Giovanni Santese
10 Poesie

Io sto alla poesia come mia madre all’aspirapolvere
Avevo
non senza fatica
trovato la chiave
per scardinare riserve pregiudizi
e invidie (che non si sa mai).
Avevo
non senza fatica
ravanato fra l’humus di parole
sparse nei fogli disposti
a raggiera
fra il pavimento e la scrivania.
Avevo
non senza fatica
allontanato la confezione tentatrice
di antidepressivi
sciolti nella vodka
prima che nel mio sangue.
Avevo
non senza fatica
legato insieme parole eterne
(avrei scoperto poi)
che lette d’un fiato
potevano stordire il cervello
prima di sciogliersi nel sangue.
Avevo
non senza fatica
creato parole immortali
(avrei scoperto poi)
e pure mia madre quando aprì
la porta
ebbe modo di farmi notare:
“Pensa alle cose serie meglio
che la poesia non ha mai dato da mangiare
a nessuno.
Tieni, passa l’aspirapolvere che fai una cosa utile!”
Per la prima volta ho faticato a darle torto.
Commiserie
Entrava
con l’arroganza
e con
gli orpelli consueti
stentava l’italiano
e la sincerità
“Tu dai soldi per latte
lui fame”diceva
indicando il bambino
che intanto trafficava
sotto il banco dei dolci
e dei soldi.
“io no soldi”risposi
“se vuoi mangiare dare panino
e un latte bambino”
preso da una forte crisi
d’identificazione (un po’ comune
invero)
“sei stronzo…
bastardo che la morte sia
per te un sollievo….
per la vita che ti aspetta.”
Ribattè lei in un italiano
perfetto.
27 ottobre 1996
A CLAUDIA RUGGERI
La luce di poche stelle
segna il limine oscuro
tra il davanzale e il solco profondo
nella tua anima.
E’ una vertigine che cresce
e offusca e divora
che spinge all’urgenza del verso
che sia forte, riconoscibile, devastante.
E’ una musica che accompagna
i tuoi piedi scalzi
che ti fa girare in tondo
giro giro tondo
giro intorno al mondo.
E’ ancora vertigine urgenza
che ti fa pensare ai tuoi versi
e ti lancia nella tua ultima danza semiotica.
” volli/ il folle volo delle streghe/volli”
Alla corsa dei cavalli
Penuria
di pecunia
la pelle
ruvida sotto i rivoli
di sudore
i numeri
scorrono veloci
dentro i cristalli
liquidi
Il respiro aumenta
avvicinandosi l’arrivo
insieme ai santi
di tutto il paradiso.
Apparenza e facciata
Le porte dei sinonimi
si aprirono
alla creatività dei singoli
per sciolinature
che si volevano perfette
Le porte delle scuole
ludico-creative
si aprirono
per insegnare a essere bambini
o ad opporre l’aggettivo
al verbo
Le porte della politica
si aprirono
al sociale in difesa della forma
del politicamente corretto
i ciechi dunque non vedenti
i sordi non udenti
i paralitici diversamente abili
si aggiunsero poi
i bidelli operatori scolastici
gli spazzini operatori ecologici
Domani
qualcuno aprirà ancora
quelle porte
vorrà arricchirle della beneficenza pubblica
resa mediatica
da studiosi di marketing
accenderà pozzi in Africa
filmerà i sorrisi
dei bambini più poveri
del mondo intero
lui
sarà quello in disparte
appena dietro il gruppo
Poi
verranno loro
i turisti giapponesi
ai quali le porte
si apriranno
i flash dei loro scatti
illumineranno le tante
cornici vuote ma lucide
tenute ben spolverate
i loro scatti
fermeranno la forma
impressa con la pressa
delle pari opportunità
respireranno l’aria linda
delle pari dignità
mentre qualcuno
sarà ben attento
con i piedi
a tenere nascosta
la polvere
e le incrostazioni
negli angoli
o sotto profumati tappeti.
P.E.
Dialogo principiato, abbandonato e mai ripreso con Antonio Verri
Perché vedi Antonio
ad uno scrittore capita, di trovarsi di fronte una campagna arida,di parole, estesa fin dove posano gli occhi, polverosa e sbrindellata quanto basta (e se non capita è perché non si è scrittori), matta e spessa ad assorbire i raggi dell’ispirazione, del tumulto, dell’abbrivio poetico potente quanto serve ad arare di solchi immortali tanta arsura spianata.
perché vedi Antonio
in quei momenti, in quei momenti là dico,è bello (o utile, dico) avere un alter ego, che parli per noi, che come un menestrello riunisca in uno spartito parole vuote apparentemente senza senso, ma che assumono leggendole una musicalità strabiliante, un alter ego insomma…con panni d’arlecchino, la faccia impiastricciata di neve e di farina, al lieve andare sbandando la figura, mima, sorride, fa boccacce..oh grandioso figlio del nulla, ma…è stefan, è stiffan l’inventore, il solitario impostore, lo svagato cercatore di lucchi, l’eterno pellegrino suasore, il sognatore cocente, babelico, fumoso..ma è proprio galateo questo mago che viene, questo diavolicchio che cresce come il timo..tira una parola dietro l’altra, simula uno squilibrio, continua il gioco..è tanto preso, però, che il tutto spesse volte gli sfugge di mano: ecco, allora è qualcosa di divino, piroettante, aristocratico (per usare i suoi suoni), allora nient’altro che parole, neologismi, accettazione propria, doppie, elisioni, d’una musicalità strana, umorale, faticante..(da parte, la mar: istigazione a movimenti lenti, riflessivi,a godere del tempo, istigazione al tabulare, all’intrico di fatterelli, numeri, folletti, cuoricini..istigazioni, istigazione alla cabala..) oh no, guatarazzi no, scalcioni puttenosi, minnàculi spersi, sguanci, ronze, parse, pizzi, gustose pasticche, quaresimali, mustocciomini, non v’è più alto mondo di questo vigneto,cellule serrate, rami a stella familiare..; e sotto questo vigneto, vi dico, è luce, è luce che pressa sul gran vuoto, che arrotonda l’idiozia dei caseggiati – questi che sono cristalli, questi che sono sorde caccole di luce, cadute in terra, diventate costoni pali treni, muntagne staziose, burri, corpi di luce melampina, croste graalitiche, varicellose, foolmoni e sarsi ferrosi,cloache..sono diventati
perché vedi Antonio
se la paura di dare mortal sospiro aguzza l’ingegno e rende impavidi quel lunghissimo secondo di agonia celeste, innocuo il dolore, arioso il corpo e leggero, come parole posate sulle nuvole e con le nuvole lasciate andare, o ancora se dato mortal sospiro io continuo a parlarti fusse ca fusse ca su nu pocu fessa?
perché vedi Antonio
io direi poco umilmente- datemi un fonema e vi racconterò il mondo-mentre tu
da come arrotoli la lengua di pesce, sembri dire, mio stiffan, l’ordito d’o mundo è intrigante, l’òrrito delle cose di voialtri è sconvolgente, perciò i miei scoppi di vuoto, perciò le finezze malianti, le rughe color croco, lo stupore profondo, smemorante, le cische caddenti, i frisi festonnati..perciò perciò s’arrischia la lengua, quando spunta s’arrotonda- fummi, corsieri, busti, corpetti- è di un biancore a pois, gelide chiazze, tepori rosati, petaccio però: che sia petazzo, sfiziomio, che lascimpiedi la tremolante cassarmonica, che tutto scoperchi, tutto sprofondi in una nuova scia sotterra, che porti con se la mia metà faccia, qualche foca che ho per troppo fuoco, per veluscio, per vinetto..che porti via tutto ‘nsomma, che porti di me quel che vi ho detto, che scivoli senza arresto senza fondo
perché vedi Antonio
se dall’evoluzione della specie l’uomo, somiglia sempre meno a se stesso… allora
io tanto fervore non lo capisco, questa ostinazione a voler salvare i poeti dalle fiamme dell’inferno più inferno della terra, questo voler liberare i poeti dal loro impegno di buffoni di corte, dalla malasorte, con quell’ondeggiare fra la vita e la morte, ma poi ..a noi che ce ne frega, noi sappiamo come è iniziato tutto..e come andrà a finire tutto questo..perché noi vediamo all’orizzonte che corre, già corre la tila corre…e noè noè galleggia, non s’accorge ma perde consonanti, gemendo, tondeggia..e la tila intanto corre e corre…la luce stupirà…stupirà i suoi occhi…e i miei così vergini di luce…che corra dunque… che corra questa scia, che giri sul giro della terra..che scinda, che scanni se vuole, porti erva di taglio e, nelle isazze gli sfinimenti di un dio vendicativo, che ama le fòffule e i miraggi, corbelle frottole appannaggi..cantate cantastorie cantate, mimate cavalieri mimate le imprese dell’orzo bollito, suonate suoni suonatori suonate suoni non trasportabili in codici tipografici
perché vedi Antonio
o animale favoloso, o mio sperso, gnorreo, ciciarroso, o dolloso, o dolloso mio vecchio sogno che consumo in una città di boati o beoni, in un tempo che non tollera più buffonerie…ma pitto, farro, sbarro…cazzo…buffonerie saranno.
Eccome.
Nota: liberamente tratto e ispirato da ” Il Fabbricante Di Armonia- Antonio Galateo ” di Antonio Verri
P.E.
Dissoluzione dissolvente
Ero a un passo dalla poesia di peso
-se posso dare un peso al passo della poesia-
quando una nuvola oscurava il cielo
rubando il passo alla poesia di peso
-se posso dare un peso al passo della poesia.-
Così mi ritrovai
da – solo un passo dalla poesia di peso
-se posso dare un peso al passo della poesia-
da – un verso che l’umano sentire oltrepassa
al vuoto di una nuvola che passa.
Oh Desdemona!
Fu
il giorno primo
di quel mese
che alle pene d’amor
m’opposi
e
all’idillio che la notte
mi destava
fine posi.
A rallentare il cuore
che batteva con tedio
m’aiutò la chimica
a porre rimedio.
Immobile la barca
di Caronte resterà
e
se Ade nel suo regno
m’aspetta…
aspetterà.
L’araldo
Parlava a bocca pienal’araldo
negli occhi della platea
si accompagnava a Nietzsche
durante l’antipasto
gli occhi puntati degli astanti
a sorreggere parole nuove
bene impostate scandite a colpire
nel giusto cuore
il lavoro dei figli la pensione dei padri
una casa per tutti per tutti l’ascolto
Parlava a bocca piena
l’araldo
ma si spiegava bene
durante il primo
chiedeva a Proust della sua ricerca
e consigliava a tutti di decidere
da che parte stare
facendo notare che la sua strada
era l’unica percorribile
perché spianata da lui personalmente
e dalla sua mole imponente
“che presto sarò Presidente
e avrò ai miei piedi la gente”
Parlava a bocca piena
l’araldo
ma si faceva capire bene
viveva di parole e la gente le ascoltava
la sua retorica era nota a tutti
dava ai ciechi l’illusione di vedere
ai poveri la certezza del pane
alle madri il latte per i figli
prometteva pani e pesci
a chi gli chiedeva semplicemente dell’acqua
non risparmiandosi mai quando
c’era da distribuire una buona parola di conforto
non era un materialista
tanto che nulla può essergli attribuito
ma le parole quelle si
sono rimaste nel cuore della gente
e quel modo gentile di sussurrarle
con la mano sul cuore
e il tono mesto proprio delle persone sensibili
Parlava a bocca piena
l’araldo
ma sapeva bene cosa dire
agli assetati l’acqua
agli affamati parlava del pane
ai disoccupati di come li aiuterebbe un lavoro
capiva bene le disgrazie
e le plasmava con parole che
lui ben conosceva e che
liberava accendendo la speranza
ridando la vita a chi altrimenti
sarebbe morto
non perdeva occasione per aumentarsi
diminuendo con pervicacia
chiunque gli fosse contro
Parlava a bocca piena
l’araldo
ma sapeva cosa dire
poco prima della frutta
ebbe modo di confermare
che Berto per vincere il suo “Male oscuro”
si era aiutato con le pastiglie di litio
aveva una risposta per ogni domanda
e quando risposta non c’era lui
la inventava
di lui si diceva fosse nato per fare politica
di quelli come lui in Italia
si dice siano “forgiati per la politica”
Parlava a bocca piena
l’araldo
ma sapeva cosa dire
anche quando gli elettori stanchi
di vederlo mangiare
gli si rivoltarono contro negandogli il voto
Qualcuno gli sentii dire
“sono quarant’anni che faccio politica
qualche incarico il partito me lo darà comunque
e la farò pagare a questi ingrati”
Parla ancora a bocca piena
l’araldo
la vita sembra non gli abbia
insegnato nulla
“quello che semini raccogli”
“quando pensi che la gente sia stupida…”
“non fare mai il passo più lungo della gamba”
Ma è la saccenteria la pienezza di se
quell’arroganza spesso fuori posto
e con persone umili
ad avergli dato il colpo più forte
quel luogo comune che ormai da tempo
gira negli ambienti intellettuali e politici
della Città, e cioè:
“E’ l’unico politico in Italia
che viene pagato
purchè (basta che) non faccia niente”
L’araldo
appunto.
Dei ventenni è il mondo
Si crede all’amoreterno
che non muore mai
a ventanni
si deve credere.
Sale la luna
prima che sia sera
a ventanni
e la si vede con chiarezza
il sangue ribolle
si odia con forza
e non c’è posto al mondo
che resista
a ventanni.
La luce acceca
e il vento libera i capelli
a ventanni
si sente il sangue ribollire
per le ingiustizie
si lotta per uno sconosciuto
e si vince
a ventanni
non esiste causa
che non sia la nostra
trionfi della fierezza
possiamo farci carico
del peso del mondo interno
e non ne sentiremmo la fatica
ne siamo certi
a ventanni.
Si sposano le cause
le più derelitte
le più sballate
le più lontane
le più contrarie
perché a ventanni
il nervo è scoperto
e vibra forte ché l’impeto si plachi.
È per questo
che vi prego
giovani ventenni
lasciate stare le vostre playstation
il vostro cazzeggiare
da nullapensanti obliqui
i vostri vitabassa
e i concerti dei negramaro
e svegliatevi
cominciate a muovervi
nei vostri ventanni
magari potreste
spaccare qualcosa
anche solo per capire
cosa significhi
porre rimedio.
Spaccate cazzo.
Spaccate.
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