Lorenzo Geri
Il romanzo di un avatar
Vita di Isaia Carter, Avatar è l’evoluzione narrativa di un’esplorazione su Second Life, originariamente intrapresa con l’idea di scrivere un reportage. Il libro di de Majo e Longo è pregevole anche perché non si occupa di SL come di una metafora della nostra società, anche se dà conto della peculiare forma di consumismo che lì è praticata, non si occupa di sociologia e, nonostante il titolo e il finale “profetici”, non fa del moralismo.
La Vita di Isaia Carter, Avatar descrive magistralmente le sensazioni, le esperienze, l’ilarità, le frustrazioni, le inquietudini esistenziali connesse all’immersione in un ambiente virtuale abitato da esseri umani nascosti sotto un anonimato perfetto, in quella che si può definire come un’ibridizzazione tra una chat e un videogioco. La forma letteraria e lo stile – frasi essenziali, nervose, uso costante del presente indicativo, dialoghi che imitano la tipologia di scrittura utilizzata sulle chat, anche se asciugandola ulteriormente e depurandola di alcuni vezzi poco efficaci sulla carta – si adeguano magistralmente allo scopo. È la prima volta che mi capita di leggere in un romanzo una descrizione dei paesaggi virtuali che trasmetta quella sensazione di sottile alienazione ad essi connessa, che è dovuta alla consapevolezza intermittante di esseri immersi in un mondo se non finto certo piatto, nonostante la grafica 3D.
Gli autori non si compiacciano di cucire insieme facili pezzi di costume (il sesso virtuale goffamente praticato dal protagonista, ad esempio, è descritto senza compiacimenti) e resistono anche alla tentazione di trasformare il libro in un romanzo fantascientifico o in una parodia di Matrix. La scintilla metaforica che incendia le pagine del libro nasce da un oggetto: la kippah, indossata dal protagonista per caso e per scherzo. Si tratta però di una scelta di look che gli utenti di SL mostrano di non gradire; d’altronde la kippah fuori dall’ambientazione nella quale è stata prelevata, il tempio ebraico, risulta perturbante. Da quell’oggetto nasce la storia sentimentale che anima le pagine del libro, ma anche una isotopia relativa alla ricerca di senso, alla ricerca di Dio, a un profetismo impossibile. Gli autori non si peritano di inserire un tema ostentatamente alto e irrisolto nel contesto di un libro che il lettore si attende se non di evasione, certamente “leggero”. La sfida è vinta perché il libro non stravolge la propria struttura di romanzo/reportage, eppure guadagna molto da questa tensione metaforica. L’ambizione alla catarsi, alla fine del mondo (virtuale), alla rinascita si risolve in una sorta di suicidio che, però, alla fin fine, non è altro che la classica opzione di ogni videogioco: ricominciare da capo la partita dopo il gameover. Su SL è possibile moltiplicare le vite, sucidarsi alle prime difficoltà sentimentali, esistenziali, economiche e rinascere come un nuovo avatar; è possibile volare oltre le complicazioni e le frustrazioni dei rapporti interpersonali. Ma non salvare il mondo (o salvarsi).
Le pagine più belle sono quelle dedicate alla descrizione della seduzione impossibile tentata dal protagonista Isaia nei confronti di un avatar capriccioso e malinconico, Evita. La goffaggine del protagonista è dovuta sia alla sua poca abilità con i comandi (che tradisce forse una scarsa frequentazione con i videogiochi, circostanza che spiegherebbe anche lo sguardo altro del personaggio e degli autori su SL), sia, ed è l’aspetto più affascinante, i limiti assurdi connessi alla virtualità di quel mondo. La frustrazione per il contrasto tra la libertà assoluta di spostamento (si può volare, teletrasportarsi, adagiarsi in fondo al mare o sedere pensosi sul tetto di un grattacielo) e la fissità delle espressioni e dei movimenti degli avatar conduce il protagonista alla ribellione, che, comicamente, si esplica nella scelta di cambiare il proprio corpo in quello di un orso. Più drammaticamente Evita sceglie di cambiare le sue fattezze, di imbruttirsi, eseguendo nel mondo virtuale e perfetto di SL una sorta di chirurgia plastica al contrario. Quest’ultimo apologo, che corrisponda o meno ad un “fatto” realmente “accaduto”, evidenzia, credo, come gli autori siano riusciti a trasformare la descrizione delle proprie esperienze di interazione con un universo digitale, alienante ma a tratti poetico, in un romanzo all’apparenza scorrevole e agile, ma in verità contorto e a tratti sofferto, felicemente irrisolto.
“Vita di Isaia Carter, avatar”, di Cristiano de Majo e Francesco Longo,
Laterza, 2008, 9 euro