Casi di omonimia


arlecchinomoderno.jpgLa pratica della critica si trova a affrontare problemi diversi, tra questi il problema dell’omonimia. Cosa accomuna il concetto di postmoderno all’etichetta di postmoderno? Nelle ultime settimane gli interventi di A. Berardinelli e M. Belpoliti, più che del dialogo a distanza sono interessanti per le considerazioni che deviano come tangenti dalla collisione di opinioni sulla letteratura recente, contemporanea degli ultimi trenta anni. “Leggendo Berardinelli, sociologo della cultura, si ha la sensazione che il postmoderno sia essenzialmente «la vendetta dei filistei» una sorta di Kitsch (ndr maiuscolo nel testo) volgare praticato da agenti pubblicitari, addetti al marketing, promotori finanziari e autori televisivi, i lettori ideali di Eco, Calasso, Zolla”.
Chissà a quale delle 26 opere di Zolla (scritte dal 1959 al 2002 e pubblicate fino al 2006) si riferisce Belpoliti. Chissà quanto pubblico perderebbe l’editoria senza gli agenti pubblicitari, gli addetti al marketing, i promotori finanziari e gli autori televisivi. Credo molto e senza malgrado alcuno. Tra le altre cose sembra che tutte e quattro le categorie non manchino a loro volta di prodursi in opere e testi. Il problema su cui scricchiola l’affermazione paradossale è che gli autori citati (i viventi almeno) difficilmente scrivono per un pubblico che lui sembra presupporre come destinatario delle opere stesse. L’agente immobiliare può leggere Eco al venerdì e al sabato può comprare XL per leggere di Saviano che recensisce i Subsonica che pubblicano un album in cui una canzone è ispirata al Dies Irae di Giuseppe Genna, mentre Marco Philopat segue il concerto dei redivivi Sex Pistols (meno Sid). È normale. È normale perché tutto dannatamente e meravigliosamente Contemporaneo. La discussione che vorrebbe scivolare inevitabilmente verso una frattura non ne è capace. Non tanto il postmoderno (se esiste oppure no) fastidia, quanto il contemporaneo, condannato all’esistenza nel sempre presente e allo stesso tempo mutabile. Preferisco Berardinelli “Neppure su Volponi e sulla Morante, su Barthes e su Calvino, su Bernhard e su Pasolini abbiamo le idee del tutto chiare” e ancora “Qualunque cosa si pensi del postmodernismo come opzione estetica neobarocca, citazionistica, sdrammatizzante, favorevole al superficiale e all’effimero, fra “pensiero debole” e calviniana “leggerezza”, resta il fatto che la mdoernità classica, nelmomento in cui è diventata classica, cioè teoricamente e storicamente codificata, ha cessato di essere il presente per diventare il passato. È a questo punto che la letteratura occidentale è entrata nella postmodernità, che perciò è stata, già dagli anni Quaranta, non una scelta, ma un dato di fatto”.

Officine virtuose


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Ci si interroga spesso sul significato e sul senso che ancora possiede la collezione di testi e la produzione di antologie. Dell’antologia si considera spesso la sua funzione di punto di arrivo di un lavoro che c’è stato in precedenza, un po’ come accade con le riviste di letteratura. A me, delle antologie, piace considerare l’aspetto seguente, quello che c’è dopo, l’eventuale dibattito e, sulla lunga distanza, quel che resta di un lavoro, interrogarsi su che fine hanno fatto gli stili e gli autori che per un momento sono stati coincidenti nello stesso volume. Il Gruppo Opìfice è nato nel 2002 (coordinato da Simone Olla, Simone Belfiori, Giovanni Curreli, Carlo Corsale, Fabrizio Bolognesi, Joaquime), facendo suo un impegno nel coniugare ad un’azione metapolitica un pensiero e una scrittura plurale, unita quest’ultima a altre forme di espressione artistica. Di certo il Gruppo ha fatto da stimolo per diversi autori inaugurando e proseguendo la formula dell’invito mensile alla scrittura aperto a tutti, senza distinzione. Nel febbraio di quest’anno, la Giulio Perrone Editore, nella sua collana dedicata alle antologie, ha pubblicato “Tutti esplosi. Le trame di Opìfice” (Tutti esplosi. Le trame di Opìfice. A cura del Gruppo Opìfice prefazione di Massimo Carlotto, ISBN 978-88-6004-073-2, €12). La raccolta di racconti è omogenea (Maria Luisa Fascì Spurio, Piero Buscemi, Grazia Scardaci, Enrico Pietrangeli, Maurizio Pupi Bracali, Giovanna Mulas, Fabio Medda, Gennaro Livicuri, Maria Brunelli, Tommaso Chimenti, Mattia Piano, Fabrizio Ulivieri, Francesco Massinelli, Stefano Baccolini, Davide Riccio, Teresa Regna, Flavia Piccinni, Decimo Cirenaica, Fiorenza Licitra, Claudio Ughetto, Aventino Loi, Umberto Bertani, Matteo Pazzi) divisa per momenti, al contrario di quanto accade a certe antologie che corrono il rischio di raccogliere testi accomunati soltanto da coincidenze tipografiche. Ha ragione Massimo Carlotto, che nella prefazione al volume nota come questo costituisca un pretesto per tastare il polso dei temi e degli stili dell’attuale scrittura narrativa. È quello che si nota, racconto per racconto, si va dal pastiche “Un giorno una mosca per caso”, del versatile Enrico Pietrangeli, fino alla velocità e alla sperimentazione di “Il reflusso gastrico” di Davide Riccio, i suoi racconti all’interno dell’antologia sono tra i più divertenti e misurati dal punto di vista espressivo. In tutti il desiderio di raccontari, magari proiettandosi su una dimensione che non è quella consueta, forse per questo diversi racconti rappresentano un personaggio solitario fotografato in una dimensione iniziale grottesca, raggiungendo i toni parossistici, ad esempio in “Kilimangiavo” di Tommaso Chimenti, l’autore fantastica di un paese i cui abitanti ingrassano in ragione direttamente proporzionale a quanto e cosa leggono, oppure in “Devo stare più attento” di Decimo Cirenaica. Sprazzi di poesia racchiusi nelle due pagine scritte da Teresa Regna e intitolate “Il ponte”. Sarebbe davvero un peccato e un torto perdersi la freschezza e la leggerezza di alcuni di questi racconti. Belli anche il prologo e l’epilogo del volume, una storia nella storia disegnata da Luca Congia. Il filo rosso che unisce questi testi va rintracciato nella frenesia che impongono i ritmi moderni, nei quali trovare il tempo di fissare il proprio sguardo e le proprie riflessioni sulla pagina scritta richiedono un’attenzione non scontata. Il bilancio di quest’antologia secondo me è positivo. Come dice giustamente Simone Olla, nella sua nota al volume “Tutti esplosi utilizza il linguaggio letterario con il fine di demitizzare le certezze plastificate della tarda modernità. Tutti esplosi è una radiografia ironica e tragica della nostra epoca”, la pratica della scrittura si ricollega così agli intenti metapolitici dell’associazione di cui fanno parte i curatori del volume.

anticipazione da Musicaos.it – Anno IV, Numero 27
“Fermi immagine da un treno che attraversa la prateria”