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Ne resterà solo uno. (su Io sono leggenda)


Luciano Pagano
Ne resterà solo uno.
(su Io sono leggenda)

“L’ultimo uomo sulla terra” è il titolo della pellicola girata nel 1964. Come protagonista c’è il famosissimo Vincent Price, che nella sua carriera ha girato qualcosa come 145 film. Il lungometraggio è basato sulla storia di Richard Mateson scritta dieci anni prima, la stessa che ha dato ispirazione al recente “Io sono leggenda”, in uscita nelle sale italiane. Sul pianeta terra non abita più nessuno. Nell’ultima versione cinematografica la morte del genere umano, o meglio, la sua trasformazione, è causata dall’impazzimento di un virus che era partito bene, come cura globale contro un male di per sé incurabile. Il film in bianco e nero ha un fascino differente, più aderente per filologia al testo del romanzo e oltretutto uscito in un epoca particolare, dopo i lunghi successi di film dedicati dagli anni 50 – in clima di Guerra Fredda – in poi alle ‘mutazioni’, un classico da rivedere resta “L’invasione degli Ultracorpi” (1956), basato su una storia pubblicata proprio un anno dopo l’uscita di “Io sono leggenda” di Matheson. In una delle prime inquadrature dove compare Vincent Price viene mostrato il muro dove il sopravvissuto tiene un diario dei giorni che ha trascorso da quando ha ‘ereditato’ la terra (…giorno 1001), il muro somiglia alla parete di una cella, con i mesi e le croci segnate con un pennarello nero. Il mondo è una prigione desolata. L’anno di ambientazione di cui adesso ricorre il quarantennio è il 1968. Essendo il film con Vincent Price datato 1964 e dato che il protagonista vive la vicenda a distanza di 3 anni dall’avvenimento che ha dato il via alla storia, è evidente che chi ha girato la versione del ‘64 ha preferito porre il tutto più a ridosso del proprio presente. Manca, nella versione odierna, il possibile rimando al cinema di genere, con sconfinamenti in pellicole come “Fahreneit 451”, dove le geometrie asettiche delle ambientazioni aiutavano a distanziare la storia narrata in un punto di desolazione-zero. La catastrofe di cui sarà protagonista Will Smith, ambientata nel 2009, trova conclusione nel 2012; lo svolgimento a New York da il pretesto all’agente Smith per ricordare l’ecatombe di Ground Zero, un evento dell’immaginario americano spartiacque tra chi lo ha vissuto e chi no, anche nel futuro cinematostorico, un po’ come il Vietnam e molto più che Pearl Harbor. La regia del ‘64 è di Ubaldo B. Ragona. Vincent Price ha una bella collana d’aglio appesa sulla porta, la puzza di vampiro si sente da un miglio. Nel film di oggi si insiste di più sulla desolazione, complice l’atmosfera di silenzio assoluto che pervade la pellicola, ogni rumore è assente perché dobbiamo restare in allerta. Times Square con le piante che sbucano dall’asfalto è un’immagine che rende bene l’idea di un pianeta abbandonato a se stesso. Quali problemi si pone un sopravvissuto alla catastrofe? Problema numero uno: l’energia. Vincent Price se la cava con un motore a gasolio piazzato nello sgabuzzino sul terrazzo di casa. Will Smith pompa la benzina direttamente a mano. E l’energia elettrica? Negli Stati Uniti del futuro prossimo venturo non si capisce bene da dove questa venga, ampio spazio alle congetture, forse l’energia è fornita dalle centrali termonucleari dove l’uranio garantisce eternità di emissione, probabilmente un Homer Simpson neo-vampiro è il controllore delle centrali, insomma c’è energia in quantità, anche perché il consumatore di energia è uno e solo. Problema numero due: l’intrattenimento. Grazie alla presenza di energia elettrica a sufficienza la giornata di Robert Neville trascorre tra allenamenti su tapis roulant in compagnia del proprio cane, visione di vecchi dvd, corse in auto, partite a golf utilizzando lo skyline di New York come bersaglio. Vincent Price più che padrone del mondo viene presentato come spazzino dell’umanità residuale, a lui spetta l’onere di bruciare i corpi dei vampiri che vengono ammazzati o rimangono stecchiti non si sa come. I vampiri più forti ammazzano i più deboli. Solo con un cane, solo come un cane, Robert Neville ha un laboratorio dove si è attrezzato per studiare una serie di topi affetti dal virus, lì cercherà di scoprire le eventuali cure alla malattia, nel corso della storia riuscirà a catturare un soggetto umanoide femminile e cercherà di farlo guarire. Con un esito più catastrofico (dipende dai punti di vista) rispetto alla versione del ‘64. Se negli anni ‘60 la trasposizione si affidava al tema del vampiro, oggi, in “Io sono leggenda”, i vampiri hanno altri nomi: solitudine, incomunicabilità, guerra tra simili, in una storia che trattando il tema del doppio mutante sembra molto vicina alle tematiche del Jekyll e Hyde di Stevenson. Tanto è vero che fino all’ultimo la sensazione più forte proviene dal pensiero che ognuno di noi, al suo interno, nasconde una parte orribile che potrebbe essere attivata da un virus e che, in modo irreversibile, sconvolgerebbe il nostro comportamento. Il motivo è semplice, il virus più che scatenare la follia omicida dei vampiri è terribile perché ci fa tornare animali, dove l’unica ragione dominante è la non-ragione dell’istinto primordiale alla sopravvivenza. La visione che viene data delle forze dell’ordine e dell’eventuale risposta a un’emergenza epidemica è anch’essa desolante, dall’inizio alla fine, un’interpretazione politica di questa pellicola non cederebbe terreno a un’immagine di potere assoluto del governo sulla vita del singolo. L’esistenza o meno di qualche sopravvissuto, a questo punto, è a dir poco inutile, grande è infatti lo scoramento del protagonista quando è costretto ad accorgersi che di ciò che un tempo si chiamava umanità è rimasto poco. A essere sinceri le passeggiate di Will Smith sono molto simili a quelle che può fare chiunque, oggigiorno, in alcune metropoli deserte di Second Life. L’unico commento musicale, in un film dominato dall’assenza di suoni, è affidato a Bob Marley, culminante nel canto liberatorio dei titoli di coda. Redemption song.

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Io sono leggenda.


Stefano Donno
su “Io sono leggenda” di Richard Mateson

Il libro di Matheson non è un libro qualunque. Non so se sia un errore o meno lasciarsi prendere dalla voglia di incasellarlo all’interno di un genere letterario, come quello dark ad esempio, perché verrebbero messe fuori due altre categorie come l’horror e il noir, che tutte e due l’autore sintetizza in maniera davvero esemplare. E allora? Lasciamo da parte qualsiasi intento sistematizzante, che in certi casi, e mai come in questo, si rischierebbe di fare gran brutte figure. O peggio uscirsene alla buona con affermazioni del tipo … una splendida metafora del limite sottile esistente tra normalità e diversità. L’orizzonte in cui si muove la vicenda narrata è l’Apocalisse. Per essere più chiari: immaginiamo uno scenario consueto come quello che trascorriamo giorno per giorno, dove gli oggetti, le persone, le cose, i ricordi, le nostre abitudini, il lavoro che svolgiamo per tirare a campare, gli affetti facenti parte non solo del nostro bagaglio interiore, ma anche di quello agito nella realtà, scompaiono improvvisamente. E di tutto quell’universo esistenziale non rimane altro che un sopravvissuto, che scoprirà a sue spese di non essere l’unico! La meccanica narrativa sviluppata da Matheson in “Io sono Leggenda” percorre con grandissima lucidità tutte quelle dinamiche psicopatologiche che fanne parte degli abissi mentali di tutti coloro i quali riescono a sfuggire ad un disastro: sciagura aerea, attacco terroristico, guerra, incidente automobilistico mortale. Poi l’autore lavora ancora di fino, e con grande disinvoltura rappresenta tutte le tecniche di sopravvivenza, che un essere umano può mettere in campo, in un ambiente ostile, pericoloso, dove l’altro è né più né meno che un predatore, con mezzi di sussistenza che diminuiscono copiosamente con il trascorrere del tempo, secondo la legge della darwiniana selezione della specie: il più forte domina, il più debole soccombe. Ma non è così semplice. In base a questa teoria si tratterebbe di eliminare i pesi morti della specie di riferimento, per migliorarne esponenzialmente la qualità, potenzialità, e la produttività. Nello specifico, è in ballo la razza umana, il suo ultimo prodotto. Parliamo di una minaccia che viene dallo spazio? Una guerra termonucleare su scala planetaria? No un batterio ad alto potenziale virale, trasforma gli esseri umani in vampiri. Robert Neville sembra uno di noi, che dopo una giornata di duro lavoro, torna a casa, svolge le sue attività domestiche, del tipo cucina, scopa per terra, ascolta un disco, si siede in poltrona ascoltando musica classica, si concede la lettura di un libro. Mi si potrebbe dire … e allora? Tutto nella norma! Eppure la sua è una vita tutt’altro che normale. Di giorno forse … ma dopo il tramonto…le cose cambiano! Neville è l’ultimo uomo sulla Terra in un mondo completamente popolato da vampiri.
Robert in perfetta solitudine, studia il suo nemico. Ne analizza ogni singolo aspetto, la storia, la leggenda, il mito di questi abomini, e addirittura riesce ad entrare in possesso di un campione di sangue di questi neo-vampiri, e ne studia chimicamente la composizione. Il tutto per raggiungere un unico, fondamentale obiettivo: lo sterminio delle creature delle tenebre. La storia è ambientata nel 1976. In questi giorni esce nelle sale cinematografiche il film con Will Smith, dove l’ambientazione appartiene ai nostri giorni. Sia in un caso che nell’altro rimarremo tutti a bocca aperta!

Io sono Leggenda, di Richard Matheson, Fanucci, pp.224, euro 13

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