La “Città del libro” vista da Musicaos.it (Ante-Post)


La “Città del libro” vista da Musicaos.it (Ante-Post)

Questo è un ante-post. Nei prossimi giorni, a “Città del Libro” conclusa, se mi andrà, scriverò un post-post. Aggiungo che queste note sono scritte da un tifoso della letteratura.

Anche quest’anno a Campi Salentina si terrà l’edizione della kermesse nazionale dedicata agli autori e agli editori. Un’edizione, questa sedicesima, su cui si punta per ripartire con una nuova marcia dopo un po’ di critiche che, a dire il vero, ci sono state soltanto quando la macchina organizzativa era già in moto con l’obiettivo di realizzare la XVIsima edizione di un evento al quale, nel bene e nel male, molti di noi sono veri e propri addicted. Questo è un ante-post, quindi non leggerete i nomi di chi organizza, di chi partecipa, di chi c’è stato nelle scorse edizioni e di chi ci sarà. Vi dico soltanto che l’anno scorso quando sono andato a prendere un caffè al bar mi sono voltato e alla mia sinistra c’era, in piedi e senza piega, Gianni De Michelis. Poi è stato il momento di Marco Pannella che ha fatto battute al vetriolo al fotografo e infine il bel discorso di Nichi Vendola. Quest’anno il sabato sera ci sarà Gianfranco Fini, l’uomo che liquidò il Governo Berlusconi in venti giorni; sempre meglio di Mastella che liquidò il Governo Prodi in venti ore. C’è molta attesa a riguardo, curiosità soprattutto. Quelle che seguono sono alcune note di lettura della manifestazione, alla quale parteciperò da autore (presentando il mio romanzo “È tutto normale” sabato mattina alle 11.00 insieme a Mauro Marino) e da interlocutore dialogante con Piero Rossi, autore di “Cape guastate” (Manni Editori) nel pomeriggio tardo, alle 19.00 di giovedì 25 novembre. Sarò tra i poeti/autori/scrittori/giornalisti che la sera del 28 novembre animeranno “Sotto il segno di Bodini”, il reading collettivo che chiude anche questa Città del Libro e di cui scriverò a breve. Per chi ha voglia di approfondire il lato oscuro della letteratura ci sarà anche una tavola rotonda, presenti Luisa Ruggio, Francesca Giannone, Pierluigi Mele e io, che discuteremo sul famigerato tema FAME DI REALTÀ, chi ha orecchie e penne per intendere intenda, partiremo dagli spunti e dalle riflessioni nate attorno al libro di David Shields di recente pubblicato per Fazi. Devo essere sincero? A me il libro è piaciuto, mi ha fatto pensare, forse l’ho letto al momento giusto e sicuramente senza pregiudizi. La prima immagine che mi è venuta in mente sono state le opere costruite per frammenti all’epoca del declino dell’impero romano d’occidente. Ogni teoria che ragiona al limite del suo decadimento ragiona per frammenti, come già scriveva Thomas Stearn Eliot nel suo capolavoro “The Waste Land”: “These fragments I have shored against my ruins”. Eppure ho come l’impressione che nel caso di FAME DI REALTÀ questi frammenti possano dirci qualcosa di importante, forse come tanti sassolini ci indicano la strada per uscire dal bosco dei sentieri interrotti, anche se sono dell’idea che in Italia il dibattito sulla ‘fame di realtà’ sia più andato già avanti di un passo perché iniziato da più anni, con le parole “Mi chiamo Walter Siti, come tutti. Campione di mediocrità”.

La “Città del libro” fornisce lo spunto per parlare di quest’anno che volge al termine. Tra un paio di mesi Musicaos.it compie 7 anni tondi tondi. A dire il vero i sette anni sono stati tutti vissuti e trascorsi, quindi si può dire che nel rapporto d’amore/odio con la letteratura e la critica, ho passato la crisi del settimo anno. Il che non vuol dire di certo che la letteratura mi abbia preso ad amare con più forza di prima, magari la scrittura mi conosce di più e sa starmi alla larga quando non sa cosa dirmi oppure quando le faccio orecchie da mercante.

Dopo la presentazione di Grossi, alle 20.00 esatte e nella stessa “Sala della Cultura”, Stefano Donno presenterà la graphic novel “Un caso di Stalking”, edita da Edizioni Voilier, insieme all’autrice della sceneggiatura, Ilaria Ferramosca e al disegnatore Gianmarco De Francisco. Ho avuto modo di presentare il libro venerdì scorso, da CIBUS MAZZINI, un fumetto di sicuro interesse perché tratta un argomento, quello dello stalking, da una visuale cui non siamo abituati, quella maschile. A dire il vero, stando a quanto sostiene Ilaria Ferramosca i casi di stalking al maschile sono molto più di quanti non crediamo, il fatto è che sono sommersi. Le Edizioni Voilier sono curate e la graphic novel in questione è un vero e proprio sogno a occhi aperti. Le Edizioni Voilier sono state per me una sorpresa, conosciute proprio nell’edizione della Città del libro del 2009, con quel “Tipologie di un amore fantasma” che mi incuriosì moltissimo. Negli ultimi mesi hanno pubblicato una serie di graphic novel interessanti, i titoli? Cleo (Valentino Sergi), Nuvole Rapide (Paolo Castaldi, 1 e 2), “Black Wade” di Franz e Andarle, fumetto omoerotico che pubblicano in esclusiva per l’Italia. Venerdì 26 novembre, nell’Auditoriu, co sono due incontri che hanno a che fare con Vittorio Bodini, il poeta di cui quest’anno ricorre il quarantennale della morte, evento che fa un po’ da filo rosso della manifestazione. Le sue opere sono pubblicate tutte da Besa Editrice in diversi volumi. “Tutte le poesie – Vittorio Bodini”, curato da Oreste Macrì è quello più conosciuto, di recente classificato al 3° posto di “Copertine 2010”, una manifestazione che si svolge ogni anno a Savona, dedicata appunto alla grafica delle copertine; la copertina in questione è quella della nuova edizione del libro. Alle 10.00 verrà proiettato un cortometraggio intitolato “Angeli di pietra. Omaggio a Bodini”, curato dall’Istituto A. De Pace di Lecce. Alle 12.00 sarà l’ora di “Leggendo Bodini a 40 anni dalla sua morte”, un intervento introdotto da Luisa Ruggio nel quale Antonio Lucio Giannone parlerà della sua esperienza con “Bodiniana”, la collana che Besa dedica all’opera omnia del poeta. A seguire lettura dei testi a cura di Salvatore Villa. Proprio di recente si è discusso della mancanza di un’identità letteraria del Salento per quanto riguarda la narrativa, argomento su cui ritornerò, per quanto riguarda la poesia la cifra stilistica del Salento nasce proprio grazie a Vittorio Bodini. Proprio a metà tra la proiezione del cortometraggio e l’incontro con Antonio Lucio Giannone, e precisamente alle 11.00 nella Sala Cultura, ci sarà un incontro con l’editore Lupo, che parlerà della rivista “I Prepotenti” (pubblicata con UnduetreStella in collaborazione con l’IED di Milano e il patrocinio di Unicef e Amref), testo con cui si inaugura la collana 33×33. Questa rivista è la dimostrazione concreta del fatto che Cosimo Lupo e la sua Lupo Editore, per quanto riguarda la grafica e la bellezza estetica, sia tra le più belle ‘etichette’ presenti nel nostro paese. Parlo di ‘etichette’ perché questa rivista ha il formato di un vinile 33 giri e contiene al suo interno un audio libro e un racconto illustrato. I nomi coinvolti sono di tutto riguardo, Massimo Baroni (autore), Maddalena Gerli (illustratrice), Lea Barletti e Cecilia Maffei (voci narranti), Gianluca De Rubertis (de Il Genio, musica originale), Lucia Manca (voce e testo).

Una delle prime cose che mi venne in mente, tanti anni fa, vedendo i libri di Lupo Editore fu “vorrei che un mio libro uscisse con questo editore”. A distanza di un bel po’ di giorni e dopo un anno di elaborazione in casa editrice, nel luglio 2010 è uscito il mio secondo romanzo “È tutto normale”, un libro che con l’editore abbiamo curato nel migliore dei modi possibili, dalla scelta della collana a quella dell’immagine di Nicoletta Ceccoli, dalla revisione del testo alla sua proposizione. Uno dei più bei ricordi è sicuramente associato alla Città del Libro 2009, dove incontrai per la prima volta di persona Federico Ligotti, che nello stesso periodo avrebbe pubblicato, sempre con Lupo, “Parola di Dio. Kalimat Allah”. Federico Ligotti aveva pubblicato proprio su Musicaos.it il racconto che sarebbe poi divenuto il suo romanzo di esordio. Il racconto si intitolava “Storia di Kamil”. Lupo Editore ha diverse novità, tutte interessanti, presentate in anteprima nazionale a queste Città del Libro. Il testo cui sono più affezionato è sicuramente “Il lamento dell’insonne” di Elio Coriano. Le poesie di Elio sono lampi che accendono luce della verità sul buio della menzogna quotidiana; questo libro non è una semplice conferma, si tratta di uno dei più belli e forti che io abbia letto negli ultimi anni. Elio Coriano è un poeta civile. “La vecchia Legnano” di Domenico Gullo, e “L’Aquila ante litteram”, sono altri due titoli di Lupo Editore presenti in fiera, a metà tra la narrazione e l’inchiesta. Domenico Gullo ci consegna un romanzo che racconta la comunità arbëreshe, italo-albanese, della Calabria. L’autore è emigrato giovanissimo insieme a tutta la famiglia a Torino, dove attualmente vive e lavora,  e dove ha completato gli studi. Ha mantenuto sempre un fortissimo legame con la propria regione, legame che è lo stimolo per scrivere della sua terra e della gente di Calabria. Il libro di Roberta Spinelli, scritto con il ritmo incalzante del reportage è una delle testimonianze in presa diretta più autentiche di quanto accaduto a L’Aquila in quei tragici “venticinque secondi”.

La “Città del Libro” di Campi, come tutte le manifestazione legate all’editoria e ai libri, ha il merito di portare a contatto dell’oggetto libro persone che nel corso dell’anno non capitano mai – oppure capitano poco spesso – nei paraggi di questo oggetto misterioso. Fateci caso, vi capiterà di osservare persone attonite di fronte al pensiero che così tante pagine possano essere state stampate per raccogliere i pensieri e le scritture di così tante persone. Magari approfittatene per acquistare libri come “Viaggio nel Salento” di Maria Brandon Albini, pubblicato da Kurumuny e curato da Sergio Torsello. È un testo che racconta questa terra, il Salento, da un punto di vista inedito, quello della ricercatrice che lo visitò negli anni cinquanta. Uno sguardo vergine per una terra che non lo è più e che ogni tanto fa l’innocente, in musica, in arte, nei versi o in prosa. Se poi giovedì sera, il giorno dell’inaugurazione, volete tirare fino a tardi, potete assistere all’esibizione di Andrea Baccassino, un vero e proprio vulcano, “Con decenza parlando – Le sorprendenti vite degli accademici della Canigghia” di Pasquale Chirivì è il libro di Kurumuny che verrà presentato alle 21.00 dall’editore Giovanni Chiriatti e da Stefano
Donno, insieme all’autore. Andrea Baccassino si esibirà al termine della presentazione.

Con Musicaos.it abbiamo tirato fuori questa cosa del “gruppo di lettura”, durante le presentazioni dei libri che facciamo se lo spazio è chiuso e le persone raccolte non superano la cinquantina prendiamo e regaliamo un libro a uno dei presenti, estraendo a sorte un numero da uno di quei blocchetti delle riffe che vendono nelle cartolerie. Avete presente quei blocchetti numerati da uno a cento, tipo quelli delle fiere, ebbene, prendiamo e diamo un numero a ognuno dei partecipanti. Come scegliamo questi libri? Semplice, scegliamo un testo che sia rappresentativo (per quanto ci riguarda) del rapporto tra autore e realtà. Fino a oggi abbiamo regalato: “Riportando tutto a casa” di Nicola Lagioia; “Fratelli d’Italia” di Alberto Arbasino, “Canti del caos” di Antonio Moresco e “Il contagio” di Walter Siti. La prossima volta regaleremo, su suggerimento del preparato Stefano Savella di Puglialibre, “La battuta perfetta” di Carlo D’Amicis. Ecco, tenevo a far sapere che se il lettore non va al libro è il libro che deve andare al lettore, nel nostro caso il libro va al lettore con un piccolo aiutino. Di questi tempi.

Luisa Ruggio, sempre di sabato e sempre nella sala cultura, ma questa volta alle 12.00 (prometto di non sforare con i tempi di presentazione di “È tutto normale”), presenterà Clara Nubile e l’ultimo suo libro edito da Giulio Perrone Editore, ovvero sia: “Tabaccherie orientali”. Luisa Ruggio ha al suo attivo tre libri, uno più bello e apprezzato dell’altro. Il primo è “Afra”, che in occasione della Città del Libro di Campi potrete acquistare nella sua nuova edizione (seconda edizione) di Besa Editrice. Il secondo è “La nuca”, uscito per Controluce Edizioni. Il terzo è quello che a me piace di più, “Senza storie”; mi piace così tanto che anziché scriverne una recensione sto scrivendone una recensione che si è trasformata in un racconto. In quel racconto si possono leggere frasi tipo “Luisa Ruggio appartiene a una generazione felice di scrittori salentini, che grazie alla loro continuità di produzione a un certo livello, hanno raggiunto una considerazione e una diffusione sul territorio nazionale. Il suo è stato un lavoro lento, che le ha fatto ottenere i giusti risultati, forse non ha raggiunto ancora, come molti auspicherebbero sotto il sole della nostra terra ardente, le vette delle classifiche dei best-seller: una cosa è certa, i suoi libri viaggiano su numeri […]”, oppure ancora frasi come questa “Il lettore si accorgerà proseguendo in queste storie che uno dei punti di forza stilistici della Ruggio non si gioca tanto sulla sospensione della credulità, bensì nel creare questa zona di intermittenza tra il presente e il passato: c’è sempre un ritornare a un sé passato in cerca di conforto/confronto. Insomma, ci si muove in una terra che è sogno, al limite tra il reale e la veglia. Non per niente Luisa Ruggio, nelle parole e nei fatti, è un’estimatrice del Murakami Haruki de L’uccello che girava le viti del mondo”. Insomma, su Luisa Ruggio potrei stare a divagare per più di un post, ma siccome qui si tratta di un ante-post, che viene prima del post-post, torniamo a noi.

Domenica mattina, alle 10.00 in punto, nella Sala Centro Servizi, Stefano Donno presenterà un’altra autrice, Daniela Palmieri, esordiente nella scrittura ma non certo nella letteratura, dato che appartiene a una delle famiglie che, a Lecce, sono storicamente legate ai libri. Per me ricordare di avere presentato il mio primo romanzo, Re Kappa, nella prima presentazione, proprio alla storica Libreria Palmieri, suona quasi come un battesimo; tanto è vero che quel giorno tra i presenti (lo presentai insieme a Elisabetta Liguori) c’era anche Luisa Ruggio; e il cerchio si chiude. “La cerva” è la storia di un secolo e di una famiglia a partire dalla suggestione di una canzone. Nel pomeriggio, alle 16.00, Stefano Donno presenterà “Afrune. Un reportage per pregare”, di Bhoomans Editore; un testo particolare, un reportage per immagini raffiguranti le opere pittoriche del Maestro Afrune. Domenica sera, stavolta alle 18.00, sarà la volta di un’altra presentazione interessante, quella del libro scritto dal magistrato Giuseppe Scelsi, intitolato “Il colore del melograno”. L’autore dialogherà con Elsa Valeria Mignone, l’incontro sarà coordinato dalla giornalista Alessandra Lupo.

Alle 20.00 di domenica, nella Sala Centro Servizi, ci sarà l’happening di poeti “Sotto il segno di Vittorio Bodini”, ideato da Besa Editrice, coordinato da Overeco e presentato da Stefano Donno. Ogni anno, come consuetudine, la “Città del Libro” di Campi Salentina si conclude con questo happening di poesia, occasione per ritrovarsi e per ascoltare le ‘voci’ della scrittura che si muove nella nostra terra. Quest’anno il reading è dedicato a Vittorio Bodini. Vale la pena citare tutti i partecipanti di quest’anno: Luisa Ruggio, Elisabetta Liguori, Pierluigi Mele, Marthia Carrozzo, Vito Antonio Conte, Giovanni Santese, Anastasia Leo, Margherita Macrì, Antonio Errico, Giuse Alemanno, Raffaele Polo, Elio Coriano, Massimiliano Manieri, Tiziana Cazzato, Francesco Pasca, Marco Laggetta, Ilaria Ferramosca, Giuseppe Mario Potenza, Maurizio Nocera, Federica Ricchiuto, Valeria Corrado, Caterina Stasi, Simone Giorgino, Raffaele Gorgoni, ACME LAB, Anna Chiriatti, Giovanni Chiriatti, Luciano Pagano, Gloria De Vitis, Pippi Greco, Paolo Vincenti, Andrea Donarea, Jole Chiara Romani, Mauro Marino, Marco Montanaro, Gianluca Conte.

Un aneddoto. Oggi ero nella libreria, la solita. Erano appena arrivati i pacchi con le novità Mondadori per il Natale. Io e i librai siamo rimasti affascinati dalle nuove copertine e edizioni dei classici di questo secolo, 1984 (che finalmente non ha più quel cesso di copertina che aveva fino a qualche mese fa), Narciso e Boccadoro, Sulla strada, Ti prendo e ti porto via, Fahreneit 451. Dopo un po’ mi è venuto spontaneo notare che le nuove edizioni hanno le stesse dimensioni dell’edizione economica de “La solitudine dei numeri primi”, con il libraio ci siamo detti che lo avranno fatto per avvicinare i lettori del best-seller ai classici sfruttando un principio di ‘simiglianza’ come scriveva il Lamanna traducendo i classici del pensiero presocratico. Siamo rimasti zitti due secondi e poi abbiamo continuato a parlare discutendo di Fabio Volo. Il libraio mi diceva che quelli che leggono oggi Volo sono quelli che negli anni novanta leggevano Benni. Io ho detto che tra l’uno e l’altro c’è stato Baricco, dopo Baricco non è più la stessa cosa.

Ci vediamo a Campi. Spero di divertirmi abbastanza per scrivere un post-post.

“fish&chips” di Teresa Lutri e Francesco Aprile


Francesco Aprile e Teresa Lutri appartengono alla nuova generazione degli scrittori e artisti nati negli anni ottanta che stanno diffondendo i loro ottimi frutti in rete e non solo, a partire dal Salento. Il loro frutto più recente è la collaborazione con Francesco Saverio Dodaro per il progetto New Page, che si è concretizzato in una mostra dei loro lavori inediti tenutasi presso il FondoVerri (Lecce) dal 15 ottobre al 22 ottobre, all’interno di una mostra dedicata a New Page che ha avuto inizio l’otto ottobre scorso.

“fish&chips”
un racconto di Francesco Aprile e Teresa Lutri

corri. il tempo stringe. si accorcia. l’auto sincopava il ritmo della notte. mentre luci tagliavano aria e sguardi. era tempo d’andare, cacciare via le attese, correre, soccorrere le giornate. un pazzo correva a piedi nudi accanto alla nostra auto imbottigliata nel traffico.

nudo d’attese e d’imbrogli. abbandonati_ tutti i compromessi. nudo più dei nudi. denudati tutti i pensieri. a correre e correre. forte. la schiena tesa a dire basta_ alla strada dietro_ in agguato ad allungarsi. attraverso i passi svelti.

sapeva che l’importante nella vista era l’avere una nebbia. da dissolvere prima o poi. o magari lasciarla tutta lì. come movimenti ondulatori dei pensieri. aveva la rilassatezza di uno stato dissociato della mente. e il debut di bjork ne saggiava i movimenti, areali, spostati su di un asse disintegrato_ senza più margini in riva al muoversi.

lui. pazzo per chi? pazzo per? così_ ogni cosa che fa dissonanza nello scorrere subdolo. delle cose. per aver tolto l’ultimo freno. all’incedere della mente. sugli schemi troppo rigidi_ del vivere civilmente. più vicino alla bestia. lasciava pian piano ogni umana fattezza. ogni umana ragionevolezza. per il brivido. di un abbandono. totale e disordinato.

che ero troppo concentrato su altre storie_ racconti mai rimarginati da poter stringere tutte le pretese|

a spandere come distese aperte

all’immatricolazione di storie

con appesa tutta la musica delle

esperienze accumulate. in questi

anni diroccati sul sedile di

un’auto.

che parcheggiare l’auto. non è necessario. quando è l’anima a parcheggiarsi un po’ ovunque. in ogni luogo dove il sogno sbuffa e sospira. ma vive ancora. e attira a sé tutte le arrese del “Quotidianamente vivere”. o lasciarsi vivere. prendo la vita per la coda. finalmente. che sonnecchiare basta. apro lo sportello della macchina. vomito via l’ultimo rancore di ieri. apro i polmoni. lascio che entri. la brezza. di pensieri destati. in metamorfosi_ verso l’azione.

appoggiati al muro. all’angolo della strada. nancy. andy. henry, henry squeeze. al centro di sbadigli che si prodigano nel racconto. ma dove si trasferisce, il tempo, su quel preciso istante del raccontare. henry, henry squeeze. diceva – aspettiamo frankie. di tutto è a conoscenza.

ma frankie diagnosticava la sua assenza articolando i battiti nella fessura di una finestra. dove la precisione si registrava tutta nell’entrata della luce. non sarebbe mai arrivato. nancy andy henry. soccorsero la sua assenza fantasticando sulla loro presenza. e niente luce agli angoli delle strade.

frankie! cosa sei? dove sei?

frankie mi assilli. assilla la mia testa. quest’assenza massiccia. nell’attesa che tu. giunga. finalmente giunga.

esiste il chiudersi. fuori. avido. spostando gli angoli delle strade nell’inarcarsi di un sentimento. henry raccolse tutti gli altri_nancy_andy. e l’irripetibile. sostituendo le loro immagini con l’accorciarsi gelido degli storidimenti|

annessi allo stupore.

di tutto questo. frankie era a conoscenza.

mentre affoghiamo per le strade. tinte in finta vernice di sogni, in asmatiche celebrazioni del mito. ricordiamo come siamo stati.

come il pazzo che correva accanto all’auto in una notte sbiadita. da luci artificiali a spuntare i sogni sulle cartoline dei nostri ricordi.

di tutto questo. frankie. era a conoscenza.

Una, le facce del sei!

Due.

Una!

Due.

Due e tre le facce del sei!

Quattro.

eppure. non si dimentica la ridondanza metrica del vento che ci sibila accanto.

Una, la faccia del sei!

Ora puoi ascoltare ciò che vuoi.

Due, le facce del sei!

Tre e quattro le facce del sei.

eppure. c’era un castello di nuvole nel cuore.

e poi il dolore. e urla. e rabbia. e desideri. di vendetta. di rivalsa. di estrema intenzione. eccedere. l’eretico in riva al mare. l’ascetico in montagna. la schiuma dei giorni a bordo delle parole. sonnecchiava alla luce riflessa dalle lamiere dell’auto. uno.

due.

tre.

eeeeeeeeeeeeh. conta. come incastrare lo strepitare di tutta una folla. e c’era ancora quell’uomo a correre lungo la strada. e le mani. le nostre. sui finestrini appannati. ma era tutto viola. e spargo nuvole dal finestrino. è tutto. tutto viola intorno a me. il passeggero nella mia mente. osserva. silenzioso. meraviglia e follia. gli occhi – sgomenti – riconciliano col sereno.

alla fine. il pazzo ancora correva. nelle terapeutiche distanze delle parole.

E forse una bella dose di puntine di rose. Da spargere sul terreno ed infilzarsi i piedi. Sotto una potente spinta per giungere all’altro capo del mondo. E forse solo una bella dose acuminata di parole. Che meraviglia. Quel pazzo e il suo colore. I colori che si attorcigliavano lungo le pieghe della maglietta. Gli si stringevano attorno al collo. Aveva capito. Che con il guizzo di una nave sull’increspato delle onde si poteva andare lontano. Ma che ancora più lontano doveva portare il guizzo del cuore. Fra quelle pareti d’infinito. sporcate. Nude. Dal ramificarsi del corpo. E continuava a correre. Non conosceva fermata. Che tutto inizia dove si posano le rose. Le viole. I nostri fiori d’amore. Le parole assonnate. Mentre lo guardavamo tesi alla finestra. Aperti all’incredibile. Nancy si lasciava prendere dalla voglia di correre. E via. Tutti in strada. A saltare e rotolarci per terra. Come se fossero ancora tutti qui i fili d’erba dei prati del mai. Ricordammo_ tutti_ quel giorno all’Horizon. Un parco lontano. Stretto schiacciato. In quel preciso punto dove la vista si assottiglia e tutto sembra lontano. Impercettibile. Ed i colori si sfumano e tutto assume l’unica fattezza di una linea. Incrostata nella visuale del momento. Che è propria di chi si sporge oltre se stesso ad annaffiarsi il cuore. Con lo stesso miocardio dell’infinitesimale. Pensava al cane. Steso tra le fila dei pensieri. Pensava al regno. Tutto da salvare. Il suo regno. All’arsura delle parole. Oggi. Dilatate drogate nell’assetto. Pensava al castello, sua dimora, soffiata via dal vento. A quelle carte ora sparse, dopo anni di lavori e costruzioni. A quelle carte a mollo nel fiume. Che le emozioni non sono più biodegradabili. A tutte quelle urla gettate via, nel risucchio di altoparlanti. Di amplificazioni chimiche dei battiti. E noi raccontavamo di Horizon. Di quando quella volta non volemmo più tornare indietro. Ma il sole calante ci rassegnava all’impossibile di quell’immortalità del vivere su una linea. E consegnava lo spazio indecifrabile degli sguardi_ all’impossibile percepire di Horizon nella notte.

E il pazzo per un attimo fermo ad ascoltare. Nancy trascinata dal racconto. Non si curava di quei piccoli insetti che mordevano le labbra di tutti i passanti. Nancy_ che era nel racconto si faceva il racconto stesso e non parlava. Il pazzo prese a leggerla, scritta fitta fitta su di un muro. E tutti noi. Henry, Henry Squeeze. Assieme a Andy e l’improbabile. Ascoltavano estasiati la voce pazza che ci diceva di Nancy e di quegli insetti fermi sulle nostre labbra. Mentre con la mano sviluppava via il sudore. Ne traeva fotogrammi sterili da estendere al racconto. Arricchendo Nancy in quel suo essere il racconto. Di quella nostra notte percorribile soltanto nel brulicare degli insetti. Percorribile soltanto con la smorfia di chi coi piedi pieni. Carichi delle punture di rose. Di quelle puntine tradotte in vociferare. Al masturbare dei fiori che violentavano il terreno. Gli asfalti grezzi dell’anima. gli sviluppi tetri del vivere. Si trastullava fra insetti sulle labbra e sedie a dondolo sul ciglio di una montagna. Un castello di carte. Rosse. Una linea viola|

Stretta fra le labbra. Come un fiore. Il pazzo riprese a correre e noi. Noi a rotolare. Schiacciare via il malumore. Raggiungemmo Nancy nel racconto. Sorvolammo il pazzo. I suoi colori stretti attorno al collo. Le nostre parole ingravidavano la notte. dove orizzonte era un sentiero di rose. Un pastrano di lische di pesce. A mollo nel mare.

il prossimo intervento che verrà pubblicato su Musicaos sarà la recensione di Daniela Gerundo al libro di Erri De Luca “Il peso della farfalla”

Daniela Gerundo recensisce “Il tempo invecchia in fretta” (Feltrinelli) di Antonio Tabucchi


Ben ponderata la scelta di una fotografia di Philippe Ramette in copertina : un uomo sui trampoli in cima ad una montagna, alla ricerca di “un punto di vista imprevisto” sul mondo, nell’intenzione del fotografo.
Un uomo con lo sguardo teso ad oltrepassare le linee di demarcazione dello spazio, i profili delle montagne cobalto, la linea blu di un orizzonte rischiarato da candide nubi sospese nel cielo azzurro, pronto a proiettarsi nella dimensione del ricordo, nell’interpretazione del lettore attento.
Si recepisce una sinestesia rassicurante che predispone alla concentrazione nella lettura di un romanzo che esige un’attenzione continuativa.
“Ogni immagine è una piccola avventura” per il Magritte della foto, sempre impegnato a sfidare la visione razionale del mondo.
Ognuno dei nove racconti che compongono il libro di Tabucchi è una storia finita che contiene in sé tutti gli elementi per costruirci su un intero romanzo.
Sono storie raccontate con un pathos così intenso e ammaliante da agire sulla sfera delle emozioni fino a distogliere l’attenzione dalla trama. Storie di personaggi emblematici tanto diversi tra loro ma accomunati dalla convergenza coscienziale dell’inarrestabilità e inafferrabilità del tempo e della profondità dei solchi che il suo scorrere lascia sulla vita delle persone.
Racconti che si snodano attraverso lo scandire del tempo, non solo del tempo personale, famigliare, della storia passata e recente ma anche del tempo dello spirito, appesantito da un carico di rimpianti e malinconie che inducono i protagonisti ad andare avanti col capo rivolto indietro, guardando al passato con l’occhio deformante della nostalgia mitizzatrice.
Storie di esistenze legate dal fil rouge della “saudade”, quella “inesplicabile sensazione di rimpianto, di malinconia e, al tempo stesso, desiderio di raggiungere l’inaccessibile”.
Storie realmente esistite, ascoltate, raccontate e disposte nel libro senza rispettare la cronologia di scrittura, precisa l’autore nella postfazione. Ma l’impatto con il primo racconto è forte: un lavoro perfetto nella forma e sorprendente nel contenuto che racchiude in se tutti gli elementi che ritroveremo nelle storie successive.
Intenso, suggestivo, quasi metafisico “Il cerchio”, racconto d’apertura che da solo giustifica l’intero romanzo. E’ il cerchio tracciato sul terreno da una mandria di cavalli che gira vorticosamente attorno alla protagonista del racconto al pari dei ricordi che affollano la sua mente. La donna, confusa dagli inganni della memoria tra ricordi e “falsi ricordi” che si susseguono senza una linearità temporale, sembra prigioniera più della dimensione claustrofobica della sua esistenza che della situazione contingente. Il cerchio evoca in lei il “sentimento di se stessa”; il cerchio, la forma più perfetta, simbolo di Dio e del cielo, figura che esprime la circolarità del tempo, di quel tempo che sembra volato via come aria, lasciando sepolte “nella sabbia della memoria” le risposte ai tanti interrogativi esistenziali che hanno scandito la sua vita.
Clof…clop…cloffete…cloppete…il tempo scandito da onomatopee differenti, ad indicare la variazione di intensità delle gocce che, cadendo, emettono un suono che segue una loro scala musicale. Gocce che scendono da una flebo che alimenta una persona amata e che implodono nel cervello del protagonista del secondo racconto facendo affiorare “ da un’eternità di tempo” personaggi e vicende confuse, avvolte da uno strato di nebbia che si dirada davanti al sorriso di una bimba malata terminale.
Registro stilistico più snello che favorisce una lettura più spedita in “Nuvole”. Una conversazione che tocca argomenti di notevole spessore culturale tra una bambina, resa adulta anzi tempo dai “dissidi esistenziali” dei genitori separati, e un militare in convalescenza dai danni provocati dall’esposizione all’uranio impoverito. Alla bimba, in cura dallo psicologo per le conseguenze di traumi che lei chiama “crisi dell’età evolutiva”, l’uomo insegna la nefelomanzia, l’arte di indovinare il futuro osservando le nuvole.
Un bilancio fallimentare della propria esistenza è quello che deve tracciare il protagonista del quarto racconto, un uomo benestante che vive una situazione di agiatezza e apparente sicurezza ma soffre di sbalzi di pressione imputabili, a detta del suo medico, a stati ansiosi immotivati. E’ un ex agente della ex Repubblica Democratica Tedesca che ha vissuto il crollo del muro di Berlino e delle ideologie dallo stesso simbolicamente sostenute. Ma il muro è crollato e dai dossier custoditi negli archivi della polizia è emersa una verità inquietante che pesa sul suo cuore come un macigno. La consapevolezza che la condivisione di un dolore con un amico può contribuire ad alleggerire il carico spinge l’uomo a recarsi al cimitero, dove riposa “nell’eternità orizzontale” la persona che per anni ha pedinato, condividendo ogni istante della sua vita e che per questo adesso sente a lui più vicino di qualsiasi altro amico: Bertold Brecht.

“Fra generali” molte “congetture” e una certezza: se la guerra non li avesse divisi, due uomini di grande spessore sarebbero potuti diventare grandi amici uniti dalle stesse grandi passioni.
“Yo me enamoré del aire”, il potere evocativo di una canzone, la sensazione di straniamento provocata da quelle note in un uomo che continua a sentirla dentro di sé come un’eco che lo proietta “verso una lontananza che non sapeva dove”.
Un viaggio nella storia contemporanea negli ultimi racconti, occasioni di feroce critica ai regimi totalitari, al reato di pensare in modo diverso dallo Stato, ai processi farsa le cui sentenze sono già scritte prima della seduta, alle leggi razziali, alle illusioni create dalla “pappina dell’eterna giovinezza della falsa scienziata”, ai lager, ai campi di rieducazione, ai manicomi giudiziari, alla pretesa di “lustrare la memoria per farla funzionare come vogliono loro”.
Un viaggio in aereo “Controtempo” che allontana un uomo dalla destinazione reale per proiettarlo in una dimensione borderline tra sogno e realtà, evocando un déjà vu liberatorio “come quando finalmente capiamo qualcosa che sapevamo da sempre e non volevamo sapere”, a chiusura del viaggio tra passato remoto e passato prossimo nel quale siamo stati condotti da Tabucchi attraverso la sua scrittura.
Una scrittura a volte fluida ed accattivante a volte complessa ed articolata, mai banale nella preferenza della parola, singolare nella scelta di abolire la virgolettatura dei dialoghi a vantaggio di una lettura più fluida ma di una comprensione meno immediata, perfetta nella forma quasi al limite del compiacimento manieristico, ricca di contenuti, citazioni e personaggi che offrono numerosi gli spunti di approfondimento anche a rischio di far prevalere l’uomo di cultura sullo scrittore.
Didascalico, nell’accezione più positiva del termine, il messaggio che recepiamo sin dalla copertina: servono trampoli altissimi per guardare oltre l’orizzonte visibile, per valicare i limitati confini di una quotidianità resa asfittica da condizionamenti di varia natura e aprirsi ad uno sguardo di più ampio respiro, pregno di comprensione, indulgenza, umanità, con la consapevolezza che “ non c’è futuro senza memoria”.

il prossimo racconto che verrà pubblicato su Musicaos.it sarà un racconto scritto a quattro mani da Francesco Aprile e Teresa Lutri

come collaborare qui: http://www.musicaos.it

Belle Anime Porche di Francesca Ferrando, Pressutopia, Kowalski…Feltrinelli!


“Che fine ha fatto Terry Grisedu?” era il titolo di un articolo che pubblicai su Musicaos.it e sul quotidiano “Il Paese Nuovo”, quasi quattro anni fa. L’articolo sul sito era una recensione al libro “Belle anime porche” di Francesca Ferrando; sul quotidiano uscii con un’intervista alla stessa. Francesca Ferrando è una ragazza cattiva (e talentuosa aggiungo) che nel frattempo ha proseguito nella sua strada. Una ragazza che ebbi modo di incontrare di persona alla Fiera del Libro di Torino del 2007, confermando l’idea che mi era fatto di lei vedendo il booktrailer del suo libro (uno dei primi!) e conoscendola; un vero e proprio vulcano di energia. Ebbene, l’esordio di questo vulcano di energia e inventiva (non solo scritturale) uscito con Pressutopia, l’anno dopo, nel 2008, venne pubblicato da Kowalski editore e, da domani, sarà disponibile in tutta Italia nella collana Universale Economica della Feltrinelli. Qui di seguito trovate il link all’articolo di allora: https://lucianopagano.wordpress.com/2007/01/13/che-fine-ha-fatto-terry-grisedu/

Per tutti coloro che non avevano letto questo bellissimo romanzo un’occasione da cogliere. Buona lettura.

A che ora è la fine del mondo?


E c’è anche chi, come questo presupposto esperto di Sacre Scritture, prevede che quando i sette segni si saranno tutti avverati verrà la fine dei tempi. Molto interessante, anche perché tre dei segni sono già compiuti. Ancora più interessante se si legge l’articolo originale, pubblicato nel 1997. Facendo un breve calcolo sono passati quasi quattordici anni dalla fine dei tempi. Altro che 2012! Chi fosse interessato ad aggiornamenti sull’Apocalisse può leggere qui: “Ed ecco io video” (https://lucianopagano.wordpress.com/2006/06/01/ed-ecco-io-video/)

Venerdì 12 a Leverano presento “Sono un ragazzo fortunato” di Marco Montanaro assieme a Stefano Donno e all’autore medesimo


Venerdì 12 Novembre
Mujumè…A sud di nessun nord

presso PALAZZO GORGONI, Via Sedile (centro storico), ore 20.00

presento insieme a Stefano Donno e all’autore Marco Montanaro l’esordio in volume di Marco dal titolo “Sono un ragazzo fortunato”, edito da Lupo Editore nella collana Coolibrì diretta da Osvaldo Piliego (Coolclub.it)

per me è una gioia, il primo racconto di Marco pubblicato su Musicaos.it è datato giugno 2004, come passa il tempo!

“Questa non è un’autobiografia, ma una raccolta organica di racconti dove i protagonisti sono persone qualunque, tutte alle prese con delle storie: c’è chi sceglie di trasformarsi in un libro, chi vorrebbe metter su uno spettacolo teatrale ma è preda di un blocco indescrivibile, chi lotta per un amore perduto e si trova incastrato in altre storie, chi per quell’amore è disposto a morire ma s’accorge di non poterlo fare.

In mezzo, alcune riflessioni sulla scrittura, la lettura e la fantasia. Perché scrivere piuttosto che suonare, dipingere o fare l’imbianchino?
E ancora, la vita, che coincide con la scrittura/lettura (narrarsi e ascoltarsi) e la morte, che rappresenta la fine di tutto ciò; e ancora, il tempo che scorre, unico parametro col quale tutti i personaggi sembrano costretti a fare i conti, unico fattore che li accomuna veramente.
Oltre al raccontare storie…”

info Lupo Editore: http://www.lupoeditore.com/index.php/catalogo/coolibri/sono-un-ragazzo-fortunato-marco-montanaro/

We are proud to present. Una grande opera di poesia civile. CALPESTARE L’OBLIO. In libreria a dicembre




Calpestare l’oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale: una grande opera di poesia civile, recensita dai maggiori media nazionali e internazionali. Dopo due versioni elettroniche, domenica 14 novembre verrà resentata ad Ancona l’edizione integrale (Collana Argo, ed. Cattedrale). Mostra | Reading | OpenMic-Microfono aperto.

La Cittadinanza è invitata a intervenire “in versi”

Ancona – Domenica 14 novembre 2010, a partire dalle ore 17, nell’ambito della rassegna di arte e impegno civile “Linee di resistenza”, organizzata Casa delle Culture, con il contributo di:

Provincia di Ancona | Comune di Ancona, in collaborazione con: Istituto Storia Marche | Anpi, con il Patrocinio di: I Circoscrizione – Comune di Ancona, a cura di Valerio Cuccaroni, verrà presentata l’edizione cartacea integrale dell’e-book “Calpestare l’oblio. Cento poeti contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana”, grande opera di poesia civile che nel novembre 2009 e nei mesi seguenti ha scatenato un acceso dibattito sui principali media nazionali (L’Unità, MicroMega, Corriere della Sera, Radio 24, Reset, Gli altri, Il Giornale, Libero, Il Foglio, Il manifesto) e internazionali (Le Monde diplomatique).

«Come il poeta García Lorca è diventato il simbolo della cultura violentata dalle orde franchiste, come Eluard e Aragon che con i loro versi combattevano il nazismo trionfante, così la poesia italiana degli anni berlusconiani va in trincea, riscopre l’ impegno civile, crea simbolicamente il legame emotivo che unisce la vecchia e la nuova resistenza.»
Pierluigi Battista, «Corriere della Sera», 26/11/2009

«Solo il tempo dirà se questa antologia, in cui figurano anche nomi di spicco come Maurizio Cucchi, sia destinata a rivaleggiare con la Commedia nei programmi scolastici o a finire rapidamente al macero.»
Alessandro Gnocchi, «Il Giornale», 26/11/2009

«Il delinquere autorizzato non è delinquere se non siete capaci di reazione baciate la mazza muti e rassegnati. Prima viene l’Idea poi viene il Credo poi viene la Fede capito landazzo se me ne viene qualcosa sono fedele militante furbetto.»
Commento alla notizia della pubblicazione dell’e-book nel sito di MicroMega (16/11/09)

*

Domenica 14 novembre 2010
Casa delle Culture – Via Vallemiano 46, Ancona

PROGRAMMA
Ore 17 – Inaugurazione della mostra con le illustrazioni originali dell’antologia di poesia civile “Calpestare l’oblio”, a cura di Nicola Alessandrini e Valeria Colonnella. Dal 14 novembre al 10 dicembre, mercoledì e venerdì ore 17-19.
Ore 18 – Letture dei poeti di “Calpestare l’oblio”. Proiezione del video “Correspondecias” di Loris Ferri e Stefano Sanchini.
Ore 19 – Open mic: microfono aperto al pubblico per letture di versi ispirati alla Resistenza. In collaborazione con Associazione LeggIo.
Ore 20 – Aperitivo bio a cura del Circolo Equo & Bio.
Ore 21 – Letture dei poeti di “Calpestare l’oblio”.

Intervengono: il giornalista dell’Unità Pietro Spataro; i curatori Fabio Orecchini e Davide Nota;
i poeti Loris Ferri, Maria Lenti, Renata Morresi, Natalia Paci, Enrico Piergallini, Stefano
Sanchini, Francesco Scarabicchi, Alessandro Seri, Enrico Maria Simoniello, Antonella
Ventura.

Info: argo | 335 1099665

Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana
Collana Argo, Cattedrale, Ancona, 2010, € 15 | Copyleft

A cura di Davide Nota e Fabio Orecchini
Illustrazioni e grafica a cura di Nicola Alessandrini e Valeria Colonnella

Testi di: Francesco Accattoli, Annelisa Addolorato, Nadia Agustoni, Fabiano Alborghetti, Augusto Amabili, Viola Amarelli, Antonella Anedda, Gian Maria Annovi, Danni Antonello, Luca Ariano, Roberto Bacchetta, Martino Baldi, Nanni Balestrini, Maria Carla Baroni, Vittoria Bartolucci, Alberto Bellocchio, Luca Benassi, Alberto Bertoni, Gabriella Bianchi, Marco Bini, Brunella Bruschi, Franco Buffoni, Michele Caccamo, Maria Grazia Calandrone, Carlo Carabba, Nadia Cavalera, Enrico Cerquiglini, Antonino Contiliano, Beppe Costa, Andrea Cramarossa, Walter Cremonte, Maurizio Cucchi, Gianluca D’Andrea, Roberto Dall’Olio, Gianni D’Elia, Daniele De Angelis, Francesco De Girolamo, Vera Lùcia De Oliveira, Eugenio De Signoribus, Nino De Vita, Luigi Di Ruscio, Marco Di Salvatore, Alba Donati, Stefano Donno, Fabrizio Falconi, Matteo Fantuzzi, Anna Maria Farabbi, Angelo Ferrante, Loris Ferri, Fabio Franzin, Tiziano Fratus, Andrea Garbin, Davide Gariti, Massimo Gezzi, Maria Elisa Giocondo, Marco Giovenale, Mariangela Guatteri, Raimondo Iemma, Andrea Inglese, Giulia Laurenzi, Maria Lenti, Bianca Madeccia, Maria Grazia Maiorino, Francesca Mannocchi, Giulio Marzaioli, Emiliano Michelini, Guido Monti, Silvia Monti, Davide Morelli, Renata Morresi, Giovanni Nadiani, Davide Nota, Opiemme (laboratorio), Fabio Orecchini, Claudio Orlandi, Natalia Paci, Adriano Padua, Susanna Parigi, Fabio Giovanni Pasquarella, Giovanni Peli, Enrico Piergallini, Antonio Porta, Alessandro Raveggi, Rossella Renzi, Roberto Roversi, Lina Salvi, Stefano Sanchini, Flavio Santi, Lucilio Santoni, Giuliano Scabia, Francesco Scarabicchi, Alessandro Seri, Marco Simonelli, Enrico Maria Simoniello, Giancarlo Sissa, Luigi Socci, Alfredo Sorani, Pietro Spataro, Roberta Tarquini, Rossella Tempesta, Enrico Testa, Fabio Teti, Emiliano Tolve, Adam Vaccaro, Antonella Ventura, Lello Voce, Matteo Zattoni

Con una introduzione di Valerio Cuccaroni e un intervento di Luigi-Alberto Sanchi

In libreria da dicembre

Intervista di Alessia Mocci su Mondoraro.org a proposito di “È tutto normale”


Ringrazio Alessia Mocci per le domande di questa intervista che potete leggere anche su Mondoraro.org. L’intervistatrice mi ha dato modo di parlare del mio romanzo “È tutto normale” e anche della mia scrittura; una bella occasione per chiarire alcune cose a cui tengo molto. Ho scelto di allegare a questo post l’immagine delle mosche (che ho rubato da un post pubblicato sul sito “Via delle belle donne”) per ricordare l’incipit del mio romanzo, nel quale le mosche giocano un certo ruolo.

§

È tutto normale”, edito nel luglio 2010  presso la casa editrice Lupo Editore, è giunto in pochissimo tempo alla sua seconda ristampa. L’autore, Luciano Pagano, ha voluto toccare una tematica di grande interesse per il Mondo da diversi anni: l’amore omosessuale. “È tutto normale” racconta di un orfano di nome Marco Donini e della sua vita senza madre perché adottato da una coppia gay, Ludovico e Carlo.  Marco cresce sereno con i due papà. Il romanzo si svolge in un’unica giornata e vede Marco di ritorno dopo gli studi con un’importante novità: Kris, la sua ragazza alla quale ha sempre tenuto segreto della sua vita con i due padri.

L’autore è stato molto disponibile nel rispondere ad alcune nostre domande. Buona Lettura!

A.M.: Nel 2007 hai pubblicato il romanzo “Re Kappa”. Quanto credi che Luciano Pagano sia cambiato in questa tua ultima pubblicazione in tre anni?

Luciano Pagano: “Re Kappa” nasce da una sfida; l’editore del mio esordio, Livio Muci (Besa Editrice), mi aveva proposto la pubblicazione di un altro romanzo, “Moto Proprio”, al quale avevo lavorato tra il 2002 ed il 2005; un’opera difficoltosa ed impervia, linguisticamente sperimentale, alla quale sto ancora lavorando ma che non ritenni allora opportuno come esordio. Durante la stesura e la correzione di “Moto proprio”, nacque “Re Kappa”, quasi come antidoto dello stress cui è sottoposto il giovane scrittore che vive su sé il desiderio di arrivare e farsi leggere provenendo da un ambiente difficile ed ostico, quale può essere quello letterario degli anni 2000.

A.M.: “È tutto normale” tratta una tematica abbastanza scottante. Vuoi illustrarcela a grandi linee?

Luciano Pagano: La tematica è scottante ancora oggi, tanto è vero che durante la stesura del romanzo, avvenuta tra il 2008 ed il 2009, ogni volta che ascoltavo notizie di episodi che coinvolgevano le comunità gay, lesbo o trans, ero abituato a cogliere temi e spunti dai quali dovevo allontanarmi intenzionalmente. Il pensiero era “la storia è questa, oramai stai definendo i particolari, non puoi lasciarti influenzare più di tanto”. Lo stesso dicasi per le infinite diatribe sul tema dei matrimoni delle coppie omosessuali o sullo status, nel nostro paese, delle “coppie di fatto”. La mia intenzione era quella di affrontare una tematica viva e scottante quale poteva essere quella dei matrimoni gay, senza che tale tematica rischiasse di essere relegata alla sola sfera della sessualità. Uno scrive a parole sue di qualcosa che vorrebbe leggere, io scrivo di un tema cercando di ottenere una semplificazione dei fatti che mi permetta di avviare una discussione attorno a temi più importanti, senza fossilizzarmi; quel che importa è la storia, non l’approfondimento antropologico. La tematica diventa il pretesto della narrazione ed allo stesso tempo la narrazione diventa il mezzo per allargare i confini della discussione. Tutti questi discorsi rimarrebbero al di qua della pubblicazione se la mia sensibilità di autore non avesse trovato riscontro nella sensibilità di Cosimo Lupo, l’editore del romanzo, che non ha mai messo in dubbio la tematica del testo; ci abbiamo lavorato su per un annetto, per l’appunto, in assoluta normalità; quando il testo era vicino ad essere compiuto la consulenza di Antonio Miccoli (il direttore della collana InBox in cui è uscito il romanzo) e di Donatella Neri (editor della casa editrice) mi hanno fatto percepire che stavamo parlando di una storia compiuta, a sé stante. La conferma è arrivata dai lettori, la maggior parte dei quali mi scrive che il romanzo si legge d’un fiato, nonostante le quasi trecento pagine di cui è composto.

A.M.: Ci sono somiglianze caratteriali rilevanti tra Ludovico e Carlo?

Luciano Pagano: Tra Ludovico e Carlo devono esserci per forza somiglianze, anche perché come persona (prima che come autore) credo alla teoria per cui una coppia nasca quando ci sia un terreno comune. Entrambi sono caratteri forti, indipendenti, liberi; abbastanza menefreghisti dell’ambiente che li circonda, condizione indispensabile per concentrarsi sulla propria vita e sull’importanza dei propri sentimenti, prima ancora dell’opinione che gli altri si fanno di loro, a partire dai familiari di Carlo. In ognuno dei caratteri del romanzo, ad eccezione di Kris, ho disseminato somiglianze/dissomiglianze con il mio carattere. Nell’infanzia di Marco, il figlio cresciuto da Carlo e Ludovico, ho disseminato piccoli episodi rubati dalla mia infanzia; è il personaggio dove mi sono riflesso di più. L’episodio della visita alla mostra di Magritte, ad esempio, è accaduto realmente.

A.M.: Pensi che il tema dell’omosessualità possa in qualche modo abbassare il numero di lettori italiani?

Luciano Pagano: È una problematica, questa, che non mi sono posto per nemmeno una frazione di secondo né prima, né durante e nemmeno dopo la pubblicazione del romanzo. Potrei pormi lo stesso problema con altri autori e chiedermi se il tema dell’omosessualità possa in qualche modo abbassare il numero dei lettori italiani delle opere di Marcel Proust o Oscar Wilde o David Leavitt o Virginia Woolf o Bret Easton Ellis, oppure di Aldo Busi o, per citare uno degli autori che più stimo, Walter Siti. A titolo esemplificativo, e non a caso, riporto il testo della fascetta: “Se Marco rileggesse i diari che ha scritto quando era ragazzo, ogni giorno della sua adolescenza, con i giorni tutti in fila, se prendesse la briga di metterli in ordine in un faldone, se soltanto avesse il tempo o il coraggio  che è uguale  di ricopiarli al computer e li dividesse per sezioni, capitoli, articoli, ne uscirebbe una versione allucinata della sua vita, scritta a casaccio sfogliando nel passato, irta di piccoli drammi domestici, sforzi fatti dalle fibre del suo cuore perché il seme del suo pianto fosse gettato altrove, oltre lo schianto provocato alla scoperta che tutti gli altri bambini avevano una madre e lui no. Il nuovo romanzo di Luciano Pagano racconta l’amore inconsueto dei padri per i figli.” Se notate non si fa alcun cenno circa il fatto che Marco venga cresciuto da due padri. Marco, il protagonista è orfano, e grazie ai padri scopre che cos’è l’amore e cresce come un ragazzo qualsiasi. Questo è il punto, al di là della tematica dell’omogenitorialità, il romanzo potrebbe intendere che ci si interroghi anche sullo stato della normalità della famiglia italiana che in realtà altri non è se non “normatività” della famiglia.

A.M.: Come definiresti il tuo stile letterario?

Luciano Pagano: Posso azzardare soltanto una definizione in progress del mio stile letterario: “Scrivere di ciò che va raccontato e detto con un quantitativo di parole che non ecceda la fiducia del lettore, non prenderlo mai in giro”. La palestra della mia scrittura recente, parlo degli ultimi sette anni, sono la rete ed i giornali. Ambiti in cui è difficile barare senza scoprire le carte. In un articolo scritto di recente sul mio romanzo, Antonio Errico (Nuovo Quotidiano di Puglia) notava come in tutto il testo ci fossero pochissimi avverbi; in effetti ce ne saranno due, forse tre; c’è chi lo ha chiamato minimalismo; forse proviene da un’abitudine alla scrittura poetica come metodo, ad un leggere e rileggere a pagina con intento sottrattivo, fino a togliere tutto ciò che sembra superfluo. Lo stile trova un suo compimento quando il lettore non sente questo lavoro pregresso.

A.M.: Quali sono gli autori che pensi ti abbiamo guidato nel tuo percorso?

Luciano Pagano: Spero di essere soltanto all’inizio del mio percorso. Detto ciò le guide sono tutti gli autori che dai quali cerco di rubare suggerimenti, modi, consigli. Adoro i classici, quando entro in libreria senza sapere che libro acquistare nel novanta per cento dei casi esco con un doppione, un’ennesima edizione, un’altra edizione di qualche classico che manca dalla mia biblioteca. Mi piacciono i narratori italiani della seconda metà del secolo scorso, dal dopoguerra in poi. Non faccio nomi in particolare, questo è soltanto un suggerimento implicito a chiunque legga questa intervista nel poter approfondire la letteratura di quel periodo. L’Italia secondo me ha avuto un periodo stupefacente, dagli anni ‘50 ad oggi, nei quali hanno scritto autori diversissimi, unici, paradigmatici come Arbasino, Pasolini, Flaiano, Testori, Bianciardi, Parise, Manganelli, Bene; ma anche poeti come Bigongiari, Zanzotto, Giudici, Sereni, Luzi; e poi ci sono autori atipici, a metà tra la scrittura e la traduzione, che mi hanno influenzato con il complesso della loro opera multiforme, penso a due nomi su tutti, Guido Ceronetti e Luca Canali; per non parlare dei narratori che hanno pubblicato dagli anni ottanta ad oggi; anche noi non saremmo gli stessi se non avessimo attinto alla miniera del nostro passato letterario recente. Qualche giorno fa ho avuto l’occasione di fare da relatore ad una doppia presentazione di uno degli scrittori italiani che più stimo, Nicola Lagioia; parlando del suo “Riportando tutto a casa” e degli anni ‘80, siamo stati d’accordo sul fatto che esiste una grande fetta della nostra letteratura recente, gli ultimi trent’anni, che deve ancora dare tutti i suoi frutti.

A.M.: Hai già presentato il libro ufficialmente?

Luciano Pagano: “È tutto normale” è uscito in un periodo atipico, inizio luglio di quest’anno. Nonostante l’estate il libro è stato ristampato e sta viaggiando oltre il traguardo delle mille copie, un obiettivo difficile che mi fa ben sperare. L’ho presentato l’11 luglio 2010 a Liberrima, una delle più belle librerie di Lecce. Ancora oggi se ci andate il mio libro è alla lettera P, vicino a Palazzeschi. È stata una bella occasione, che poi si è replicata dopo una settimana quando ho avuto l’opportunità di essere presentato da Mauro Marino a Melpignano (il 17 luglio) e da Luisa Ruggio a Otranto (il 18 luglio). La presentazione più vicina si terrà il 12 novembre a Sava (Ta). Le presentazioni sono l’unico modo per raccontare e raccontarsi e per avvicinare i lettori, l’unica possibilità, insieme a quelle offerte dalla rete e dal passaparola, per fare in modo – come è successo – che il mio romanzo trovasse il favore e l’interesse di tante persone. Mi piacerebbe che l’inverno e la primavera potessero darmi occasione di presentare il libro fuori dalla Puglia, perché per me sarebbe bello confrontarmi con lettori di altre regioni e di altri contesti differenti dal mio.

FONDOVERRI 5 e 6 novembre 2010. Per filo e per segno. Viaggio nella memoria di voci inaudite.


Fondo Verri
Presidio del libro di Lecce

Iniziativa promossa dalla Regione Puglia – Assessorato al Mediterraneo
in collaborazione con l’ Associazione Presìdi del libro

Venerdì 5 novembre e sabato 6 novembre 2010, alle 20.30
Nomen Omen presenta
Per filo e per segno
Viaggio nella memoria di voci inaudite

5 novembre
L’archivio sonoro e i derivati teatrali
Inaudito.org presentazione dell’interfaccia poetica insieme ad Antonio Rollo – artista e autore nuovi media – e letture alchemiche tratte dai racconti d’archivio, con la voce di Maira Marzioni e le atmosfere sonore di Giancarlo del Vitto.
Mutiduani proiezione del video documentario della performance teatrale con Ippolito Chiarello.

6 novembre
Cinema, psicoanalisi ed arte culinaria

L’Inaudito” proiezione del film documentario di Elena Ghigas e Corrado Punzi.
A seguire Buffet psicomagico a cura del cuoco artigiano Lorenzo Bertelli. Il menu: Vino rosso rosso; Formaggi locali; Pane di lievito madre; Uova; Noci; Quiche con erbe spontanee; Focaccia alle erbe aromatiche e formaggio; Fegatini; Castagnaccio. Lorenzo Bertelli, nasce a Livorno 25 anni fa, amato attraverso il cibo sin da bambino, dopo una laurea in Scienze per la Pace all’Università di Pisa, ha deciso di riamare attraverso l’usoartigiano delle mani che lavorano la materia. Cuoco all’osteria Vyno a Livorno e all’ Hotel Risorgimento di Lecce, attualmente sperimenta connessioni per riportare la cucina alla vita. Ingresso gratuito.

Info e contatti: tel. 3278830322,
nomenomen@inaudito.org – link: www.inaudito.org

Ass. Cult. Fondo Verri
via S. M. del Paradiso 8 Lecce info. 0832.304522 fondoverri@tiscali.it

Vivere e morire a Gaza nell’esordio di Federico Ligotti


Vivere e morire a Gaza nell’esordio di Federico Ligotti.

Parola di Dio. Kalimat Allah” (Lupo Editore, pp. 64, €16), è il titolo del romanzo con cui esordisce Federico Ligotti, giovanissimo autore che vive e lavora a Roma. Si tratta di un’opera d’invenzione narrativa che gioca una carta d’azzardo – come in ogni esordio che si rispetti – quella di presentare in prima persona una vicenda narrata da un ragazzo palestinese che abita nella Striscia di Gaza, il tutto ambientato nel periodo degli attacchi aerei di Israele (2008), tristemente noti per l’utilizzo delle bombe al fosforo; una realtà forse tra le più fraintese e sulla cui comunicazione all’esterno dell’area geografica di interesse si gioca una delle più difficili partite della diplomazia internazionale. Nel 1998 trascorsi un periodo di studio di un anno in Germania, nella città di Saarbrücken. Una delle cose che ricordo di più di quel periodo è l’effetto dell’improvviso contatto con la cultura araba a me totalmente sconosciuta fino ad allora. Feci amicizia con due ragazzi più grandi di me, più che trentenni, che si sarebbero laureati in biologia marina e ingegneria, Ammar e Ramsey. Ramsey studiava ingegneria, così mi sembra di ricordare, e durante il periodo di vacanza dai corsi universitari andava a lavorare nelle fabbriche della Mercedes, riuscendo a tirare su quasi ventimila marchi in tre mesi, altri tempi. Ammar proveniva dalla Striscia di Gaza, apparteneva a una tribù/famiglia che contava allora più di dodicimila componenti. La descrizione della loro vita a Gaza era anni luce distante da quella che avevo vissuto io, fino a quel momento. Finché non conobbi qualcuno che era nato e vissuto lì, per me la Striscia di Gaza era una metafora politica. La prima cosa che appresi fu che un arabo, una volta che ti ha conosciuto, ti spiegherà il suo mondo e la sua fede – così è scritto – molto più esaustivamente e con più dovizia di particolari rispetto a un cattolico. L’intento non è quello di convertire, semmai quello di farti conoscere una realtà, così non potrai mai dire che non sapevi com’era la loro religione. La seconda cosa che imparai è che la moneta di scambio della profonda ospitalità di questi popoli ha il ‘verso’ del suo ‘recto’ nell’impegno a insegnare frammenti della propria cultura, disseminandoli come grani di rosario nei discorsi più comuni. La vita della maggior parte degli arabi o degli israeliani non può prescindere dalla religione di appartenenza e dalla vita nei luoghi sacri del monoteismo planetario. Così imparai che esistono luoghi del mondo dove la religione, anche per i laici, riveste un ruolo importantissimo. Lo stesso non avviene per la religione di stato cattolica in Italia, al di fuori della quale si può sopravvivere senza troppi scossoni per ciò che riguarda la praticità della vita quotidiana. Ecco perché ho provato una grande sorpresa quando ho letto la prima versione del racconto che sarebbe diventato il romanzo d’esordio di Federico Ligotti, fino a un anno fa intitolato “Storia di Kamil”. Per tutta la durata della lettura mi tornavano alla memoria i racconti della Striscia di Gaza che i miei due amici mi avevano tramandato. Il ricordo, la memoria visiva, il racconto di chi ha visto con i propri occhi, sono elementi importanti che rendono una narrazione vivida; il romanzo di Ligotti fa i conti con una realtà difficilissima e riesce a trasmettere la stessa sensazione di chi ha vissuto di persona la complessità della realtà palestinese.
La convinzione di chi scrive è che nella natura storica e geografica di questi luoghi si sia annidato, fino a oggi, un profondo senso di inadeguatezza nei confronti della pace affrontata come massimo sistema. In Palestina, in Israele, nei territori occupati, nelle zone di confine, esistono sacche di integrazione culturale e lavorativa che sfuggono a noi occidentali, la pace tra Israele e Palestina inizia sul posto di lavoro, nei bar, nell’integrazione domestica così come ci viene raccontata in questo romanzo. “Un arabo che si accompagna con un’ebrea è una miscela pronta a far saltare in aria qualsiasi cuore pompato di ortodossia” (p. 13), ecco cosa accade nel romanzo di Ligotti, dove un medico israeliano, il più bravo nel suo campo, è amico del ragazzo palestinese. Presto ci accorgeremo delle conseguenze cui questa sfrontatezza può condurre. “Parola di Dio. Kalimat Allah” è un romanzo che scrive di un’urgenza storica permanente, e lo fa in modo documentato.
Ci sono diversi livelli di lettura in quest’opera. C’è quello delle illustrazioni di Boris Colorblind (pseudonimo della brava Chiara Verdesca). Fanno parte della narrazione, si affiancano alla storia, viene in mente Joe Sacco, il disegnatore maltese naturalizzato newyorkese, autore di “Palestine” (pubblicato in Italia da Mondadori). Ed è come se si dovesse accettare il fatto che una realtà simile, per essere raccontata degnamente, abbia bisogno delle immagini, di un racconto iconografico che viaggi parallelo a quello scritto. Le parole sono sufficienti, è vero, il dramma palestinese infatti è qualcosa che esiste sempre, indipendentemente dal fatto che ne leggiamo oppure no. Eppure è troppo facile accantonare, rimuovere. Esistono fatti all’ordine del giorno in Palestina, così assurdi che se non ne avessimo una testimonianza fotografica/giornalistica nulla resterebbe nella cronaca. Tanto è vero che Federico Ligotti, oltre che scrittore, ha in comune con Joe Sacco la professione di giornalista. Poi c’è il livello sul quale si assesta “Parola di Dio. Kalimat Allah” come romanzo d’esordio di Federico Ligotti. La scrittura di Federico è visiva, tattile, olfattiva, e non risente delle ridondanze e degli eccessi che spesso troviamo negli esordi, anzi in certi punti è quasi verista; il lettore in cerca di ammiccamenti può voltare pagina, cambiare libro, andarsene; è un po’ come se qualcosa della scrittura giornalistica, soprattutto l’ossessione per la descrizione cruda degli stati emotivi, fosse passato nel testo. Il racconto da cui ha preso origine il romanzo, comparso quasi due anni fa su alcune riviste online (Musicaos.it, Terranullius), è stato emendato, riveduto e corretto, fino a occupare una sessantina di pagine. Poche potrebbe dire il lettore, per un romanzo. Il fatto è che l’editore Lupo ha adottato un formato particolare, un quadrato di venti centimetri di lato con una ‘gabbia’ più grande rispetto a quella di un comune tascabile. Il risultato è un libro con rilegatura rigida che, con il titolo “Parola di Dio”, ricorda quasi visivamente i testi del catechismo che la scorsa generazione (compresa la mia) conosceva bene. Questo particolare ‘packaging’ fornisce un’ulteriore discrepanza tra la forza di questo romanzo e l’apparente innocuità con cui si presenta al lettore, che imparerà invece quanto difficile e quante implicazioni ha, nella vita di un ragazzo palestinese, la fede. Gaza, un nome che gli occidentali sono abituati a collegare a episodi di guerra e cronache di sangue, un nome che in “Parola di Dio. Kalimat Allah” si ricollega invece alla quotidianità di una vita familiare, poetica: “Gaza di notte mi piace davvero tanto. Un occidentale la definirebbe uno “spettacolo”. La mia città la notte cambia i contorni, si abbellisce con il buio, probabile che l’oscurità le aggiusti le rughe, confonda le crepe e uniformi le misure e i colori delle case” (p. 27). Le parti in cui viene fatta un’esegesi parodica del Corano, senza alcuna blasfemia, ci fanno capire quanto sia difficile nella nostra epoca essere moderni restando ancorati alle proprie radici, soprattutto in una condizione di sopravvivenza estrema come quella che viene raccontata. A un certo punto il romanzo acquisterà una dimensione metanarrativa, è il modo che l’autore ha escogitato per far uscire la storia narrata dalla dimensione dell’invenzione per farla entrare con prepotenza nella realtà di una “faction”, storia d’invenzione calata nel tessuto di un pretesto storicamente attuale e veritiero. Federico Ligotti riesce così a farci percepire la sua vicinanza al tema trattato, rendendosi parte di uno di quei piccolissimi brandelli di realtà esplosa, dalla pagina alla storia, nelle macerie di una biblioteca che raccoglierà i resti di questa vicenda così intensa. “Parola di Dio” è un esempio concreto di scrittura che sa mescolare con le giuste dosi il reportage narrativo alla storia romanzata, un romanzo che si accompagna a un messaggio di pace, senza retorica, con stile.

Luciano Pagano
articolo pubblicato su “il Paese Nuovo” di oggi

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