione. Con la sottoscrizione del protocollo di Kyoto ci si impegna a non oltrepassare nei prossimi anni una soglia, stabilita a due gradi centigradi, per la temperatura terrestre. Non che la terra disponga di un termostato, no, se ne accorge la signora con la pelliccia e se ne accorge perfino l'uomo con la valigia ed il cappello, 'the weather is clear', trentasette gradi fahreneit, c'è il sole. Il problema è tutto nell'immondizia che stiamo sparando nell'atmosfera, ebbene, l'uomo col cappello, confuso nella folla, possiede la cittadinanza del paese che produce più inquinanti nell'atmosfera su questo pianeta, e insieme agli inquinanti e ad altre faccende questo signore possiede i documenti che certificano la sua appartenenza ad un paese che non intende impegnarsi, in sede internazionale, a pompare meno inquinanti (sei le sostanze specificate) nell'atmosfera per alzarne la temperatura, anzi, se oggi invece di 37 gradi fahreneit ce ne fossero 39 il signore col cappello sarebbe più contento, e la signora con la pelliccia forse mostrerebbe di più la sua scollatura. E qui dobbiamo fare nuovamente riferimento alla figura 2 e nella fattispecie all'uomo in basso a destra, anch'egli tipico abitante di questo paese. Notate la sua maglietta, quest'uomo non ha freddo, indossa una magliettina che penzola grazie alla sporgenza del suo addome, un giubbotto leggero, scarpe da ginnastica. Se la temperatura salisse di due gradi potrebbe tranquillamente camminare sul marciapiede indossando una maglietta a maniche corte. Il problema non sembra toccarlo, attraversa il mio campo visivo in un attimo, scompare. Come faremo tutti del resto, verremmo spazzati via da ciò che noi stessi abbiamo provocato. E' interessante chiedersi il perché della mancata ratifica del protocollo da parte di Zio Sam, facciamo finta che non si stia parlando di Pianeta Terra, ma di un appartamento dove abitano trenta persone, alcuni di essi sono disoccupati, spendono tutto il giorno in giro nella ricerca di un lavoro, l'immondizia che producono all'interno dell'appartamento è giusto pari al filtro del caffè (che scaricano nel lavandino senza che nessuno se ne accorga), a qualche quintale di carta, plastica e rifiuti organici, senza contare la normale produzione delle scorie corporee. Ebbene, facciamo finta che per qualche giorno la nettezza urbana si dimentichi di passare da quell'appartamento, anzi, facciamo finta che fuori abbia cominciato a nevicare, proprio a causa dell'effetto serra. Allora, ci sono queste trenta persone bloccate in casa con tutto il necessario per vivere ad eccezione del fatto che la loro merda viene prodotta e stipata continuativamente nell'appartamento, per qualche giorno, tanto poi finisce di nevicare. E invece non finisce di nevicare e la merda si accumula, tra di loro cominciano i primi screzi, alcuni infatti ne producono talmente tanta, di immondizia, da stimolare le occhiatacce cagnesche dei coinquilini. Finché a qualcuno non viene un'idea per smaltire la merda, perché, cribbio, non si può più respirare, l'aria diviene malsana, già abbiamo deciso di fumare a turni, vicini al camino. Le tre coppie che compaiono in figura 16, figura 17 e figura 18 si fanno accese promotrici della discussione. Non cambia nulla. Chi produce più immondizia di tutti non ne vuole sapere. Kyoto. Gli Stati Uniti d'America partecipano di più di un terzo del totale delle emissioni nell'atmosfera. Venendo qui a New York ho provato a discutere di questi argomenti con le persone che incontravo per strada, per me è stato abbastanza difficile, non ero premunito, ho fatto un po' la figura dello scemo, una persona che ti ferma per strada e ti chiede se sei a conoscenza del protocollo di Kyoto, sul marciapiede di Times Square, fa un po' la figura di quelle persone che escono nelle interviste del TG5, quando magari si celebra la Giornata della Memoria (27 scorso mese) e l'intervistatore chiede "Ma sa che cosa si festeggia oggi?" e questi rispondono, in serie romana, "Ma 'cche ne soo, so stati li nazisti, oggi se ricorda de li campi de sterminio", oppure "Sì, cioè, oggi se ricorda la fine de la seconda guera mondiale, lo sbarco in normandia…" per culminare in "'cchè non è per caso che BBenigni c'ha fatto su un documentario pure su questa cosa", ma io stavo parlando di Kyoto e nessuno mi rispondeva, anzi, camminavano dritti, dicono che a Central Park oggi inaugurano la mostra di un artista impacchettatore, o una rappresentazione teatrale, non si capisce bene, si chiama come il Messia. Ecco, ecco cosa ci vorrebbe, una redenzione interplanetaria, qualcosa che coglie tutti impreparati, come se trovassero un libro del Vangelo successivo all'Apocalisse e lì dentro si parlasse del protocollo di Kyoto. In figura 41 una madre cammina tenendo per mano un bambino, in che genere di mondo vivrà questo pupo nel futuro? La risposta è difficile, una cosa è certa, se il pupo è americano e comincerà a fumare sigarette vivrà in un paese dove per fumare una sigaretta dovrà nascondersi ed il cielo sarà nero. Ora capisco, ecco perché gli Stati Uniti non hanno firmato il protocollo di Kyoto…credono in quel documento ci siano ancora degli errori, che i dati presentati in appendice non siano completamente esatti, sono convinti, ad esempio, che la grande quantità di americani che fuma sui marciapiedi, nei prossimi anni contribuirà sensibilmente all'incremento delle polveri sospese nell'atmosfera, quindi, facendo un rapido calcolo il protocollo va riveduto e corretto, il calcolo reso più semplice dal fatto che nel frattempo IBM, Toshiba e Sony hanno elaborato Cell, il microprocessore più veloce di tutti, dieci volte più veloce del più veloce microprocessore esistente e con molta probabilità cinquantavolte più veloce del trabiccolo che state utilizzando in questo istante per leggere questo racconto. Spero che almeno stiate riuscendo a vedere tutte quante le immagini, anche perché altrimenti mi sono fatto un viaggio inutilmente. Ed è così che comincio a pensare che sia, seriamente, finché un evento non attira la mia attenzione, qualcuno si è accorto di me, della mia presenza. Mi ero messo in disparte a pensare di trovare un modo per convincere lo zio Sam di limitare le sue emissioni di gas inquinanti, di riconvertire il suo sistema industriale, ed ecco che qualcuno si accorge di me. E' una storia lunga, comincia dalla figura 34. Finalmente sembra che qualcuno sia interessato al mio discorso. Una ragazza, quella con lo zainetto rosso, si avvicina ad una cabina telefonica, compone il numero, chiama, dall'altra parte sembra che nessuno risponda. La ragazza tenta diverse volte, ne conto almeno tre, si scoraggia, non vuole più chiamare. Il fiume della gente che passa qui vicino a Times Square è inarrestabile, anche se alle nove di mattina mi aspettavo più persone, a quanto pare qui l'impressione è data più dalla quantità della costanza, sarebbe a dire che se passate da questo incrocio alle tre di notte vedrete scorrere lo stesso quantitativo di automobili, taxi, camion, pedoni, no, i pedoni sono un po' di meno, perché qui lavorano tutti, anche di notte, e se uno di notte lavora se ne sta al chiuso, sul luogo di lavoro, oppure fa il tassista. Insomma succede questa cosa strana, succede che questi quattro ragazzi mi notano, chiedo se sono infastiditi dalla presenza della mia telecamera, mi rispondono che non gli frega un cazzo della mia telecamera. E' la figura 49 che sancisce questa mia nuova alleanza con il popolo americano, questi ragazzetti sembrano svegli, potrò usarli per i miei esperimenti, potrò chiedere loro di rispondere alle mie domande, finalmente farò ritorno a Lecce senza le solite mani vuote, anche se ripeto che la redazione poteva farmi stare qui almeno una settimana, succede sempre che per ambientarsi in un luogo ci vogliano almeno quattro giorni.
La prima domanda che faccio ai ragazzi è semplice, diretta, serve per catturare la loro attenzione, chiedo loro se conoscono l'Italia, ed in particolare se conoscono Lecce. Mi dicono che conoscono l'Italia e Berlusconi, Milan, Sheva, sanno che l'Italia è un paese amico, fedele, che appoggia ogni loro scelta politica, però non conoscono Lecce. Evito la solita lezione di geografia che si fa all'estero, quando si incontra qualcuno e per spiegargli dov'è la nostra regione si deve più o meno fare così "you know that Italy has the form of a boot, Lecce is the end of the boot" a cui si aggiunge il gesto molto poco comprensibile di toccarsi il tallone della scarpa. Dopo una spiegazione del genere diciamo che l'ottanta percento degli interlocutori ha capito da dove venite ed ha capito che siamo un popolo di giocherelloni, a meno che non ve la caviate dicendo, semplicemente, che venite dal sud est dell’Italia. Dopo aver sciolto il ghiaccio chiedo se sanno qualcosa in più del nostro paese. "Conosciamo alcuni italiani, in effetti non è difficile, qui ce n'è tanti davvero, tutti abbiamo amici italiani o italo-americani, a scuola insegnano lo spagnolo, lo spagnolo è simile, prova a dire qualcosa in italiano", accenno ad una frase "l'utilizzo dell'ossimoro in certe poesie di Cosimo Ortesta è sicuramente inusuale…", fanno finta di non capire, mi lasciano perdere, non mi considerano più loro amico, forse volevo prenderli in giro, si fanno le facce tra di loro come se avessero capito contemporaneamente che volevo prenderli in giro. In figura 53 due di loro indicano un negozio dall'altro lato della strada, da quel momento in poi la comunicazione è interrotta, è bastato pochissimo per dilaniare un filo così sottile come la comunicazione tra culture differenti, ed io ho fatto davvero una pessima figura. Non so cosa fare, non mi resta che improvvisare. Potrei far visita ad una biblioteca pubblica, oppure ad una libreria, potrei vedere quali sono i libri sugli scaffali delle novità, comprarne uno, tornare in Italia e scriverci sopra due righe, sarebbe un gesto interessante. Non ne ho voglia. Non voglia di pensare ad altro. Times Square, non ho nemmeno la più pallida idea di quante volte ho pensato di visitare questi luoghi, ho addirittura cominciato a scrivere un libro, da più di un anno, la cui parte iniziale è quasi tutta ambientata a New York, una sorta di fantathriller politico, ebbene, tutta questa preparazione sciupata in una presentazione e in una domanda di cazzo agli indigeni del luogo. Già, gli indigeni americani. Se appartenessi ad una popolazione extraterrestre, se provenissi ad esempio dal pianeta Monod, e sbarcassi sul pianeta terra, qual'è la prima città dove andrei? Forse proprio New York, facciamo finta che invece io non sia atterrato qui in virtù di un piano prestabilito, facciamo finta che io sia giunto qui, a Times Square per caso, come il Marziano a Roma di Flaiano (non quello di Pippo Franco, drugat!). La prima cosa che noterei di questo luogo e la totale dissimiglianza con le visioni che ne avevo avuto sui miei visori, mentre mi avvicinavo al vostro pianeta. Il risvolto più inquietante è che questi visori non mi mandavano indietro un'immagine con la differenza di un anno luce, o anche di più, sui miei schermi le immagini arrivavano con una differita di appena cinque minuti. Come ha fatto il mondo a stravolgersi in così poco tempo? Questo luogo mi era stato favoleggiato come capitale di un impero, e invece? E invece se leggo i libri e i romanzi mi convinco che questa è realmente la capitale di un impero, se invece sto fermo a Times Square per un quarto d'ora non mi succede nulla. Non succede davvero nulla. New York è un paravento, è una copertura, è un telo che nasconde qualche altro marchingegno, questa mi sembra essere una spiegazione plausibile. Gli indigeni newyorkesi percorrono i marciapiedi senza pensare di avere una testa sopra le spalle, sanno dove vanno e basta, si muovono per moto inerziale, guardate la figura 87, ogni tanto qualcuno si accorge della mia presenza e si diverte a fare un gestaccio. Siamo tutti fondamentalmente uguali. Ecco perché i popoli provenienti da un altro pianeta hanno definitivamente abbandonato l'idea di porre fine alla nostra vita, ci stiamo pensando da soli. Avevo cominciato questo reportage da Times Square intitolandolo "La fine del mondo", poi ho cambiato idea, come sempre la prima idea è la più tracontante e meno ricca di possibili sviluppi, come sempre cambio traccia per poi accorgermi che la seconda scelta è forse peggio e che la prima rendeva il senso.
[2] Questo servizio costituisce la mia forma di protesta nei confronti dell'obbligo di scrivere qualcosa di interessante, che tocchi argomenti interessanti, che svolga un percorso interessante, e tutto con i pochi mezzi a disposizione dalla redazione, me la pagheranno. Una cosa è certa, da qui non passano mai le stesse persone, chiudo gli occhi a causa della brezza fresca, li riapro e non vedo le stesse persone. La mia esperienza newyorkese non può finire così, senza la visione di Christo, accompagnata alla paranoia di Christo. La paranoia è questa. [segue Paranoia di Christo]
[3][Paranoia di Christo] Tu sei l'artista più rivoluzionario di tutti i tempi, altro che Andy Wahrol, tu non hai cambiato colore alla Monroe, che forse ci vuole genio ma trent'anni dopo basta il Paint, e tu non hai neppure ripreso l'Empire State Building per ore e ore consecutive, che poi se vuoi diffonderne un solo fotogramma devi pagare persino i diritti d'autore, no, tu Christo hai fatto di più, tu hai impacchettato l'impossibile, a Parigi, a Berlino, dovunque, hai impacchettato la natura e hai impacchettato l'architettura, un oggetto lo hai reso più importante e visibile con un gesto naturale, un gesto di nascondimento, tu Christo sei eccezionale, ed occupi la mia paranoia, e adesso stai per compiere il tuo gesto più alto, una tua opera nella capitale dell'impero, a Central Park. Il tuo è un messaggio epifanico, caro Christo, perché forse il polmone verde nel centro del cuore dell'impero non può essere impacchettato, perché probabilmente il polmone verde deve respirare ed essere attraversato dalla vita, dal sangue, dal respiro, dalle persone. La mia paranoia epifanica, Christo mi porta a concludere che hai approfittato dell'occasione per dare un messaggio che non è più in messaggio sull'occultamento della verità, il tuo è un invito a percorrere la vita, settemila volte, col vento che svolazza ed invita a ricostruite là dove Bush distrugge, dove Bush non ratifica, dove l'antico mercimonio si mescola in matrimonio con il delirio dell'antimonio, dove tu Christo getti la moneta nello stagno invitandoci a riflettere, tutti abbiamo un polmone verde da preservare, un cielo sotto il quale essere identici, l'epifania di Christo dice, in una parola, non distruggere! [fine della paranoia di Christo]
[4] E' qualche tempo che ho cominciato a rileggere libri che non leggevo da anni, a vedere film che non vedevo da tempo, frequentare persone e indigeni americani, ebbene, mi sono reso conto che ne ho basta. Mi sono rotto le scatole di vedere servizi telegiornalistici dove si accusano gli abitanti del sud est asiatico di speculare sulla catastrofe del terremoto e poi, recandomi dopo nemmeno due mesi – un giorno come gli altri – in edicola, vedere un libro intitolato pressappoco così "Tsunami – il fenomeno delle onde anomale". Ma non sono un extraterrestre, ho mescolato troppo i piani, confondo il sogno con la realtà; la realtà è che sono stato a due giorni a New York nel mese scorso, la seconda realtà è che sono bastati due giorni trascorsi a New York per desiderare di tornare indietro e non fare in tempo a provare un po' di nostalgia che già sentivo dentro la ripulsa per alcuni aspetti del mio vivere quotidiano. Nel frattempo c'è una donna che è andata a lavorare come giornalista in Iraq ed è stata rapita davvero, mentre io al massimo sono stato catturato da quattro immagini stronze osservate e congelate in un pomeriggio di pigrizia. Per poi accorgermi che il mondo sembra essere uguale da dovunque lo si osservi.
Un terremoto è diverso se la casa in riva al mare è la tua, un servizio in una zona disastrata dall'importazione di democrazia è più pericoloso, se avete una fotocamera in mano e non sapete chi si nasconde dietro l'angolo, un milione di posti di lavoro lo abbiamo visto, scommetto che nel vostro condominio tutti sono stati assunti, almeno tre volte nell'ultimo anno. Nel frattempo, se siete anche voi dell'opinione che nel titolo dell'ultimo libro di Vespa sia inspiegabilmente nascosto il germe di un suo possibile fallimento (da Mussolini a Berlusconi) e se siete riusciti a leggere fino in fondo questo racconto allora potrete anche leggere questo documento qui sotto, sono soltanto trentanove pagine, anche per un lettore non troppo allenato possono sembrare poche, non vi fate sviare dal gergo, dai numeri e dal linguaggio troppo simile a quello che si trova nei codici, in fondo si tratta sempre di un documento ufficiale, insomma, se ne avete l'intenzione leggetelo attentamente, prima che qualcuno vi dica che era un sogno, un'ipotesi impossibile, uno specchio per le allodole, divertente da ricordare quando la linea di desertificazione avrà oltrepassato la linea gotica.
scarica e leggi qui il Protocollo di Kyoto