“Se l’altro sta a sud”. Andrea Aufieri recensisce “È tutto normale” sul numero 3 di Palascìa.


Nel 2010 la Lecce della fiction cinematografica e letteraria si è (finalmente?) confrontata con il tema della diversità di genere. Avete presente la scena di Mine Vaganti (F. Ozpetek, 01 Distribuition) in cui il padre del protagonista Scamarcio, Ennio Fantastichini, trova posto in un bar del centro storico e sente su di sé, perché se ne preoccupa, lo sguardo e lo scherno dei vili concittadini? Anche il romanzo È tutto normale di Luciano Pagano narra della crisi dell’alta borghesia, “leccese per caso” bisognerebbe dire qui, sorta di evoluzione di classe del ‘ppoppetu’ di bodiniana memoria, con altrettanto evolute meschinità, sempre e comunque distaccate da quelli che dovrebbero essere i problemi quotidiani del paese reale. Insomma il pastificio della famiglia Cantone impastato da Ozpetek o il caseificio della famiglia Donini allattato da Pagano non sono poi troppo distanti dal parlamento italiano. Digressioni a parte, quello che sarà sempre il vantaggio della letteratura, o almeno dovrebbe (che con la tecnologia non si sa mai) è che al posto di vip e starlette prezzolate dai particolari anatomici inconfondibili, ogni lettore ha a disposizione tanti milioni di cast quanti le sue sinapsi riescono a trarne dal libro. Ne risulta che invece di costruire allegre macchiette, per esempio, l’autore regala al suo pubblico una galleria di personaggi complessi di tutto rispetto. E ancora sul potente mezzo letterario gioca principalmente Pagano, alla sua seconda prova “ufficiale” con il romanzo, dopo aver esorcizzato in qualche modo il suo mestiere in Re Kappa (Besa,2007). Chi è Kris, ospite a sorpresa annunciato dal figliol prodigo Marco, di ritorno fresco di laurea presso la villa di famiglia, sulla cui persona speculano Carlo, padre di Marco, e Ludovico, suo compagno? Marco avrà finalmente accettato la presenza di Ludo al posto della madre Eleonora, morta durante la sua infanzia? E l’orientamento sessuale del padre avrà influito sulle relazioni e le scelte del figlio? E il paese che dopo vent’anni è ancora sarcastico sulla relazione tra Carlo e il suo compagno, troverà una catarsi nelle nuove generazioni?
È tutto normale è il racconto di una giornata, che con i suoi intrecci, i flashback, la sovrapposizione di più piani narrativi, concerta le vite dei personaggi che si trovano a interagire. Potrebbe essere letto tutto d’un fiato eppure prende il tempo giusto, quello che ci vuole, e le parole più adatte, per un’interazione multisensoriale con il lettore e il sentimento di un bambino, di un innamorato, di una donna che affronta una nascita sapendo di andare incontro a una morte. E che serra improvvisamente i ritmi della narrazione, impenna. Una lucida passione e una disordinata follia, come si converrebbe nel Salento perché “Questa terra è particolare”, e come l’immaginario collettivo vorrebbe le donne, “visibili e invisibili”, come recita la dedica iniziale di questo libro.

Dallo Chic al Conformista, si può guarire prima del 2013?


Dallo Chic al Conformista, si può guarire prima del 2013?
articolo comparso sul quotidiano “Il Paese Nuovo”  di Giovedì 22 Ottobre e Venerdì 23 Ottobre

Siamo entrati da qualche settimana nel cuore dell’autunno, passata la vendemmia ci prepariamo all’arrivo del vino novello. Primi freddi e primi starnuti, ma soprattutto primi raffreddori; la nonna diceva “mai scoprirsi ai primi caldi né coprirsi ai primi freddi”, una regola da rispettare non soltanto per quanto riguarda l’alternarsi del caldo e del freddo sul display del termometro digitale. Con l’avvicinarsi del freddo si comincia a temere l’arrivo dell’influenza, quella che l’anno scorso ci ha risparmiati come genere umano, pronti come eravamo all’estinzione, o almeno così dicevano i media. Ci sono due virus, tuttavia, che colpiscono con frequenza tutta la popolazione, soprattutto di sinistra; due virus che prima del 2013 dovremo cercare di neutralizzare per non rischiare di estinguerci. Si tratta di due ceppi virali noti “Conformismo” e “Radical-Chic”.
Ci sono due testi – uno per ogni ceppo del virus – di cui vorrei discutere per affrontare l’argomento e suggerire agli studiosi una via alla possibile guarigione, si tratta di due testi in apparenza distanti, scritti cioè da due autori che non possono essere assimilati per semplicità o semplificazione. Si tratta di Fulvio Abbate e Massimiliano Parente, il primo autore del pamphlet “Sul conformismo di sinistra” (2005, Gaffi Editore), il secondo autore del più recente “La casta dei radical chic” (Newton Compton Editori, 2010). Mi sono avvicinato a questi due testi senza preclusioni di sorta (entrambi gli autori sono tra i miei scrittori preferiti), spinto dal semplice motivo, di ispirazione nietzscheana, che non c’è niente di peggio per favorire la corruzione di un giovane che stillare il pensiero che bisogna fidarsi di chi la pensa come noi e diffidare di chi non la pensa come noi. Ho pensato, “e se il conformismo e il radical-chic si fossero annidati, in questi anni, negli interstizi ideologico-sociali della sinistra?”.
Massimiliano Parente, in un suo articolo di recente comparso sul quotidiano “Il Giornale” (LA SINISTRA E LA DESTRA ITALIANE SONO DI DESTRA O DI SINISTRA? E IO? 14 ottobre 2010), evidenzia semplificando, per chi ne avesse bisogno, che in Italia “è di destra tutto ciò che propone Berlusconi, è di sinistra tutto ciò che si oppone a Berlusconi”. Fulvio Abbate parte da una tesi di fondo, la sinistra nasce programmaticamente per abbattere il potere, “decapitare il re”, e instaurare al suo posto un nuovo ordine. Essa è principalmente, “un (nuovo) ordine”. Tuttavia dalla rivoluzione all’ordine il passo è meno che breve e sono tante le tappe di un viaggio che, soprattutto i giovani degli anni settanta, secondo Abbate, hanno perduto. I quadri della FIGC degli anni settanta, a suo parere, non hanno compreso l’importanza della questione giovanile, trasferendo sui propri figli gli stessi strumenti critici e gli stessi modi di loro, padri. Le colpe dei padri possono ricadere sui figli che, tuttavia, non ne sono colpevoli. I padri possono rinnegare i figli ma non può avvenire il contrario. “Senza né rabbia né incanto. La mancanza di discontinuità dai padri non promette niente di buono.”
Abbate presenta esempi che dovrebbero aiutarci a capire che cosa, oggi, è ‘di sinitra’, uno di questi è quello di Carla Bruni: alla domanda: perché Carla Bruni è di sinistra? Segue una dettagliata risposta: “lo è intanto perché è elegante, molto elegante, poi perché canta quelle sue canzoni d’autore, le canta accompagnandosi con la chitarra, si tratta di canzoni raffinate, acustiche, e non quell’altro genere commerciale inglese e americano che non si capisce nulla, tanto che sembrano tutte la stessa cosa, le canta fac+endoti sentire lo spirito dell’esistenzialismo, le cave, Saint-Germain-des-Prés, e non la televisione, (“schifo, la televisione!”) semmai il cibo macrobiotico, le tisane, un bel viaggio in Provenza dove ci stanno le cicale, magari a Ramatuelle sulla tomba di Gérard Philipe, Carla Bruni è una compagna perché la sinistra ama le belle cose, ama le buone letture, l’eleganza, ma quella vera, sobria, misurata, sia chiaro… Radical-chic, direbbero altri, con un termine insopportabile fin dal primo giorno della sua messa in uso linguistica”. Ed è proprio su questo termine così orrido per Abbate, “radical-chic”, che Massimiliano Parente farà ruotare il suo libro, raccogliendo e ampliando una serie di articoli comparsi nell’anno precedente, sempre sulla testata “Il Giornale”.
Fulvio Abbate, nel suo pamphlet, annota come l’utilizzo di un’informazione distorta sia un punto cruciale nella creazione del conformismo di sinistra. Inizia tutto negli anni Settanta. Prendiamo ad esempio un numero della testata “Amica”, nel quale per un rilancio pubblicitario si utilizza l’immagine di una donna che con lo spray rosso dipinge una grande “A” – la ‘A’ di Amica appunto – su un muro. La stessa ragazza con il giornale in mano viene ritratta allo stesso modo di Aldo Moro, così come lo riporta la nota foto scattata nel covo dei brigatisti. L’utilizzo e lo slittamento di immagini ‘politiche’ e/o ‘sovversive’ dovrebbe in teoria portare a comprare a vendere il giornale su un target che Fulvio Abbate definisce come: “un target alto di figlie di papà garantite e viziate, fissate con la schiuma spettacolare, turiste complete della vita. Ma comunque non proprio ottuse. Perché turiste della vita di sinistra.” Tanto è vero che il settimanale prometteva per il numero di apertura nientemeno che un’inchiesta ‘definitiva’ sulla morte dell’anarchico Pinelli. Inchiesta che – manco a scriverlo – non fu mai pubblicata perché con molta probabilità non era mai esistita. Il controaltare informativo del settimanale tipico (ma quanto distante nel taglio editoriale – ad esempio – da un Venerdì di Repubblica?) è costituito dal giornale di partito, “Il Bolscevico”, organo di stampa del PMLI (Partito Marxista Leninista Italiano), chiunque di voi può ricordare i manifesti coloratissimi, gialli e rossi, che invadono tutte le città in concomitanza di ogni turno elettorale. Non si tratta affatto di affondare i denti in un’operazione nostalgia. “Il Bolscevico” ad esempio è anche un sito ricco di notizie e informazioni sull’attività del governo in relazione a quella dei lavoratori. Un po’ come l’effetto-“Lotta Comunista” che ti disorienta con quella ‘allure’ da romanzo fantasy, lo leggi e ti sembra di tornare anni indietro, in un’epoca fantastica, quasi ti aspetti che dal vicolo esca una folla in fuga a tirare i sassi contro le vetrine, così puntuale e allo stesso tempo astorico, per nulla intaccato da quel fenomeno culturale planetario che va sotto il nome di Post-Moderno, percorri il viale principale della tua città di sabato mattina e ti viene offerto solitamente da ragazze e ragazzi stupendi, con la loro sciarpetta e i loro occhiali dalla spessa montatura i secondi, con la gonna corta Desigual e le calze Benetton le prime (è un trionfo della LOGO GENERATION a distanza di dieci anni dalla NO LOGO della Klein), e la prima cosa che ti chiedi è se sembravi così anche tu, rispondendoti puntualmente che al limite a venti anni somigliavi a uno ‘squatter’ di provincia ma mai a una fotocopia rimpicciolita di Fabrizio Bentivoglio o Giuseppe Cederna o Gigio Alberti; la cosa bella è che quando li oltrepassi come fossero fantasmi alle loro spalle ti sembra di vedere le ombre di quei “Nietzsche e Marx” che si davano la mano come cantava Antonello Venditti, solo che non se la ridono i maestri del dubbio perché trenta anni prima almeno erano letti, fraintesi ma letti; e vorresti spegnere la televisione e vorresti che l’appiattimento cerebrale del pianeta Italia scomparisse in un secondo e nel Grande Fratello entrassero di peso Berlusconi e Bersani insieme.
Fulvio Abbate racconta che durante un colloquio con Fausto Bertinotti, definito da “Il Bolscevico”: “agente del trotskismo internazionale”, l’allora leader di Rifondazione presentasse “una certa tolleranza da sua parte verso la setta in questione, una tolleranza di segno più esistenziale che politico, la stessa tolleranza incuriosita che altrove si potrebbe riservare all’uomo-record che ha ottenuto di figurare nel Guinness dei primati per avere letteralmente mangiato, sia pure a più riprese, una vera locomotiva, la scelta dell’oggetto non credo nascondesse un valore simbolico”. La tolleranza e la comunanza sul terreno dello scontro in atto per la libertà dell’informazione sono temi cari a Fulvio Abbate, che dal suo appartamento tiene una rubrica videoweb fissa, un canale di Youtube che si chiama “Teledurruti” (vi consiglio di visionare il video intitolato ‘Perché gli italiani vestono a cazzo’ dove si affronta tra le altre cose l’infausta moda delle polo dal colletto alzato ‘a là’ Lapo Elkann), sul quale ha concesso (accetterà l’invito?) ospitalità a Santoro cacciato dalla Rai. E veniamo al cinema, si chiede Abbate, “Che fine ha fatto la complessità?”; e se lo chiede parlando de “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana, quello che secondo lui è un amalgama di cliché che affonda le sue radici non tanto in “Novecento” di Bertolucci, per fare un esempio, (anche esso ‘inondato di retorica’), quanto nella vecchia pubblicità della Barilla dove un uomo e una donna ritornavano con la loro ‘due cavalli’ nella casa dove per primi, da giovani, avevano fatto l’amore. L’incontro del passato con il presente, il distacco e la continuità costituiscono due poli entro i quali si recupera uno ‘spleen’ di sinistra. Tutto bello ma tutto drammaticamente semplice: “Con questo ricatto da scuola dell’obbligo non si va nel migliore dei casi oltre la prima serata”. E forse è lì che si vuole finire, nel concorso di share con Mediaset. Gli esempi che seguono sono molti, e come accade anche nel libro di Parente, “La casta dei radical-chic” (Newton Compton Editori), sembra che non sia possibile presentare una vera e propria teoria, il modo migliore per descrivere lo chic e il conformismo di certi appartenenti alla sinistra è quello di descrivere caso per caso, un po’ alla maniera di Roland Barthes ne “I miti d’oggi”, soltanto che i titolo dovrebbe essere pressappoco “I fantasmi e i mostri della sinistra di oggi”.
Per parlare del libro di Parente prendo lo spunto proprio dalla definizione che dello scrittore da Fulvio Abbate, nella retrocopertina del libro “Ogni tanto salta fuori l’eccezione, salta fuori il Pazzo, l’Incontrollabile, l’Ingestibile, l’Irresponsabile, salta fuori un soggetto come Massimiliano parente, vero talento letterario e perfino umano”. Lui nel suo titolo ci mette il vocabolo “Casta”, il che ci fa capire che ciò che leggeremo non si tratterà di una disamina di sentori e umori raccolti e mediati con proprie riflessioni ma articoli e ‘denunce’ intellettuali, corredate con nomi e cognomi; oltre tutto la distanza (che non è ‘distacco’) generazionale tra Abbate e Parente è interessante per avere due punti di vista, quello dei padri e quello dei ‘figli’ miei coetanei. Quando si parla di ‘casta’ si parla di qualcosa che preme affinché non ci si possa entrare, si parla di circoli chiusi, di salotti, di sguardi che fendono l’aria dal basso verso l’alto. Si parte dal Premio Strega e si arriva alla Biennale di Venezia passando per l’Isola dei Famosi o la Fiera del Libro di Torino. Anche qui l’ironia è sferzante e va a mettere il dito nella piaga di uno dei problemi secondo me più cruciali, ovvero sia quelli della Sinistra che quando è conformista e imita la Destra ci riesce con esiti al limite del ridicolo: “Anche perché a quardarli, i giovani lettori minimum, sono la solita giovenù fighettina e viziata che si sente di sinistra perché indossa un pantaloncino o una gonnellina di Replay da cinquecento euro anziché un pantaloncino o una gonnellina di Prada da cinquecento euro, e legge un libro della Parrella anziché uno di Walter Veltroni, o forse li legge entrambi, e nell’i-Pod ha Vinicio Capossela”. “La casta dei radical chic” è un libro autentico, e leggerlo fa lo stesso effetto della lettura dei libri corrosivi e ancora oggi urgentissimi di Ennio Flaiano o Alberto Arbasino. Ecco, magari accadesse che nel bagaglio di “letture a sinistra” ritornasse a comparire Flaiano! Al libro di Parente è allegato un modulo per la querela, istantanea, attesa, quasi solubile. Seguiamolo in questa discesa agli inferi che è la Fiera del Libro di Torino: “Se vedete un signore pelato vestito di nero simile a un prete ma con la gestualità zen è Alberto Castelvecchi, mentre lo stesso ma in versione trash è Alberto Gaffi Editore in Roma. Se vedete una dark che impartisce istericamente ordini al telefonino è Elisabetta Sgarbi, e pensi al poveretto che dall’altra parte la sta a sentire , molto probabilmente Eugenio Lio, un trentenne suo compagno da poco ‘assunto’, per caso, come editor, secondo la regola delle coppie improbabili che infesta l’editoria italiana”. Quello dell’editoria è il mondo che più maggiormente viene messo a nudo dal libro di Parente. In alcune pagine si percepisce quello strano effetto che fa la lettura dei bravi narratori e giornalisti degli anni sessanta, i nomi li ho citati, che trasformavano il gossip in letteratura, eternando figure e luoghi di un disagio intellettuale.
Sono quindi il Conformismo e lo Chic i mali della sinistra di oggi? La mia opinione è che qualsiasi movimento debba fare i conti con l’immagine di sé che produce. Sono finiti i tempi in cui per veicolare un messaggio ci si avvaleva di icone, perché le icone hanno perso la loro costanza di irriducibilità. Se trenta anni fa poteva avere un senso avere stampata la faccia di Che Guevara su una maglietta oggi quel senso non c’è più, perché nascosta nel mondo c’è una ditta di t-shirt che ha iniziato a produrre magliette con slogan di rivolta sfruttando come acquirenti i ragazzi che si identificavano con quell’icona. Ecco perché i libri, i testi, le opere, quelle vanno percorse per acquistare un senso di ciò che è accaduto alla Sinistra, prima ancora di trovarci a fare i conti con una nuova tornata elettorale che potrebbe presentarsi di qui a due anni oppure essere imminente. La cosa che mi è venuta in mente leggendo questi due testi e cercando di accomunarli oltre il tema che già condividono, era la sensazione che andando in cerca di letture che per ripercorrere uno spirito critico simile a quello, ad esempio, del Pasolini degli “Scritti corsari”, si debba fare i conti con autori che accusano la sinistra di essere conformista e radical-chic. Addirittura autori che pur non riconosciuti dalla sinistra, come Parente, siano critici, in modo evidente, della destra e della sinistra, indipendentemente dal fatto che scrivano su un giornale di destra. Badi bene il lettore, non è mia intenzione avvicinare i due autori summenzionati a Pier Paolo Pasolini, né tanto meno invocare l’esistenza di un presupposto ‘trono’ della critica, oggi vacante. Tuttavia mi preme, e questo è vero, far notare come un sentore – non solo giornalistico, non solo intellettuale – si sia impadronito di una parte dell’elettorato di sinistra che, dati statistici alla mano, non può permettersi una cena fuori alla settimana con tutta la famiglia, ma nemmeno una volta al mese; e allo stesso modo non può permettersi un paio di scarpe nuove al mese, ma nemmeno all’anno; e non può permettersi di acquistare una casa o un auto nemmeno una volta nella vita perché non ha idea di che cosa sia un contratto di lavoro indeterminato; certo non bisogna aspettare che la sinistra dica al suo popolo di rimboccarsi le maniche, sarebbe demagogico; almeno quanto sarebbe rischioso, oggi, andare a chiedere ai nostri opinion leader se hanno letto i “Quaderni dal carcere” di Gramsci. Cosa vuol dire dunque, che lo spettacolo del conformismo è più onesto perché più vero? Forse bisogna avere il coraggio di criticarsi, un coraggio così forte da sconfiggere il desiderio di condividere con il prossimo la propria ragione; avere il coraggio di rintracciare la moda nei modi. Jean Paul Sartre incominciava una delle sue opere più importanti “L’essere e il nulla” con queste parole: “Il pensiero moderno ha realizzato un notevole progresso col ridurre l’esistente alla serie di apparizioni che lo manifestano”. Ecco, se ai nostri politici chiediamo tramite un voto che si occupino in profondità dei nostri problemi, a noi ne spetta la conoscenza approfondita degli stessi e spetta anche cercare di capire, dalla superficie, dalle piccole cose, quanto c’è di vero o falso nei nostri comportamenti, prima che la critica della ragione politica diventi un capitolo della critica del costume.

http://twitter.com/lucianopagano

Lidia Are Caverni recensisce “È tutto normale” su MondoEditoriale


Kris: sarà una ragazza o un ragazzo? Il dilemma tormenta Carlo e Ludovico, compagni di affetti e di vita, mentre attendono il ritorno di Marco, figlio di Carlo a cui entrambi fanno da padre, al suo ritorno a casa dopo il conseguimento della Laurea in Architettura che l’ha tenuto lontano per molto tempo.
Il dilemma si protrae per i tre quarti del romanzo e avvince il lettore: Ludovico che vorrebbe Kris un ragazzo per trovare un proseguo alla propria omossessualità e Carlo che invece vorrebbe il figlio, nato dall’amore eterosessuale per l’indimenticata moglie Eleonora morta dopo un mese dalla nascita di Marco, legato a una ragazza.
Il romanzo, di quasi trecento pagine, scorre in continui rimandi che scavalcano il tempo: Eleonora, Marco piccolissimo, l’inizio dell’amore con Ludovico che si insinua come un cuneo fra i due giovani sposi, il rifiuto del padre di Carlo – Ettore Donini – di fronte all’unione sopraggiunta dei due uomini, l’attesa di Kris, Marco che vive il suo tormento non potendo rivelare alla ragazza, perché di tale si tratta, la composizione della sua inconsueta famiglia.
I temi dei rapporti umani sono trattati dall’autore con semplicità: “E’ tutto normale” fa dire a Ludovico, compreso il difficile crescere del bambino a cui la società non perdona la stranezza in cui si trova a vivere, con una madre che appare sempre lontana e due uomini che appaiono sempre più una coppia.
Marco ama Kris, ma la ragazza che pure appare moderna e anticonvenzionale è in realtà ben lungi da esserlo, porta con sé il gravame di un’educazione rigida e perbenestica e il ragazzo non sa che mentire.
L’azione si svolge in un giorno e una notte e percorre a vasti respiri gli aspetti più reconditi della vita dei tre uomini e di Eleonora, morta da tempo, ma che continua ad esistere con la forza della sua scelta di lasciar vivere il figlio al posto suo.
Marco all’arrivo si lascia prendere dal conformismo, non riesce che a rimandare la soluzione del problema della verità offendendo nel profondo i due padri.
Kris è una ragazza e Carlo ne è felice.
Ma il romanzo ha altre sorprese, altri risvolti che conducono fino alla fine.
Le pagine si susseguono lasciando che le vicende scivolino via tra sospetti che grattano la superficie tra normalità e l’ambiguità del diverso.
Ludovico e Carlo appaiono forti nel loro rapporto collaudato dal tempo, uniti dall’amore per chi sentono come comune figlio, pronti ad aprirsi nel difficile incontro con Kris.
Gli eventi precipitano fino all’ultima pagina in un romanzo, che ha la freschezza che sfiora e scava continuamente legando il lettore ad una trama convincente e compiuta.

Lidia Are Caverni
leggi la recensione su MondoEditoriale

su CoolClub di Ottobre/Novembre una mia recensione de “Il bacio del gronco” di Gilles Del Pappas (Edizioni Controluce)


Costantin sbarca in Italia.
“Il bacio del gronco” di Gilles Del Pappas edito da Edizioni Controluce.

Nel 1998 Gilles Del Pappas dava alle stampe per i tipi delle Editions Jigal il romanzo intitolato “Le Baiser du congre”, oggi tradotto per la prima volta in Italia e pubblicato dalle Edizioni Controluce, casa editrice che con questo titolo conferma la sua vocazione, ovvero sia quella di pubblicare una scelta del meglio che offre il mercato della recente letteratura internazionale, con una finestra aperta sulla narrativa di casa nostra. Un po’ come è accaduto di recente con la pubblicazione de “L’oscurità e la luce” di Mayumi Hattori, opera della scrittrice giapponese che Controluce ha pubblicato fuori dai confini nipponici, nella prima edizione europea. “Il bacio del gronco”, questo il titolo del romanzo di Gilles Del Pappas, la cui traduzione è stata affidata a Luigi Ruggeri. Questo romanzo costituisce un caso particolare, una ghiottoneria pergli appassionati del genere noir e non solo. Tanto per cominciare questo titolo inaugura il ciclo delle avventure di Costantin il greco, personaggio che si muove a suo agio tra il porto e la città di Marsiglia, nella apparente tranquillità datagli dalla sua piccola impresa di pesca. Tanto è vero che il romanzo si apre con una scena sobria che invita alla quiete: dopo avere pescato diverse ore, quando l’acqua è immobile come un tappeto d’olio, Costantin e il suo socio, il più anziano e saggio Féfé, stanno per gustare un aperitivo a poche centinaia di metri dalla costa, per suggellare il momento di relax. Ciò che sta per accadere ci metterà in guardia e ci farà capire fin da subito che le storie che seguiranno, e che Del Pappas ha dedicato a Costantin, sono meritevoli di una lettura che accelera l’immissione di adrenalina nel nostro organismo. Una donna bellissima raggiunge l’imbarcazione a nuoto, la sirena si presenta ai due marinai increduli, il suo nome è Juliette; inutile dire che Costantin viene subito catturato dalla sua bellezza. In cambio, tuttavia, c’è da accettare una buona dose di pericolo; dal momento del fatidico incontro la vita di Costantin e Féfé muta radicalmente sul doppio binario della velocità e del rischio. I due vengono coinvolti in una spirale di avvenimenti, con assassini e criminali, poliziotti corrotti e scagnozzi di contorno. Costantin dovrà anzitutto fare i conti con il sentimento che prova per Juliette, più forte proprio nel momento in cui si accorge che è proprio le la causa di tutti i pericoli e gli omicidi che circonderanno lui e Féfé. Dopo esserci affezionati al trio composto dall’autore all’inizio del romanzo eccoci scaracollati per le strade di Marsiglia, in fuga da loschi figuri che non vedono l’ora di mettere le mani su Juliette per farle la pelle. Che sogno sarebbe riuscire a fuggire su un’isola, magari nella vicina Corsica. Le aspirazioni di Costantina una vita tranquilla insieme a Juliette vengono interrotte dalla comparsa dell’ex-moglie di lui, la cinica e bellissima Sophie, acida quanto basta per comparire sulla scena, mettere i bastoni tra le ruote del suo ex-uomo e scomparire…non per sempre. Se questo assaggio non vi basta sappiate che la maestria dei dialoghi e la rapidità di esecuzione hanno reso Gilles Del Pappasun maestro del genere, il ‘polar’, ovvero sia il noir-thriller che vede tra i protagonisti poliziotti pronti a tutto e dalla fedina penale non troppo limpida. Un mediterraneo inedito e una Marsiglia spericolata, rocambolesca, porti sudici e vicoli che si stringono fino a far passare di sghimbescio vecchie Renault L4. Costantin cercherà di incastrare Morandi, il poliziotto corrotto, e a noi nonresterà che seguire i protagonisti fino in fondo, in una storia dall’esito imprevedibile. Del Pappas nel 2002 ha ricevuto un premio dedicato alla sua carriera, il prestigioso “Grand prix littéraire de Provence”. Quello che il lettore potrà augurarsi una volta chiuso il volume è che anche i successivi capitoli di questo viaggio in una Marsiglia così affascinante e pericolosa venganotradotti e pubblicati nella nostra lingua.

Il bacio del gronco, Gilles Del Pappas, Edizioni Controluce, Passage, pp. 223, 978-88-6280-022-8, € 18,00

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Vincenzo Sparagna recensisce “È tutto normale” su Frigidaire


Vincenzo Sparagna recensisce “È tutto normale” sul numero di Frigidaire (Frigolibri, N. 228, p.18) in edicola a ottobre con Liberazione. Un intervento che sono felice di postare e che per me significa tanto, almeno quanto il significato che questa rivista ha avuto sulla mia spericolata formazione intellettuale. Il romanzo sta viaggiando oltre ogni più rosea attesa (a breve posterò un comunicato sul tema). Cliccate sull’immagine per leggere l’articolo. Approfitto anche per ringraziare Emma Di Stefano e Regina Resta, che mi hanno ospitato nel loro nuovo format Verbumlandia, che andrà presto in onda su MyBoxTv: essere il vostro ‘numero zero’ mi ha riempito di orgoglio, in bocca al lupo! In questi giorni è partito il progetto Musicaos.it – Gruppo di Lettura, una cosa a cui tenevamo tanto e da tanto tempo, seguite gli aggiornamenti sul gruppo Musicaos.it su facebook, in questa settimana posterò qualcosa sull’argomento. Buone letture!

Luciana Manco recensisce “È tutto normale” sul numero 4 di Salentuosi


La Lupo Editore sa sempre tenere alto il suo nome. Non fallisce un colpo. Anche la bellezza estetica del libro di Luciano Pagano è immediata. Merito dell’illustrazione in copertina, “Evidently Goldfish” di Nicoletta Ceccoli. Una bambina con un pesce rosso al guinzaglio. Rappresentativa forse di ciò che troveremo dentro. L’attesa di due genitori per il ritorno del figlio che ha studiato fuori. Il fatto che il figlio torna, sì, ma non torna da solo. Torna con Kris. Maschio o femmina che sia. E chi l’ha detto che i due genitori debbano essere poi un maschio e una femmina, necessariamente. Potrebbero essere anche due uomini. È tutto normale.
Dovrebbe essere tutto normale. Ed è questo il messaggio che Pagano probabilmente vuole darci: fare dell’eccezione la normalità. L’unico modo per far sì che la diversità possa risultare una qualità, un sinonimo di rarità, non una deformazione dell’esatto, non una discriminante. Sentire normale ogni forma di espressione, di esistenza, di volontà. Sentire normale il diritto alla libertà.
Luciano Pagano è nato nel 1975. Laureato in filosofia, ha pubblicato il suo primo romanzo “Re Kappa” (Besa Editrice) nel 2007. Nel 2008 ha partecipato ed è risultato tra i vincitori del premio Subway Letteraruta. Sempre nello stesso anno è stato tra i vincitori del concorso Creative Commons in Noir, indetto da Stampa Alternativa. Dal 2004 dirige la rivista di letteratura online Musicaos.it (fondata con Stefano Donno).

Luciana Manco
Salentuosi, n. 4

“È tutto normale”, su facebook