gilles deleuze – l'abécédaire


18 Dicembre 2007, 20:30
gilles deleuze – l’abécédaire

cenacolo filosofico politico

Astragali Teatro
via candido,23, lecce

Martedì 18 Dicembre alle ore 20,30 Astràgali Teatro presenta il primo di una serie di appuntamenti musicali, teatrali e poetici che ci accompagneranno fino alla fine dell’anno.
“Gilles Deleuze L’Abécédaire- cenacolo politico- filosofico” è, infatti, il titolo della prima di queste serate che si terranno nella sala teatrale di Astràgali in via Giuseppe Candido, 23 a Lecce, un modo per incontrare e aprire un dibattito sul pensiero di Gilles Deleuze, uno dei più controversi ed eretici intellettuali del Novecento.
Per farlo, Astràgali ha deciso di utilizzare una delle opere più rappresentative del grande filosofo francese, “L’Abécédaire” appunto, una lunga intervista di otto ore fatta nel 1988 e pubblicata postuma, per volontà dello stesso Deleuze.
Si partirà, dunque, dalla visione di frammenti tratti da “L’Abécédaire” e dalla loro discussione per poi indagare i capisaldi del pensiero del filosofo francese.
Gilles Deleuze, nato a Parigi nel 1925 e morto suicida nel 1995, è stato promotore di una pratica filosofica concepita come continua creazione di concetti in costante dialogo con il Fuori del pensiero, affiancando alla sua attività intellettuale quella di militante politico.
“L’Abécédaire” corrisponde perfettamente all’esigenza di Deleuze, come lui stesso afferma, di “essere visto col suo respiro”, ossia alla necessità, che deve muovere qualsiasi ricerca, di partire dallo studio del fare, di occuparsi delle cose nel loro concreto divenire. L’importanza dell’Abécédaire risiede proprio nel suo essere anch’esso un rizoma -concetto caro a Deleuze- cioè un sistema proliferante, capace però di raggiungere la maggiore limpidezza e chiarezza espositiva possibile.Il risultato è una disarmante testimonianza di pensiero.
L’appuntamento di martedì 18 Dicembre ad Astràgali Teatro sarà dunque un modo per alternare alla visione di frammenti de “L’Abecedaire” la loro aperta discussione e aprire all’ interrogazione critica del pensiero di Deleuze, in un’atmosfera simposiale.
Gli appuntamenti della settimana organizzati da Astragali proseguiranno mercoledì 19 dicembre con una serata dedicata a Pier Paolo Pasolini “Alle mura del Tempo” a cura di Luca Carbone e giovedì 20 con una serata di musica e poesia con Mauro Tre e Fabio Tolledi dal titolo “Concerto per Carla Petrachi”.

con fabio tolledi
antonio borruto

Il sosia


Il giorno successivo mi fermai al solito posto. Con una differenza. Anziché proseguire nel mio cammino decisi di attendere l’arrivo del sosia. O meglio. L’arrivo della persona che secondo me aveva deciso di recitare la parte del mio sosia. Vedere con i miei occhi era l’unico modo che avevo di accorgermi se quello che diceva la gente era vero. Non ci crederete. Non ci ho creduto nemmeno io. Se qualcuno venisse a dirmi oggi “ciò che hai visto era verità” allora sarei il primo a non credere a me stesso. Così è stato. Il sosia entra dalla parte sinistra dell’inquadratura passando davanti all’edicolante dove mi rifornisco ogni settimana. Il sosia saluta l’edicolante che ricambia il saluto in modo affettuoso, come mai aveva fatto con me. Il sosia prosegue nel suo cammino, penso, forse si sta dirigendo verso la mia auto. Invece no. Il sosia attraversa la strada per entrare nella ricevitoria dove tre volte alla settimana vado a giocare la mia schedina del superenalotto, senza vincere nulla. Il sosia esce fuori con un sorriso sornione stampato sul viso, come se avesse in tasca un’ipoteca sulla vittoria. Incredibile a dirsi. Non riesco a capacitarmi di quello che vedono i miei occhi. Continuo a non credere. L’unico sistema filosofico che potrebbe venirmi in soccorso in questo momento è quello si Berkeley, ma sì, quello che coniò il motto esse est percipi, che tanto odiavo – perché non lo comprendevo – al liceo, e che adesso mi si manifesta in tutto il suo nitore. Il sosia esiste. Da quel momento non decido nemmeno più di seguirlo. Se c’è un sosia che mi assomiglia e che viene scambiato per me quando giunge in determinati luoghi, tanto vale incrociare le dita e sperare che il mio sosia si comporti bene. Da quel giorno ho preso a considerare il mio sosia come un padre può considerare un figlio disgraziato, “va bene, è nato, speriamo che non vada in giro per il mondo a far troppo danno”. Il sosia da quel giorno diviene la scusa della mia negligenza galoppante. Quando il telefono mi squilla e non mi va di rispondere chiamo in causa il Sosia, mi dico, “forse è di lui che cercano”. Certe volte mi arrivano dei messaggi in una delle mie caselle postale dove alcuni collaboratori stretti o addirittura semplici conoscenti, cercano notizie, all’inizio credo che siano interessati a me, soltanto ad una lettura attenta mi accorgo che non posso rispondere alle loro richieste perché mi mancano i frammenti di raccordo tra i discorsi che mi accennano. Come se un Sosia si sia messo tra me e loro incontrandosi in modo del tutto autonomo. Il sosia è quieto. Non mi perseguita. Si limita ad esserci. Il telefonino vibra sul tavolo. Il brusio è inconfondibile. “Numero privato”, deve essere lui. Finalmente è giunta l’ora della resa dei conti. È vero “possiamo incontrarci?”, “chi è lei, che cosa vuole?”, “ma come, ti sembra questo il modo di rispondermi? Non aspettavi anche tu questo momento?”.

[continua]

(You’ve two years left to trust me)…innesto su Maurizio Leo


maurizioleo.jpg

***** (You’ve two years left to trust me)…innesto su Maurizio Leo *****

…mentre da noi cosa succede? Negli anni in cui la Beat Generation era approdata in Italia e spopolava in America. Allen Ginsberg che legge a Milano davanti ad una folla di persone in un parco. Oggi i poetry slam rappresentano la tendenza, festival di poesia e di filosofia, festival di creazione. Il pubblico acclama la poesia, cerca i poeti, scova gli scrittori fin dalla tenera età, prima ancora che abbiano il tempo di vivere le cose che raccontano. Lo diceva Twain del perché non avrebbe mai scritto di viaggi sulla luna, semplicemente perché non avrebbe mai potuto metterci piede, sulla luna; come scusa può essere accettata. La Beat Generation, però, non è nata con l’intenzione di creare una mitologia, è nata senza intenzioni oltre quella di una scrittura che parlasse della/alla vita, né è fuoriuscita una nuova Epica Americana. Il Moloch di Ginsberg è il mostro-società che nel controllo e nel dominio trita tutto e non lascia nulla, l’alcool e la droga, fonti di espansione per viaggi neuronali e risorse inesauribili per le casse dello stato e dell’anti-stato, dell’industria e del controllo. Quel che resta sono storie che devono essere scritte per restare e poi milioni di altre vite bruciate come teste di fiammiferi brillano e si spengono bruciando le dita di chi vuole afferrarne troppa, di luce. Mentre da noi cosa succede? Altre geografie, altre mitografie. Non si attende la risposta di una rivista che intende pagarci un racconto a parola. Non si prende a calci l’astinenza dentro pagine rilegate. Alcuni scrittori presso queste latitudini confrontano i preventivi dei tipografi che con l’avvento del digitale hanno le mani sempre meno sporche e la prontezza di velocisti sulla richiesta di anticipi, nel caso che qualche scrittore (o editore) tiri un bel bidone e non si faccia più vedere. Gli scrittori di queste geografie occupano uno qualunque dei cento paesi (la provincia dei cento paesi) e sono esperti in comunicati, produzioni, presentazioni e nanoeditoria, dove microeditoria e media editoria sono faccende già grandi, che presuppongono segretari, corridoi, stanze, attese e mezze voci che si inseguono. Lo scrittore/editore, promotore di se stesso e di altri, in luoghi dove i centri sociali hanno avuto una storia puntuale, collocabile in un arco di tempo preciso, e poi sono stati lasciati abbandonati, svuotati, smantellati. E noi, dove siamo? Rischiamo di leggere quel che vogliono ‘loro’, di guardare quel che vogliono ‘loro’ e di essere informati di ciò che scelgono ‘loro’, fino a diventare uno schermo bianco sul quale possono imprimere ogni cosa, ‘loro’. Perché lo scrittore deve trovare il tempo di avere idee che siano sue, e non di qualcun altro, prese in prestito, e nel frattempo deve (r)esistere come persona, fuori dalla pagina scritta. Restano i sogni e le visioni che piombano impensati, quando capita, nel traffico, al telefono, davanti ad un bicchiere mezzo stanco e mezzo sveglio. Ogni momento è buono perché la mente sia altrove con metodo, il metodo della scrittura. Così le nostre mitografie si arricchiscono, le storie si allacciano a persone, persone proprie di un corpo, una voce. Esplosioni che riescono a sganciarsi dall’orizzonte degli eventi del buco nero, che tutto trattiene, perfino la luce dei fiammiferi più grandi. Bagliori che sanno operare con maestria senza avere il tempo di diventare maestri, oppure maestri nel loro lavoro, l’opera di limatura. Il ritmo della diffusione di un testo, a queste latitudini, fa di una ristampa un lieto evento. C’è chi è abituato, c’è chi invece vede nell’esaurimento delle scorte un parallelo dell’esaurimento nervoso di energia, perché il mercato è vasto e saturo, certe volte i lettori bisogna scovarli e quando non ci si riesce con le buone i libri vanno regalati, perché a volte dare un libro è una questione di pudore, quando nessuno lo cerca. E Jack Kerouac? Che senso ha frugare tra i fantasmi e proprio i fantasmi della Beat, che oramai sono fantasmi della storia? I fantasmi ritornano quando hanno qualcosa da ricordare, ci intimano di prendere una condotta differente, i fantasmi dei padri ci rincorrono nei sogni e i sogni, anche gli incubi, sono belli. È bella la musica di Parker, perché è arte, ed è bruttissima la sua vita, come è bruttissima la verità. La scrittura arriva dopo, dopo tutto il resto, dopo la vita. Le parole rimangono lì se non circolano, se non sono dette, se non sono contrabbandate. In questo ‘siamo tutti concorrenti’. Quello di alcuni scrittori è concorso di colpa nel prendere persone ignare e farle diventare lettori. Quest’operazione è vista di buon occhio da alcuni soltanto se va bene. Ciò accade perché a certe latitudini nella scrittura si vive non tanto una libertà di mercato (ovunque) ma una libertà dal mercato. Una libertà che permette di essere scrittori e filosofi anche al riparo da certe logiche che all’arte sono sempre andate strette. Nel momento in cui si chiude l’ultimo verso di una poesia il primo della prossima scalpita, un romanzo stampato e due nel cassetto. La poesia viaggia su fibra nervosa e ottica facendosi beffe di internet. Cioran parla di un suo amico come del filosofo ‘sans ouvre‘. Il filosofo senza opera. Lo scrittore senza opera, al di là di ogni opera. Sono i personaggi di Kerouac e della Beat Generation. Scrittori di romanzi esasperati e senza alcuna coscienza. La critica secerne metodo, categoria, confronto. Io produco metodo, categoria e confronto. Dopodiché sogno per conto mio. Questa notte ho sognato un compagno di viaggio con cui ho diviso molto e che un giorno mi diede una poesia fotocopiata, ridemmo in università di un gazebo oblungo, di come si poteva essere così fuori per scrivere certe cose, sicuramente scriteriati. Le ultime voci lo danno in Toscana, agricoltore o contadino, meglio di chi non crede che la terra abbia qualcosa da regalare. E noi? A noi cosa succede, cosa succede a mischiare la scrittura con la vita? You’ve two years left to trust me.

***** Nel gennaio del 2004 ebbi la possibilità di scrivere l’introduzione per una riedizione del libro di Maurizio Leo intitolato “Dogmaginazione”. Ristampa di un libro smarrito e non più ristampato. Purtroppo quel libro non è stato riedito. Nel frattempo l’editore Lupo ha pubblicato un’antologia delle poesie di Maurizio Leo. Oggi mi sembra cosa opportuna pubblicare sul blog l’intervento che scrissi nel 2004, dal titolo “(You’ve two years left to trust me)…innesto su Maurizio Leo.