“Finestra”, inedito di Paolo Ferrante


Finestra
Paolo Ferrante

Asfalto a ponente
e intanto le antenne
a sfidare
in un coito
le sgraziate
nuvole preziose,
scompaiono
i nei
dalla tua schiena
infinita:
Cassiopea, Eridano,
Gran Carro.

Il sorriso
della tua piega
a riposo
si fa largo
al tocco… aspetta.
Compare
più sotto
una timida alba ricciolina

Paolo Ferrante.
Nato il 7 novembre del 1984 in provincia di Lecce, Paolo Ferrante esordisce come poeta nel marzo 2006 pubblicando online la raccolta di poesie Gerogrammi sulla rivista musicaos.it. Dal gennaio 2007 è membro dell’associazione culturale “C-Arte” con la quale opera realizzando reading poetici e performance artistiche. Su internet è conosciuto con lo pseudonimo di Evertrip, ed è webmaster all’indirizzo www.evertrip.tk, nel quale sono raccolti i blog di musica e poesia.

Recensione de “Le commedie del buio”, primo libro di Paolo Ferrante.

(foto, Eridanus da Uranometria)

Viaggio per altri versi 2: Verso sud


“Tango” di Paola Scialpi, inaugurazione sabato 24 aprile a Lecce


ITINERARIO ROSA 2010 – Comune di Lecce
Laboratorio di ricerca sull’Arte Contemporanea – Lecce
Overecoitalian digital media news release

Presentano la personale di pittura
Tango di Paola Scialpi

Dal 24 al 30 aprile 2010 presso l’Ex Conservatorio S. Anna, via Libertini – Lecce

Inaugurazione/Evento
sabato 24 aprile ore 18,30
con la performance di Tango Argentino del maestro Pino Belgioioso

In un periodo di crisi globale l’artista Paola Scialpi ha voluto realizzare qualcosa di estremamente bello, ludico e gioioso: “Tango” è il titolo della sua personale di pittura, dove presenta venti opere dedicate al più sensuale ed elegante dei balli, ovvero il tango argentino. In queste opere non c’è posto per l’essere maschile spesso relegato in secondo piano, proprio mentre risuonano le note della danza e mentre una donna archetipo della leggendaria Eva si serve del tango per sfoderare le sue “armi” migliori in fatto di seduzione. Una gamba tornita che fa capolino tra le balze di una gonna rossa o una scollatura ardita e generosa, la fanno diventare vera e indiscussa protagonista di un percorso di seduzione che rifuggendo da baluardi di fumose rivendicazioni, conquista l’uomo che si lascia morbidamente trascinare nel vortice ritmato della passione. L’artista torna alla leggerezza con i suoi colori che da anni la caratterizzano, il bianco, rosso e nero che sembrano rappresentare perfettamente le atmosfere del tango argentino, regalandoci dunque prospettive nuove e spesso inconfessabili della natura femminile

Orari: /\10.00-13.00/\17.00-20030/\

Comunicazione a cura di Overeco – italian digital media news release

Esce “Gli incendiati”, romanzo di Antonio Moresco.


Un uomo “completamente infelice”, nauseato dal mondo e dall’esistenza, prende la macchina e parte senza una meta. Si ferma in una località di mare, in un grande albergo, dove si nasconde e, come un insetto, spia la vita delle famiglie, delle persone in vacanza. Fa caldo, il mare è oleoso, l’atmosfera viscida e appiccicosa, l’afa genera piccoli incendi lungo la costa arida. Ma una notte scoppia l’allarme: un incendio gigantesco si avvicina, le fiamme incombono, i villeggianti fuggono dall’albergo. Così il protagonista, che riesce a mettersi in salvo su una collina da dove può rimirare lo spettacolo terribile del fuoco. Ma si sente osservato, si gira. Dietro di lui c’è una donna meravigliosa, che gli dice: “Guarda… ho incendiato il mondo per te!”. E, subito dopo: “Vuoi bruciare con me?”. Un istante ancora, e la donna è scomparsa. Comincia un’ossessione, un inseguimento, un romanzo d’amore rovente e incalzante come un film d’azione.

Antonio Moresco da “Il primo amore”:

E’ una cosa che non avevo previsto e che è nata per un’improvvisa e incontenibile urgenza, mentre mi stavo preparando a gettarmi per molti anni (se mai li avrò) nell’impegnativa impresa che mi aspetta: il terzo, vasto romanzo che chiuderà l’orbita cominciata con Gli esordi e proseguita con Canti del caos.
Oggi, a tre giorni di distanza dalla data d’uscita di questo piccolo libro alieno, leggo la risposta di Roberto Saviano alle dichiarazioni di Berlusconi su Gomorra, allucinanti e gravi. Sono completamente d’accordo con Roberto ed esprimo la mia solidarietà a lui ma anche alle persone che, all’interno della casa editrice, hanno svolto in questi anni un lavoro onorevole e hanno agito in libertà pubblicando libri coraggiosi e buoni. Negli ultimi tempi, dopo avere peregrinato tra vari editori, ho pubblicato alcuni libri in case editrici del gruppo Mondadori. Per quanto mi riguarda, posso dire che nessuno ha mai cercato di limitare la mia libertà né le mie opinioni, di scrittore e di uomo.
Spero che le persone che lavorano all’interno della casa editrice riescano a difendere il lavoro che hanno degnamente svolto e le scelte fatte in questi anni e che sia così anche nel futuro. In caso contrario, se la Mondadori e il suo gruppo diventassero un luogo militarizzato, io -per quel poco che conta- non ci potrei più stare.

Il mio romanzo si intitola Gli incendiati e comincia così:

«Allora ero completamente infelice. Nella mia vita avevo sbagliato tutto, fallito tutto. Ero solo. Lo avevo capito di colpo, in una notte di forte pioggia in cui non riuscivo a dormire, e ne ero rimasto annientato. Non c’era libertà intorno a me, non c’era amore. Solo aridità, asservimento, vuoto, vita che sembrava morte.
Il paese dove vivevo era fottuto, tutto il mondo era fottuto. C’erano solo delle strutture che lottavano le une contro le altre per succhiare ciò che restava del midollo del mondo. Tutta la vita era sotto la cappa della morte. Uomini e donne perpetuavano la menzogna dell’amore. Andavano in giro inalberando i vessilli dei loro volti morti. Sbadigliavano esageratamente, per strada, guardare dentro le loro bocche spalancate era come affacciarsi a una latrina piena di merda morta.
Mi ero separato da tutto e da tutti. Avevo troncato ogni legame. Mi ero gettato il mondo alle spalle. Se ero solo, meglio essere solo da solo. Ero uscito di strada, ero deragliato. Inutile raccontare dov’ero finito, le cose che ho fatto. Non sono tenuto a dirlo. Il tempo cambiava, la luce cambiava. Ma io non vedevo niente. Mi muovevo come un sonnambulo in una foresta di corpi morti.

Era arrivata l’estate. La città dove vivevo si cominciava a svuotare. La gente caricava al buio le auto e fuggiva. Ma io non sapevo dove andare. Non avevo voglia di niente. Camminavo sui marciapiedi dall’asfalto molle per il caldo e provavo solo la vertigine di essere solo da solo invece che in mezzo agli altri, dopo che mi si era aperta la mente e avevo capito come stavano veramente le cose.
Di notte restavo con gli occhi sbarrati nel buio, non riuscivo a dormire. Arrivavano solo, di tanto in tanto, degli improvvisi momenti di sfuocamento e di assenza, che non erano veglia e non erano sonno, come degli svenimenti da cui mi svegliavo di soprassalto, col cuore in gola.
Una mattina, dopo una notte passata sveglio, svenuto, ho riempito alla rinfusa lo zaino, ho rastrellato nel cassetto i luridi soldi che avevo guadagnato negli ultimi mesi, sono salito in macchina e sono improvvisamente partito.»

§

Interessantissimo l’accenno di Antonio Moresco all’orbita incominciata con “Gli esordi” e proseguita con “Canti del caos”, a loro volta bilogia terminata in trilogia e pubblicata con Mondadori dopo l’edizione Feltrinelli/Bompiani. Un’opera complessa, quindi, che si definisce in corso come “grande terna” che a sua volta contiene pezzi non assoggettabili a questo procedimento. Onestamente siamo stufi delle trilogie, di ogni genere, specie se imposte dall’alto; quindi (sempre) meglio un’opera come questa che scava, lenta negli anni, al di là del bene e del male.

§

Gli incendiati

Cesare De Marchi a Lecce, Sabato 17 Aprile


Sabato 17 Aprile, presso la libreria Gutenberg (Via Cavallotti 1) a Lecce, presenterò insieme all’autore, Cesare De Marchi, il suo ultimo romanzo “La vocazione”, edito da Feltrinelli.

§

Luigi Martinotti lavora in un fast food. Frigge patatine, ma in realtà la sua vocazione, vivissima malgrado l’interruzione degli studi universitari, è quella dello storico. Su un tavolo della Biblioteca comunale consuma tutte le ore di libertà, ricostruendo e interpretando eventi del passato. Ci sono momenti in cui riesce addirittura a distinguere, quasi fosse una visione, l’incontro fra Attila e papa Leone. È riuscito anche a elaborare una teoria storica, secondo la quale i mutamenti della società sono il prodotto di una terribile “insofferenza dell’insicurezza”, che spinge gli uomini, cambiando continuamente, a inchiodare il mondo in un presente immobile e rassicurante. Anche la quiete apparente di Luigi Martinetti obbedisce a questa legge. La sua sensibilità, sospesa tra aspirazioni intellettuali e esposizione al fallimento, si lascia contaminare dall’imprevedibilità dei rapporti umani, ivi comprese l’intensa relazione sessuale con Antonella, cameriera del fast food, e l’inspiegabile tenerezza per il figlio di lei. Solo l’amico Giuseppe estroso insegnante affetto da una malattia genetica che lo getta in ricorrenti crisi depressive – riesce a tenere accesa la sua vocazione e a comunicargli una sorta di profonda serenità. Quando il fallimento come storico è definitivo, la sua mente vacilla.

“La vocazione”, Cesare De Marchi, Feltrinelli, ISBN: 9788807017940

“Pali”, di Spiro Scimone. Recensione di Patrizia Caffiero


Up patriots to arms, engagez-vous,
la musica contemporanea, mi butta giù

(Franco Battiato)

Al Testoni di Casalecchio di Reno, ho visto stasera Pali.

Con quattro attori, una recitazione efficacemente gridata (a ogni personaggio è riservato un diverso modo di emettere la voce che lo caratterizza), in modo da aggirare il pericolo di qualsiasi birignao, l’ottimo testo di Scimone analizza l’oggi.
Fotografa, registra la realtà, l’Italia. Con riferimenti dettagliati al presente, descrivendo persino il premier in modo diretto, pur senza nominarlo.
Allude al precariato. Accenna all’impotenza dei sindacati, racconta la quasi definitiva scomparsa delle lotte sociali dopo il crollo del principio della solidarietà (stringersi la mano, darsi la mano).

Il rimando pasoliniano è evidente nella splendida scenografia di Fiori, di cui fanno parte gli attori stessi come cinèmi di un’installazione/performance.

La scena è citazione (di una citazione) della crocifissione della Ricotta; a Pasolini si pensa anche per la scelta dei personaggi , i non vincenti del sociale, simboli di tutti gli altri marginali che sopravvivono nellìinterzona dei Nuovi Poteri; la Bruciata ricorda la serva di Teorema, salva grazie al suo mantenuto legame con una fede cristiana arcaica (il formidabile tormentone Padre, ascoltalo!)

Di più: il pensiero di Pasolini sottende eticamente tutta la sceneggiatura, si evince da un’apparentemente innocente battuta dei dialoghetti, ripetuta due volte dall’operaio Senzamani. E’ la risposta all’evocazione da parte della credente Bruciata di un redentore, di qualcuno che risolva la situazione e trasformi il fango in oro.

– Si deve fare da soli- esclama Senzamani.

Vengono in mente i decennali, ormai, leit-motiv degli intellettuali di sinistra, la loro attesa di una figura nuova, che redima palingeneticamente il paese; dimenticando che proprio a loro dovrebbe spettare il lavoro di restituire un senso.

Pasolini aveva più volte ripetuto che la rivoluzione si deve fare da soli, citando Sciascia; e Scimone conosce bene quell’affermazione, che può suonare come segno di disfatta e presa d’atto dell’assenza di un deus ex machina ideologico; ma letta al rovescio, è anche un manifesto, un annuncio di resistenza ad oltranza.

Si deve fare da soli, o in pochi, si deve fare e si fa con un piccolo gruppo, per esempio con questa compagnia che ha vinto anche il più prestigioso premio teatrale italiano, l’Ubu 2009 come Migliore Novità Italiana.

Chi rifiuta di mangiare merda, di piegare la testa in spersonalizzanti impieghi con disumanizzanti orari di lavoro si rifugia sui pali, solleva il proprio punto di vista e riconosce in chi si arrampica sui pali i propri alleati.

Oppure incita altri a issarsi su altri pali rimasti liberi. Il palo definisce la ricerca di una propria identità che va costruita senza il supporto dei tralicci delle ideologie e strappandosi dalle influenze esterne/interne omologanti.

Con un passaggio astratto il supporto ligneo che dava origine alla croce di Cristo, vissuta nella carne dalla Bruciata e dell’operaio ferito si trasforma in un simbolo quasi totemico di elevazione delle coscienze, che evoca la tentata liberazione dai condizionamenti di un Italia antropologicamente e socialmente alla deriva.

Bellissimo lavoro.

Patrizia Caffiero

Pali, testo di Spiro Scimone
regia: Francesco Sframeli
con: Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Salvatore Arena, Gianluca Cesale
scene e costumi: Lino Fiorito
disegno luci: Beatrice Ficalbi

La Santa Alleanza


Riprendo qui di seguito un articolo del “Il Manifesto” e ne linko un altro di Panorama del Dicembre 2009 (sembra un secolo) quando Umberto Bossi dava dell”Imam’ al Cardinale Dionigi Tettamanzi

La Santa Alleanza
Marco D’Eramo

Se ci avessero detto che sarebbe stata la celtica e pagana Lega a consegnare l’Italia al Vaticano, non ci avremmo mai creduto. E se ci avessero detto che la Chiesa della Caritas e dei padri comboniani avrebbe applaudito il partito della caccia all’extracomunitario, nemmeno a questo avremmo mai creduto. A dimostrazione della nostra sconfinata ingenuità.
Ma se per Enrico IV Parigi valeva bene una messa, per i cardinali Bertone e Bagnasco un embrione val bene un vu cumprà, alla faccia degli ultimi che diventeranno i primi sì, ma a essere espulsi con foglio di via. Non è facile ingoiarlo, ma una volta accettato questo principio, ci è infine chiaro perché per la curia romana votare a sinistra è più grave che molestare un minore.
Infatti a colpire non è tanto l’arcigno arroccamento del Vaticano sul tema della pedofilia dei preti; e neanche la quasi indecorosa esultanza per i proclami leghisti anti RU-486. No, è la concomitanza: a invocare il sacro diritto alla sopravvivenza degli embrioni è la stessa Chiesa che fa muro attorno ai sacerdoti molestatori. Ed è la stessa destra che ostacola la pillola a difendere i preti pedofili, come si è visto ieri quando il ministro della giustizia ha inviato ispettori contro un procuratore solo perché ha smentito la Curia e ha detto che mai «in tanti anni» è venuta dalla Chiesa una denuncia contro un prete pedofilo. Assistiamo così alla nascita di una nuova Santa Alleanza, come quella sancita nel 1815 dal Duca di Wellington e da Metternich, solo che ora, come tutte le seconde volte, è sancita da Angelino Alfano e Tarcisio Bertone.
È come se la Curia fosse colta dalla sindrome della fortezza assediata. Già una volta nel secolo scorso abbiamo visto a quali disastri ha condotto questa mentalità (nel caso dell’Unione sovietica).
Certo è che in Vaticano non se ne rendono conto: nel resto del mondo la pedofilia ecclesiastica è uno scandalo altrettanto devastante di quello delle indulgenze che suscitò la Riforma protestante cinque secoli fa. La pedofilia ecclesiastica può spazzare via il cattolicesimo da intere aree della carta geografica. Ma che cale? L’importante è riconquistare l’Italia.
E i nostri nuovi machiavelli strapaesani sono pronti a concedere tutto su aborti e pillole, a inondare di euro scuole e cliniche private cattoliche pur di assicurarsi il controllo totale del territorio. Con una bizzarra eterogenesi dei fini: domani a finanziare «Roma ladrona» (o almeno il suo più augusto potere) sarà proprio la Lega. Sembra passato un secolo da quando il giornale dei vescovi se la prendeva col nostro premier: l’Italia val bene una (o più) escort.
Così a noi italiani, padani o non, ci tocca vivere in un paradosso: secondo tutte le statistiche, siamo una società largamente irreligiosa, ma siamo immersi in una cappa clericale; siamo l’unico paese al mondo in cui i prelati dettano legge alla politica quando nel resto del pianeta il cattolicesimo rischia l’estinzione. Per parafrasare un famoso detto di Porfirio Diaz: povera Italia, così lontana da dio, così vicina al Vaticano!

‘Petrolio’ la bomba di Pasolini, di Gianni D’Elia


Il romanzo postumo di Pasolini, Petrolio, scritto tra il 1972 e il giorno della sua esecuzione (nella notte tra l’l e il 2 novembre del 1975), è come una bomba che non è esplosa. È stata disinnescata dal suo delitto, pubblicata diciassette anni dopo, quasi sicuramente monca, con un intero “paragrafo” che è volato via ed è stato fatto brillare altrove, dove i Lampi sull’Eni non hanno fatto rumore, né vera luce.

La bomba di Pasolini era la verità, la sua ricerca del filo nero che dalla morte per attentato di Enrico Mattei conduce alla strategia delle stragi degli anni più bui dell’Italia. Questa bomba socratica, per quanto già piazzata in parte e innescata sul massimo organo giornalistico della borghesia italiana degli anni Settanta, il Corriere della Sera diretto da Piero Ottone, non è mai esplosa in tutta la sua potenza, anche se il sunto del paragrafo scomparso già basta ed è bastato a tanti artificieri della letteratura e della politica, specializzati nella custodia e nel maneggio di esplosivi, per sbarazzarsene in fretta e con protervia.

Petrolio era un grande progetto d’opera, previsto in duemila pagine, di cui ci restano 522 cartelle; mettiamoci altri due o tre anni di lavoro, che uscisse nel 1978, dopo la tragedia patita da Aldo Moro. Lo apriamo, leggiamo: “La bomba è fatta scoppiare: un centinaio di persone muoiono, i loro cadaveri restano sparsi e ammucchiati in un mare di sangue, che inonda, tra brandelli di carne, banchine e binari. (…) La bomba viene messa alla stazione di Bologna. La strage viene descritta come una ‘Visione’”. Da pagina 542 a pagina 546, edizione Einaudi 1992, saltiamo all’indietro, alle pagine 117-18, dove si parla della guerra del petrolio tra Cefis (Fanfani, fisicamente) e Monti (Andreotti, fisicamente). Pubblico, privato, potere, economia politica delle stragi. E Cefis, Eugenio Cefis, viene ribattezzato nella finzione romanzesca Aldo Troya, che “sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti)”.

Cosa sarebbe successo nell’Italia (e nel mondo, date le immancabili traduzioni all’estero) del 1978, alla lettura di queste pagine? E perché, ancora, tanta sordità storica? Quelle prove e quegli indizi che, nel famoso articolo poi ripreso negli Scritti corsari (1975), Pasolini dice di non possedere, li sta raccogliendo nel romanzo: Io so. Da quel 14 novembre 1974, quando esce Il romanzo delle stragi (che il Corriere pubblica col titolo Che cos’è questo golpe?), una settimana dopo l’incriminazione dei vertici del Sismi, il servizio segreto militare, per il fallito golpe Borghese dell’8 dicembre 1970, Pasolini viene lasciato solo come un cane, in attesa che si chiudano i conti col suo dire.

Come in un’orazione di Cicerone o nel teatro di Shakespeare, ecco l’anafora di denuncia del sapere poetico-politico che inchioda i responsabili, gli esecutori materiali, i vertici dei potenti, del Palazzo e del Cane a sei zampe, i fascisti e i neofascisti, che hanno prodotto e gestito le varie fasi di azione e di depistaggio delle stragi in Italia, da Milano a Brescia a Bologna, dal 1969 al 1974, con la complicità dei servizi segreti italiani e stranieri e della mafia. Il testimone-giornalista si affianca all’intellettuale-detective e allo scrittore-romanziere; la sintesi tra il testimone e il romanziere è operata dall’intellettuale, che riflette sul “blocco politico economico” dello stragismo, e che agisce come un investigatore dei delitti collettivi, attestando la continuità del reato di strage: il delitto Mattei, le due fasi stragiste, anticomunista e antifascista, da addossare agli opposti estremismi, prima agli anarchici e poi ai fascisti, per disfarsene dopo averli usati. Pasolini sta continuando da solo la controinchiesta collettiva sulla “Strage di Stato” (edita da Samonà e Savelli, 1970-71).

E proprio in quel famoso articolo, dove dice di sapere i nomi, ma di non avere né prove né indizi (forse anche per mettere le mani avanti e proteggersi in qualche modo dall’isolamento intellettuale e politico che sente e che patisce), ecco la pazzesca allusione sottotraccia all’opera che sta facendo, da romanziere della verità: “Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio progetto di romanzo sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti”. Progetto di romanzo, fatti e persone reali, sta parlando di Petrolio, del suo cantiere del vero e del desiderio imploso, che nel novembre del 1974 è già in stato avanzato; tanto è vero che l’articolo scritto per il Corriere pesca nel romanzo i suoi materiali, correggendo subito nella prosa d’intervento qualche errore, come ho mostrato nel mio libello Il Petrolio delle stragi (Effigie, 2006): le prime bombe sono attribuite agli anarchici, e non ai fascisti, “per creare in concreto la tensione anticomunista”; e la “verginità” che la “cricca dei politici” si devono ricostruire non sarà certo quella “fascista”, ma quella “antifascista”, “per tamponare il disastro del referendum” (sul divorzio, 12 maggio 1974). E lo studio dell’intertesto dimostra la cura dello straordinario giornalista che fu Pasolini.

Pasolini sta addosso alla prima P2, e l’articolo più famoso pesca proprio dal sunto del capitolo scomparso, Lampi sull’Eni, che egli aveva certamente già scritto, come risulta a pagina 97 di Petrolio, nonostante tutte le negazioni degli eredi e dei curatori: “ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato Lampi sull’Eni, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria”. Era la battaglia di Laura Betti, la nostra. Dunque, chi ha sottratto questo capitolo, ora annunciato e passato per le mani della mammola Marcello Dell’Utri? Ancora un lupo palermitano, condannato per mafia e amico di piduisti al governo, sulla strada dello scrittore assassinato; quasi una nemesi al contrario della bibliofilia. Gira voce che un antiquario abbia visto il dattiloscritto di questo capitolo sparito dalla sua sede, dopo il delitto di Pasolini, ma che non sia disposto a confermarlo in pubblico; per la Mostra del Libro Antico, che si è chiusa a Milano il 14 marzo, ora Dell’Utri ha parlato di una cassa di un istituto in cui sarebbe stato conservato; e c’è un’altra voce, raccolta da un giovane ricercatore, sempre di un antiquario o consimile, che risale però al 1980, che confermerebbe di avere visto Lampi sull’Eni nella cassaforte di una banca.

Lì si raccontava la storia mista e ambigua della Resistenza bianca e repubblicana, di Mattei e di Cefis che erano nella stessa formazione in Val d’Ossola, che Pasolini sposta in Brianza (che profezia del futuro!), dei contatti di Cefis con gli americani, di soldi e di armi, della sua carriera e del suo scandalo, e infine del delitto di Mattei, sostituito alla guida dell’Eni proprio da Cefis, un anno dopo il suo allontanamento dall’ente petrolifero nazionale, dopo l’attentato del 27 ottobre 1962.

Il giudice Vincenzo Calia, dopo dieci anni di indagini, ha archiviato il caso il 20 febbraio 2003 presso il Tribunale di Pavia, provando l’attentato ma dichiarando il muro del segreto politico italiano. Come il giornalista De Mauro e il giudice Scaglione, l’uno sparito per sempre il 16 settembre 1970 e l’altro ucciso per strada a Palermo il 5 maggio 1971, Pasolini indagava su Mattei, attirato anche lui dalla calamita delle rivelazioni di Graziano Verzotto, ex uomo dell’Eni di Mattei in Sicilia ed ex capo democristiano, senatore e segretario regionale, nemico di Cefis.

Calia ha svelato per primo l’altra fonte scritta di Petrolio, il libro al veleno di Giorgio Steimetz (alias Corrado Ragozzino): Questo è Cefis, l’altra faccia dell’onorato presidente, pubblicato dalla Agenzia Milano informazioni nel 1972, finanziata da Verzotto, già presidente dell’Ente minerario siciliano in guerra con l’Eni di Cefis. Pasolini aveva letto questo libro, introvabile e fatto subito sparire dal terribile Eugenio, ricevendolo in fotocopia da Elvio Fachinelli, che aveva pubblicato alcuni discorsi di Cefis sulla sua rivista L’Erba Voglio.

Secondo due appunti segreti del Sismi e del Sisde scoperti da Calia, Cefis aveva fondato la loggia P2 per poi passarla al duo Gelli-Ortolani, per paura, dopo lo scandalo dei petroli, tra il 1982 e il 1983. Era questa la bomba di Petrolio?

Dunque, Pasolini aveva capito forse troppe cose, non solo del delitto Mattei ma anche delle stragi di Stato, di cui quel delitto è la prima pietra, o forse la seconda, se la strage di Portella della Ginestra del 1947 è la prima, fino alla strage di Bologna del 1980 e alle stragi di mafia del 1992-93, tra azioni omicide, falsi e depistaggi abnormi. Commemorando il quarantennale della strage di Milano del 1969, recentemente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha detto: “Continuare a cercare ogni frammento di verità”.
Cefis è morto nel 2004, Verzotto è vivo e malato. Dopo tanti decenni, ci aspetteremmo dalla classe politica e dalle istituzioni ben altro che un invito al frammento.
Ci aspetteremmo l’insieme della verità sulle stragi e sui tanti delitti politici collegati, seguendo il rifiuto di Pasolini contro la separazione dei fenomeni:
1) togliere il segreto di Stato dal 1947 ad oggi;
2) fare una legge semplice, di un articolo: chi ha fatto parte degli elenchi segreti della P2 e ha tradito la Repubblica, sia interdetto in perpetuo e decada dagli incarichi pubblici.
Pasolini è morto nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975

“La fabbrica del mondo” di Luigi De Luca


La realtà, indipendentemente dal ‘modello’ filosofico impiegato nella sua estrinsecazione, altro non è che una serie di immagini differenti che si stratificano, si creano e vengono distrutte davanti a noi. Non esiste quindi un Mondo, bensì differenti mondi che si intersecano e con cui ogni uomo si trova a fare i conti, se si intende la sua singolarità come incrocio di queste complementarità. Le differenti immagini e i differenti modelli sono quindi restituiti a seconda che l’approccio sia quello del lavoro, della storia, dell’economia, della comunicazione di massa, dell’arte, della scrittura, e così si potrebbe proseguire all’infinito. Tanto per fare un esempio, alcune sfaccettature di un sottosistema della cultura, quale può essere quello della letteratura, sono incomprensibili a chi ‘sposi’ altri modelli; così come accade d’altro canto che fenomeni mass-mediatici vengano assurti a fenomeni culturali e fenomeni economici. Questi sono soltanto alcuni dei temi che trovano trattazione e spunto in questo bellissimo saggio che ‘si legge come un romanzo‘, nella misura di una trattazione piana e dal taglio divulgativo di un argomento affascinante e, di norma, relegato agli studi degli specialisti. Luigi De Luca nella presentazione che si terrà venerdì prossimo a Cursi sarà affiancato da Pier Giorgio Giacchè, Giovanni Albanese, Silvio Maselli e da Cosimo Lupo, il tutto con la moderazione della giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno, Gloria Indennitate; un’occasione per approfondire il pensiero di un autore che – come vicepresidente dell’Apulia Film Commission – si trova quotidianamente ad affrontare il legame tra la cultura e i suoi luoghi, tra il fare mondi e interpretare gli stessi.

La fabbrica del mondo
Politica ed Economia della Cultura
nell’Epoca della Globalizzazione

di Luigi De Luca

Venerdì  9 aprile alle ore 19, presso l’ex fabbrica tabacchi di Cursi, verrà presentato il libro La fabbrica del mondo. Politica ed economia della cultura nell’epoca della globalizzazione (Lupo editore), di Luigi De Luca. Nel corso del dibattito, moderato da Gloria Indennitate (giornalista de La Gazzetta del Mezzogiorno), interverranno alla presenza dell’autore:

Pier Giorgio Giacchè, antropologo;
Giovanni Albanese
, artista e regista;
Silvio Maselli
, direttore Apulia Film Commission;
Cosimo Lupo, editore.

Fabbricare mondi, attraverso le arti, la letteratura, la scienza, il pensiero, è la pulsione propria degli uomini. Parte da questa constatazione lo studio di Luigi De Luca che, nelle pagine del volume, analizza il contesto storico e la genesi del processo creativo, attraverso una ricerca che mette a confronto, oltre ai capisaldi, la letteratura più aggiornata sull’argomento ma anche la personale esperienza dell’autore, che da oltre vent’anni opera nel campo della cultura e delle istituzioni. In questo saggio, edito da Lupo editore, la narrazione intreccia storia sociale ed economica, politica e cultura, mettendo in scena attori e variabili che, a prima vista, potrebbero apparire in conflitto tra loro. Per questo motivo, La fabbrica del mondo è un “serbatoio di conoscenze” dove fonti specialistiche e nuove prospettive costituiscono gli ingranaggi di una ricerca che, a partire dal Rinascimento e sino ai nostri giorni, pone sotto una lente d’ingrandimento la natura della creatività, i mondi reali o possibili che prendono corpo nelle opere degli artisti, nei copioni teatrali e cinematografici e, in particolare, nella rete dei nuovi media. In anni di forte “spaesamento” e decadenza, in cui città ideali e biblioteche hanno ceduto il passo a cyber spaces, De Luca in questo primo lavoro si interroga sulla funzione etica dell’arte e sul ruolo dell’intellettuale negli anni della globalizzazione, in cui “disordine” e “metastasi mediatiche” sembrano prendere il sopravvento sui contenuti. Eppure un nuovo umanesimo è possibile ne La fabbrica del mondo, un saggio capace di appassionare come un romanzo e di parlare a un largo pubblico, non solo di addetti ai lavori.

L’autore

Luigi De Luca si è laureato presso l’Università degli Studi di Bologna con una tesi in semiologia dello spettacolo ed ha iniziato la sua carriera professionale come organizzatore teatrale per il Teatro Pubblico Pugliese di cui, successivamente, ha ricoperto la carica di membro del consiglio di amministrazione fino al 2006.
È stato responsabile dell’ufficio cultura  e dirigente del servizio politiche giovanili, integrazione e pace della Provincia di Lecce.
Dal 2000, è  direttore dell’Istituto di Culture Mediterranee per il quale ha curato diversi progetti di cooperazione culturale oltre alla rassegna di arte, musica, cinema, teatro, letteratura, Salento Negroamaro, dedicata alle culture migranti.
É anche vice presidente della Fondazione Apulia Film Commission e componente della Consulta Territoriale per le Attività Cinematografiche. Ha rivestito per lunghi anni l’incarico di assessore alla cultura e sindaco del comune di Cursi, in provincia di Lecce dove tutt’ora vive.

La fabbrica del mondo, politica ed economia della cultura nell’epoca della globalizzazione è il suo primo saggio.