Pubblico qui il racconto uscito ieri, Domenica 8 Luglio sul “Corriere del Mezzogiorno”, per l’iniziativa “I racconti dell’estate”.
Nel racconto proseguo (a modo mio) l’incipit – in rosso nel testo – di “Delitto e castigo” di Fëdor Mihajlovič Dostoevskij. Siete tutti invitati a leggere gli altri racconti di tutti gli scrittori che nel corso dell’estate si passeranno il testimone di questa bella iniziativa.
Al principio di luglio, con tempo caldissimo, verso sera, un giovane scese dalla sua stanzuccia, che aveva in subaffitto nel vicolo di S., sulla strada e lentamente, come irresoluto, si diresse verso il ponte di K.
Egli scansò felicemente l’incontro con la sua padrona per la scala. La sua stanzuccia riusciva proprio sotto il tetto di un alto casamento a cinque piani e somigliava ad un armadio più che a un’abitazione. La sua padrona di casa, invece, dalla quale aveva in affitto questa cameretta con desinare e servizio compreso, abitava una scala più in basso, in un quartierino a sé; ogni volta che egli usciva sulla via, gli toccava inevitabilmente passar davanti alla cucina della padrona, la cui porta era quasi sempre spalancata sulla scala.
Quando pensò di aver scampato l’incontro con la vecchina, che di sicuro gli avrebbe ricordato il prossimo scadere dell’affitto mensile, sentì un sibilo che lo richiamava alle spalle “pssh, psssh, ehi, dico a te”, si trattava di Anastasia, la nipote della donna, una ragazzina di diciotto anni, studentessa modello che aveva appena sostenuto l’orale dell’esame di maturità classica, “ma com’è che in luglio in città rimangono soltanto gli studenti che devono sostenere gli esami orali? E tutti gli altri…che fine fanno?”, si voltò verso Asia – questo il suo diminutivo – e con un cenno del mento le chiese che cosa volesse “se ti do questi cinque euro mi vai a comprare le sigarette? Se vuoi puoi tenerti il resto”.
Accettare l’elemosina da una ragazzina avrebbe significato toccare il fondo, si disse tra i denti, rifece i gradini per raggiungere la mano tesa di Asia, facendo attenzione a non sbucare dalla porta con la testa e senza fare rumore, ad eccezione di un rapido “va bene”, afferrò i cinque euro e corse giù per le scale. La vecchia non si accorse di nulla.
Quando provò ad aprire il grosso portone di legno fece più forza del dovuto, girò la maniglia verso il basso mentre questa risaliva su da sola, a scatti, per un attimo credette che la vecchina, dal piano di sopra, stesse muovendo la maniglia in giù e su con le sue doti telecinetiche, così, per costringerlo a rimanere in casa, invece no, dall’altro lato del portone c’era qualcuno, si trattava di un medico che cercava con la stessa ostinazione di fare il contrario, cioè entrare nel condominio, pensò che era medico perché quando lo vide notò il suo paio di occhialetti piccoli piccoli. “Potrebbe dirmi dove abita la vecchia …”, e pronunciò il cognome della padrona di casa sillabando, “prenda quella scala e salga fino in cima, non si può sbagliare, ma lei chi è, sarà mica venuto per l’appartamento dell’ultimo piano…”, “no, sono venuto per la nonna della signorina Asia, sono qui per somministrarle la sua ultima ricetta, ahi noi”, “ahi noi…cosa?!?! Non capisco”, “mi scusi, forse non era al corrente, ma lei per caso non è Raskolnikov, il ragazzo di Asia?”, macché…magari. Non era mai riuscito a stabilire un contatto con quella ragazzina, i suoi trent’anni lo proiettavano fuori da una fetta di mondo a lui incomprensibile, motociclette, fumetti, sigarette fumate di nascosto dalla nonna, droghe leggere, 3msc, discoteche, mms, riduzioni per discoteche, sms, aperitivi, cose per cui avrebbe tanto voluto trovare il tempo e il modo, se solo non fosse stato uno studente fuori corso da oramai troppo tempo; i soldi che gli passavano i genitori, la stessa quota ogni mese, erano appena sufficienti per pagarsi un armadio a forma di stanza. Povera vecchia, chissà cosa aveva, stava male e non dava ad intendere nulla del suo stato, d’altronde chi si sarebbe mai potuto preoccupare di lei oltre ad Asia?
E pensare che un giorno gli era quasi venuto il desiderio di farla finita e ucciderla, se soltanto ne avesse avuto il coraggio quel giorno sarebbe stato capace di farla a pezzi con una scure per poi segarla in mille frammenti e infine mettere i lacerti di vecchia in un sacco e gettarlo dal ponte di K. fin giù. Il fatto è che lui non aveva motivi per odiare la vecchina, nessun motivo ad eccezione dell’affitto in nero che in barba a tutti gli indici Istat del paese cresceva di venti euro ogni sei mesi, di lì a qualche anno sarebbe di certo raddoppiato. Invece niente, il tempo aveva deciso per lui in anticipo, alla vecchina restavano pochi mesi di vita e sua nipote sapeva tutto, e se ci fosse di mezzo un’eredità?
Mise il piede fuori dal portone, doveva fare in fretta, la biblioteca chiudeva alle sette e mezza e si erano fatte già le sette, “tra poco più di un’ora incomincia la partita”, tirò fuori il suo paio di occhiali da sole con le lenti marrone scuro, li indossò anche se non ce ne sarebbe stato bisogno, gli capitò di vedere il sole riflesso sulla vetrina di un negozio, un disco giallo & pigro, avvolto dall’afa, si diresse verso la biblioteca in cerca di un romanzo da prendere a prestito per riuscire a trascorrere il suo, di tempo. Il suo pensiero era rivolto al numero di probabilità rimaste alla nazionale per una possibile qualificazione ai Campionati Europei del 2008. D’improvviso gli venne in mente un’idea geniale, “cos’è che ti piacerebbe regalare ad una persona se sapessi in anticipo che non la rivedrai mai più? Felicità! Momenti felici e indimenticabili!” Decise che avrebbe convinto la vecchina a vedere con lui la partita Italia-Ucraina, magari davanti ad una pizza margherita e una doppia bionda media, ma sì, tutti e due sul tavolaccio del cucinino (la compresenza di Asia non gli sarebbe affatto dispiaciuta), con la finestra spalancata e il ventilatore acceso, più di così non poteva fare, era il massimo di gioia condivisibile che gli veniva in mente di donare, accelerò il passo fino alla biblioteca comunale, entrò nell’atrio, si fermò per cinque secondi a godere la frescura di quel luogo, salì al primo piano, appena davanti davanti al bibliotecario disse “stavo cercando un libro, la Trilogia di Samuel Beckett”. Sono mesi che cercava di trovare quel libro, scomparso dalle librerie e dai cataloghi delle case editrici.
Dopo cinque minuti uscì con la sua copia in prestito della Trilogia. Entrò in una ricevitoria, comprò le sigarette di Asia e tre gratta&vinci da un euro, “ritenta sarai più fortunato”, “ritenta sarai più fortunato”, “hai vinto 20€”. Fece ritorno a casa. Toc Toc. “Cosa vuole? È successo qualcosa? Se è per l’affitto non deve preoccuparsi…c’è ancora tempo”, sentì un brusio, era lo stesso rumore che faceva il silkepil di sua sorella, immaginò Asia in piedi con un tallone sul bidet mentre ‘finiva’ un polpaccio, “No, nulla, mi chiedevo soltanto se, si insomma, questa sera c’è l’Italia che gioca contro i russi, le andrebbe di vedere con me la partita?”, “siiiiiiiii, nonna devi dire di siii”, era Asia che concedeva il permesso e si invitava da sola, sfacciatamente.
Ed eccoli lì tutti e tre, seduti davanti ad un televisore a tubo catodico da sedici pollici per vedere una partita della nazionale, fuori c’è un caldo infernale, il ventilatore ruota con la sua perfezione approssimativa facendo ondeggiare la copertina appoggiata sulla sedia a sdraio della vecchina. Chissà se si ricorderà di questa serata. Lui si. Fatto è che il giorno dopo lo studente invaghito, Asia e sua nonna, erano tutti e tre sulla spiaggia di Torre Perlina, con l’ombrellone spalancato, a prendere il sole; lui alternava un tuffo nell’acqua tiepida alla lettura della Trilogia di Beckett, mentre il vento scompigliava i capelli di Asia, quelli che uscivano dal cappello di paglia; “se qualcuno nell’inverno scorso, mentre preparavo il mio penultimo esame, mi avesse detto che in luglio sarei stato steso sulla spiaggia al tuo fianco, Asia, mentre tua nonna, ovvero la mia padrona di casa, termina un cruciverba seduta su una sedia pieghevole, ebbene, non ci avrei creduto, ma tant’è, soltanto gli stupidi possono credere che l’inizio di una storia contenga in maniera irrevocabile la sua fine”, “ma stai zitto stupido”.