Archivi tag: Pier Paolo Pasolini

Libri da regalare


Fabrica, L’inferno di Dante – una storia naturale / Questo lo regalo a chi guarda dall’altra parte quando dici che Dante è una delle tue letture preferite

Richard Ford, Lo stato delle cose / Questo lo regalo a chi mi dice che vorrebbe andare vivere il sogno americano e poi guarda le trasmissioni dedicate alla raccolta dei coupon

William T. Vollmann, Europe Central / Questo lo regalo agli scrittori che mi fermano dicendo che hanno iniziato a scrivere qualcosa di complesso, articolato, un vero e proprio ‘affresco’

Mike Rapport, 1848. L’anno della rivoluzione / Questo lo regalo a chi ignora cosa sia accaduto, poco meno di due secoli fa, e cerca di capirci qualcosa

Samuel Beckett, Trilogia / Questo lo regalo perché se provate ad acquistarlo non lo trovate facilmente in giro, praticamente in nessun dove

Sandro Veronesi, XY / Questo lo regalo a chi dice che sarebbe bello lasciare la città e andare a vivere in un paesino, magari in montagna, come si faceva una volta…sì…ma quale volta?

Antonio Moresco, Canti del caos – seconda parte / Questo lo regalo a chi si sente un po’ radical chic e non vede l’ora che venga il prossimo

Jonathan Franzen, Le correzioni / Questo potrei anche non regalarlo, quando incontro qualcuno capisco che lo hanno letto tutti

Thomas Bernhard, Il gelo / Questo lo regalo a chi crede che i confini interni della mente siano sondabili

Edoardo Sanguineti, Mikrokosmos / Questo lo regalo ai poeti che si sentono degli sperimentatori

Apuleio, L’asino d’oro / Questo lo regalo a chi abbia la curiosità di conoscere uno dei primi libri che ho letto entrando nella coscienza, alle elementari

Maria Corti, Le pietre verbali / Questo lo regalo a chi non conosce questa storia così cruda e essenziale

Mario Soldati, L’attore / Questo lo regalo a chi vuol vedere come eravamo fichi, in Italia, prima di demolirla

Louis-Ferdinand Céline, Trilogia del Nord / Questo lo regalo a chi desidera leggere una storia vera

Howard Jacobson, Kalooki nights / Questo lo regalo ai noiosi, barbosi, criticoni e parrucconi dell’età moderna

Sudan Neiman, In cielo come in terra / Questo lo regalo a chi vuole un mondo di bene, ma non ha mai approfondito la storia filosofica del male

Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo / Questo non lo regalerei a nessuno, specie se scrive, perché varrebbe a dire ‘smetti pure’

Gaetano Cappelli, Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo / Questo lo regalo insieme a una bottiglia di Primitivo, suggerendo di berli entrambi insieme

Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra / Questo lo regalo a chi sta da questa parte mentre dall’altra parte lanciano i missili

Meridione d’inchiostro / Questo lo regalo a chi costruisce immagini

Pier Paolo Pasolini, Petrolio / Questo lo regalo a chi non ha capito

Paul Auster, Leviatano / Questo lo regalo a chi, mi sembra di capire, non ha apprezzato anche uno solo dei precedenti

Domenico Starnone, Il salto con le aste / Questo lo regalo a chi crede che la vita facile sia un gioco facile

Ian McEwan, Cani neri / Questo lo regalo perché per un po’ di tempo, dopo averlo letto, mi era passata la voglia di scrivere storie

Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti / Questo lo regalo a chi vuol leggere un bel libro di racconti

Marco Montanaro, La passione / Questo lo regalo a chi, nelle file del pdl, si candiderà, soprattutto al sud, lasciateli perdere

Georges Perec, L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento / Questo lo regalo a chi vuol farsi un’idea di cosa voglia dire ‘monologo’, aggiungendo, magari, ‘di fantascienza’

Cosimo Argentina, Cuore di cuoio / Questo lo regalo a chi vuol capire perché l’autore di questo libro, già da tempo, è uno dei migliori in circolazione

Enrico Micheli, Quando alla finestra si vedeva l’Eur e noi sognavamo la rivoluzione / Questo lo dedico a tutte le ragazze sedicenni, rivoluzionarie e alternative, della mia adolescenza, ora ne hanno quasi quaranta e trovano rivoluzionario il pin del cel, ma non lo hanno ancora letto

Chuck Palaniuk, Fight club / Questo lo regalo perché ci vuole

Pier Paolo Pasolini, Teorema / Questo lo regalo perché quando lo lessi capii che per fare un buon libro bisogna avere le visioni, e le idee chiare

Charles Baudelaire/Attilio Bertolucci, I fiori del male / Questo lo regalo perché è la traduzione dei Fiori a cui sono più affezionato

Aldous Huxley, Il mondo nuovo, Ritorno al mondo nuovo / Questo lo regalo perché anche se tecnicamente non è un libro di fantascienza si tratta pur sempre di uno dei primi libri che ho letto in inglese, il secondo era La guerra dei mondi di Wells

Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata / Questo lo regalo perché mi è piaciuto il film, quello sì

Italo Calvino, Lezioni americane / Questo lo regalo perché il mio tema della maturità l’ho svolto su una traccia presa da questo libro e perché la prima citazione del mio primo romanzo è presa da qui, e anche perché spero che chi cita la ‘leggerezza’ di Calvino, prima o poi finisca per leggerlo accorgendosi di citarlo alla cazzo

Adam Mansbach, La fine degli ebrei / Questo lo regalo perché è uno dei romanzi più ritmici, rapidi e densi che abbia letto, c’è musica in questo libro

Giuseppe Genna, Italia De Profundis / Questo lo regalo perché Genna è uno sguardo lucido su ciò che sta per accadere

Jennifer Egan, Il tempo è un bastardo / Questo lo regalo perché potrebbe interessarvi saperlo

John Barth, L’opera galleggiante / Questo lo regalo perché è la risposta alla difficoltà di costruire una storia a partire da un’idea così geniale che poteva scriverla soltalto lui

David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più / Questo lo regalo perché quando mi sono sposato grazie a lui ho eliminato a priori la possibilità di salire su una nave per festeggiare

Charles Dickens, Grandi speranze / Questo lo regalo perché penso che è stato bello crescere accompagnato dalla tristezza, malinconia e bravura di Charles

Friedrich Wilhelm Nietzsche, Così parlò Zarathustra / Questo lo regalo perché ce l’ho sempre a portata di mano

Salvatore Scibona, La fine / Questo lo regalo perché lo sto apprezzando in questi giorni e anche perché, dato il titolo, andava bene mettercelo a questo punto dell’elenco.

Buon Natale.

Ps. Il tizio del Calendario Maya fa la linguaccia, dovevate capirlo che era una presa in giro.

“Mignotta” graphic novel di Giovanni Matteo, da un soggetto di Pier Paolo Pasolini. Disponibile su Amazon


È disponibile per il download da Amazon “Mignotta“, di Giovanni Matteo, graphic novel ispirata a un soggetto scritto per il cinema da Pier Paolo Pasolini e pubblicato nel volume “Alì dagli occhi azzurri” che raccoglie racconti, scritti sparsi, soggetti, redatti da Pier Paolo Pasolini nel periodo 1950-1965.
La postfazione dell’ebook è a cura di Luciano Pagano. Tutte le informazioni per il download qui. Si tratta del terzo ebook di musicaos, dopo “Il romanzo osceno di Fabio” e la guida “È facile smettere di scrivere se sai come farlo!“. Altre informazioni sugli ebook di musicaos qui.
Per informazioni o altro potete scrivere direttamente a lucianopagano[at]gmail[punto]com

“Sirene” di Luisa Ruggio


SIRENE
Luisa Ruggio

“Io osservavo, ascoltavo accantonavo per le ore quiete da passare in cucina, quando Selma mi avrebbe detto, come mi disse: – Raccontami di quel posto, ma cose vere, non bugie. Ma furono quasi tutte bugie le cose che dissi: perche’ era come se fossi stato in uno di quei castelli incantati, una volta fuori di la’, non si ricorda, tutto cio’ che rimane e’ l’eco spettrale di una meraviglia che non da’ tregua.”
(Truman Capote, “I cani abbaiano”)

 

A notte fonda, il ragazzo e’ di la’ a calcolare la distanza tra San Francisco e New York su una mappa elettronica. Sono circa duemila chilometri e lui dice che dobbiamo essere pronti a percorrerli da un momento all’altro.

New York puo’ ancora ferirlo ma San Francisco e’ un albore verde filtrato da una tenda, un neon che illumina l’interno della stanza in cui Kim Novak appare a James Stewart – con quel completo grigio, i capelli ossigenati e raccolti, le sopracciglia ben disegnate – ne La donna che visse due volte. Vertigo, nel titolo originale. Hitchcock, quel perfezionista.

Sua moglie era la sua editor piu’ attenta a quanto pare, dopo le proiezioni private per gli amici intimi e prima di ogni distribuzione, diceva la sua e tutti smettevano di ridere, di colpo. Fu la signora infatti – silenziosa al centro dell’entusiasmo generale – a far notare a suo marito che durante una sequenza chiave di Psyco, l’attrice deglutiva dopo essere stata uccisa.

Ha ragione Stephen King quando, nella prefazione a un suo libro sulla scrittura, puntualizza: Scrivere e’ umano, editare e’ divino. Credo sia per questo motivo che un’ironica mezzoinglese sforna-bestsellers ha dettato il suo ultimo romanzo a una segretaria scialba, confidando nei prodigi postumi del suo editor italiano.

(l’innocente dattilografa)

Non riesco a immaginare un piacere sprecato peggiore del dover dettare un romanzo. A costringerla, in quel caso, era un nervo della mano. Doveva raggirare l’ostacolo e aveva gia’ incassato l’anticipo.

Eravamo nel suo salotto londinese – tra orchidee bianche e riedizioni in tutte le lingue possibili dei suoi libri – la prima volta che l’ho ascoltata parlare del suo editor mentre – con lo stesso candore pratico di chi ti spiega per la prima volta come usare una lavatrice – consigliava l’asportazione delle ovaia per evitare inutili deconcentrazioni: “Hai ancora le ovaia, mia cara? Fattele togliere subito, sono solo una seccatura per gli scrittori.”

Ci credeva veramente? Non ha importanza. Si divertiva a recitare una parte, trovavo divertente il cinismo col quale si sventagliava con calma.
Poi mi disse di questo ragazzone che resta dietro le pagine degli altri pur avendo il merito di farle funzionare fino in fondo, olio anche per i meccanismi piu’ complessi.
Mi fa pensare alla doppiatrice italiana che per tutta la vita ha prestato la voce a Marilyn Monroe.

Si chiamava Rosetta Calavetta, la sua scia e’ una lunga traccia audio. Fu anche la voce della Novak, di Biancaneve e una lista piena zeppa di mitologia cinematografica.
Al suo arrivo nella sala di doppiaggio, ripeteva un rituale: indossava guanti bianchi e puliva le cuffie con l’alcol preso da una boccettina che si portava nella borsetta.

(Rosetta Calavetta)

Lo racconto’ l’attore Elio Pandolfi all’autrice televisiva Valeria Paniccia durante una visita nel cimitero monumentale di Roma, il Verano, dove la doppiatrice e’ sepolta. Una piccola fotografia in bianco e nero incornicia i tratti salienti del suo viso, minuto come un ninnolo incastrato in un fermacarte di vetro, del tipo che Colette collezionava.

Si e’ sempre detto e sentito che i doppiatori italiani sono i piu’ bravi del mondo, ci si fa caso quando muoiono e le loro voci vengono sostituite. Quando e’ morto Oreste Lionello, per esempio, il doppiatore storico di Woody Allen, il regista statunitense constato’: Con la sua voce mi ha reso un attore migliore.
A volte mi domando se non succeda la stessa cosa con i personaggi dei libri, a volte lo so, altre volte puo’ essere un rischio.

(Oreste Lionello)

Percio’, quando finisco di leggere un libro in cui la voce dello scrittore non doppia mai, nemmeno una volta, i suoi personaggi – lasciandoli liberi di essere mediocri e crudeli, provinciali e feroci, grezzi come un colore locale e veri come un’illusione – mi commuovo.
Fa parte del mio modo di stare al mondo questo improvviso affetto che mi prende mentre non rispondo al citofono, non accendo i telefoni, non apro la posta che si accumula e quasi smetto di parlare.

Tra le seccature del dover tirare le cuoia (mi fa sempre sghignazzare questo modo di dire da film anni ’40), “prima o poi” – come dice, lavandosi le mani, quel sadico vagamente somigliante a Sean Connery che e’ il mio ginecologo – c’e’ sicuramente il termine delle letture possibili. A meno che, come scrisse – nel suo diario, mi pare – Virginia Woolf: “Il paradiso e’ un infinito leggere“. Magari.

(Marilyn Monroe legge)

Questo pensiero se srotolato sembra lungo ma in realta’ dura un istante, e mentre leggo Capote, a notte fonda, il ragazzo sta ancora considerando la distanza tra New York e San Francisco, e’ ancora rapito dal Teatro di Figura di Bruno Pilz; siamo andati a vederlo esibirsi per due spettatori alla volta qualche sera fa, il suo spettacolo, Lacrimosa, e’ una specie di incanto cupo.

Continuo a leggere Truman Capote, che e’ cosi’, come l’effetto che fa, mi fa smettere di parlare, lo leggo mentre passano le ore e sento scivolare nella mente vagonate di idee multiformi, che lampeggiano e svoltano, nelle pieghe galattiche della mia immaginazione.

(Truman Capote)

Suppongo derivi anche dal fatto di capire profondamente quel suo sostenere per primo che il reportage puo’ essere un’arte raffinata “e nobile quanto qualsiasi altra forma di prosa“. Mi interessa il modo in cui riusci’ a trasformare, tenendo a mente intere conversazioni e senza l’uso di fastidiosi registratori o block-notes, il livello piu’ basso del giornalismo, ovvero l’intervista, in modelli perfetti come Il duca nel suo dominio, il ritratto di Marlon Brando.

Doveva essere uno stronzo irresistibile Truman, il tipo che finisci col cercare sempre per primo, capace di trasformare una conversazione origliata in un’opera d’arte.

Sei anni a sgobbare su un romanzo, senza la smania di pubblicare – mi vien voglia di abbracciarlo, di prendermi delle confidenze insomma – che lavoro, una cosa meravigliosa, e’ sempre duro, non c’e’ flemma. L’altro giorno, me ne stavo dietro le quinte di un antico teatro di provincia con un amico poeta, Pierluigi Mele, parlando di lui e di altri americani.

Da li’ a poco ci saremmo fatti strada, nel buio fitto del dietro le quinte – quando l’occhio di bue illumina il centro del sipario chiuso – per entrare in scena e introdurre il suo reading poetico.

(Pierluigi Mele)

Faceva freddo e Pierluigi non voleva togliersi la giacca, temperava la sua ironia sfottendo le ballerine che si riscaldavano coi loro esercizi nel favo di luce dei camerini, “attenta bella mia, cosi’ ti viene la sciatica!”, il libro che stavamo per presentare e’ profondo venticinque anni.

Venticinque anni di poesie come pesci presi in una rete e sgusciati via da un buco sul fondo, condensati nella mia preferita che a un certo punto fa cosi’: “… Lingua per nove natali/glossa ja’ ennea Kristu/ nove pasque le strofe/ennea Paskata es tiritere/nove mele d’addio/ennea mila sti kalin ora/nove veli la sorte/ennea veli i sorta/nove letti la luna/ennea krovattia ‘o fengo/nove orci di fichi/ennea kifinizzi afse’ sika/nove mandorle in dote/ennea mendule ja’ rucho/nove anelli di pane/ennea dattilidia afse’ fsomi’/nove gonne sfilate/ennea fustianu spammenu/lega un’alfa ai capelli/ denni mian alfa ta maddhia.

(le correzioni di Bob Dylan)

Mentre lui la leggeva, quella sera, pensavo a un personaggio ancora segreto, uscito dalla penna di Patrizia Caffiero per un testo che stiamo scrivendo a quattro mani. Ero andata a sedermi accanto a lei dopo aver introdotto la performance, sentivo Patrizia fare eco alla voce di Pierluigi, nove anelli di pane, sentivo rotolare come un cerchio d’oro la sua risata piccola, ridanciana.

In scena, mentre il poeta attore leggeva, con la sua bella voce arcobaleno, una ragazza bellissima danzava il suo assolo rovesciandosi i capelli neri nelle mani, allora Patrizia mi sussurrava all’orecchio: “Ecco, vedi? Quella e’ la sua proiezione”. Con la sua bellezza di moneta d’argento nella polvere, la danzatrice stava doppiando i versi, era un tradurre in sincrono, un mischio di mestieri.

(Bruno Pilz, mago e burattinaio)

Ho provato a non somigliarti e’ il titolo che raccoglie le poesie di Mele, lui ha superato i quaranta con la sua mimica irresistibile. Il teatro era pieno ed io non riuscivo a non pensare che in sala c’era, tra i pochi altri narratori e poeti viventi che posso dire di rispettare, Giuliana Coppola. Corti capelli bianchi, voce di mollica calda.

Mi venne in mente la volta in cui, durante un tragitto serale in automobile verso qualche presentazione, mi racconto’ di Maria Corti, che voleva essere portata nei luoghi segreti del confine di cui non si sentiva solo ospite. Credo di aver provato qualcosa di simile girovagando in Lucania, dentro una vegetazione fitta che mi arrivava ai fianchi, nei giorni in cui mi faceva da guida un’esile ninfa superba e liquida di vita.

Mentre Pierluigi leggeva le sue poesie, mi rendevo conto di quante scialuppe avesse lanciato alle parole nel corso degli anni, di quante finestre avesse scavato nel muro. Quel suo fare del linguaggio un’architettura e, da uomo di teatro, scipparti da dentro le emozioni.

Mi aveva colpito cio’ che aveva detto del suo editore, Cosimo Lupo, un omino impavido, felicemente assurdo, “l’unico capace di vendersi un furgoncino pur di consentire a un libro di poesia di nascere”. Del resto e’ stato il primo, che io ricordi, a credere in Fanculo pensiero, il romanzo d’esordio di Maksim Cristan, poi giunto alla corte di Feltrinelli.

(Maksim Cristan)

Ricordo ancora il giorno in cui invitai Maksim in redazione per un’intervista, non erano lontani i tempi del suo banchetto vendita improvvisato con una cassetta della frutta, la tovaglia presa in prestito da una chiromante, l’angolo di luce scavato ai bordi di una vetrina di libreria luminosa dove poi sarebbe entrato da protagonista.

Mi precipitai giu’ per le scale e lui disse, con tenerezza: “Piano Luisa, piano. Non correre cosi’ solo perche’ sono povero”. E comunque non solo gli artisti sono uno scherzo di natura, lo sono anche quelli che gli fanno avere carta sufficiente per farsi ascoltare fino alla fila piu’ lontana possibile. Me ne rendo conto ogni volta che sono costretta a ordinare un libro che non trovo subito sugli scaffali delle librerie, le ragioni possono essere le piu’ svariate.

(Maria Corti)

Il tempo e’ un buon lettore, meno superficiale di tutti gli altri, e spesso ripesca dei titoli dall’oblio, e’ il caso di Goliarda Sapienza e del suo L’arte della gioia. E’ il caso, a meta’, di Vittorio Bodini e penso, a proposito di doppiatori, alla sua traduzione del Don Chisciotte di Cervantes per i Millenni Einaudi.

Qualche settimana fa, raccontavo in una mail alla scrittrice e traduttrice Clara Nubile – bloccata dalla neve ad Anversa – della mattina in cui ho assistito alla cerimonia raccolta nel cimitero di Lecce, dove i resti del poeta e ispanista sono tornati, dopo un lungo esilio pieno di amore e odio per il Sud che osservava e raccontava.

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Conoscevo molte delle persone presenti, Livio Muci, che da anni e’ il mio editore e che riedita da un pezzo l’opera bodiniana, lo scultore Ugo Malecore che ha firmato il bassorilievo in terracotta, sotto i lineamenti di Bodini le sue parole tratte da La luna dei Borboni: Tu non conosci il Sud, le case di calce/da cui uscivamo al sole come numeri/dalla faccia di un dado.

Quel sud del mondo che Clara conosce e che ha riempito di viaggi e di distanze, nella sua ultima mail mi avvisa che e’ in partenza per l’India, piu’ che altro un ritorno. Da laggiu’ vengono molti dei suoi racconti migliori, quelli che ti afferrano la gola quando leggi il suo Tabaccherie orientali.

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(Clara Nubile)

A parlarmi di lei la prima volta fu la libraia Teresa Romano, eravamo nella libreria che apre i suoi battenti davanti alla fermata del bus, un pomeriggio, mi porse il libricino che ha come copertina la fotografia di un paio di piedi nudi su un lungomare. “Sono i piedi di Clara Nubile”, mi disse, poi chiuse gli occhi muovendo piano la testa, i bei capelli scuri, come chi ha appena annusato un aroma irresistibile, l’aroma di uno stile.

Da Clara avrei sentito dire, mesi dopo, la definizione migliore circa il mestiere del traduttore: “Tradurre è come fare una seduta spiritica. Spesso mi sento proprio così: una spiritista.” Per la puttana si’, ho pensato. E subito mi sono tornate in mente le traduzioni di Le ore, di Cunningham, a cura di Ivan Cotroneo e Alice nel paese delle meraviglie secondo Aldo Busi. Traduttori, doppiatori, romanzi viventi che impegnano le loro voci, come la Sirenetta di Andersen.

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(Pasolini in sala di doppiaggio)

Voci oscure, congegni trasparenti, luminosi come gioielli di Faberge’. E’ afferrando la treccia delle loro voci che si scala la torre senza porte, quell’altezza traguarda il mondo e, per un momento, ogni elemento della vita e’ il suono caotico, eppure abbagliante, di un’orchestra che accorda gli strumenti, prima di cominciare.

Immagino che Rosetta Calavetta si portasse la sua voce a spasso come se niente fosse, alla stregua della diva che doppiava, Marilyn Monroe, cosi’ brava a mimetizzarsi nella folla di New York, passeggiate intere senza mai essere stata riconosciuta, nemmeno dai taxi che cercava di prendere.

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(Kim Novak ripassa il copione di Vertigo)

E avra’ fatto caso, doppiando Kim Novak ne La donna che visse due volte che il suo personaggio e’ un impostore che dice la verita’?
E, cosa ancora piu’ interessante, James Stewart non si accorge che la Novak non interpreta per lui solo la parte di una donna perduta ma e’ quella donna.

E’ affascinante, se ci si pensa, e insieme crudele: spesso veniamo scambiati per altri proprio quando siamo noi stessi.

(“Vertigo”, music by Bernard Hermann)

Su Musicaos.it per gentile concessione dell’autrice
“Sirene”, Luisa Ruggio,
dentro Luisa – 10/1/2011

“Pali”, di Spiro Scimone. Recensione di Patrizia Caffiero


Up patriots to arms, engagez-vous,
la musica contemporanea, mi butta giù

(Franco Battiato)

Al Testoni di Casalecchio di Reno, ho visto stasera Pali.

Con quattro attori, una recitazione efficacemente gridata (a ogni personaggio è riservato un diverso modo di emettere la voce che lo caratterizza), in modo da aggirare il pericolo di qualsiasi birignao, l’ottimo testo di Scimone analizza l’oggi.
Fotografa, registra la realtà, l’Italia. Con riferimenti dettagliati al presente, descrivendo persino il premier in modo diretto, pur senza nominarlo.
Allude al precariato. Accenna all’impotenza dei sindacati, racconta la quasi definitiva scomparsa delle lotte sociali dopo il crollo del principio della solidarietà (stringersi la mano, darsi la mano).

Il rimando pasoliniano è evidente nella splendida scenografia di Fiori, di cui fanno parte gli attori stessi come cinèmi di un’installazione/performance.

La scena è citazione (di una citazione) della crocifissione della Ricotta; a Pasolini si pensa anche per la scelta dei personaggi , i non vincenti del sociale, simboli di tutti gli altri marginali che sopravvivono nellìinterzona dei Nuovi Poteri; la Bruciata ricorda la serva di Teorema, salva grazie al suo mantenuto legame con una fede cristiana arcaica (il formidabile tormentone Padre, ascoltalo!)

Di più: il pensiero di Pasolini sottende eticamente tutta la sceneggiatura, si evince da un’apparentemente innocente battuta dei dialoghetti, ripetuta due volte dall’operaio Senzamani. E’ la risposta all’evocazione da parte della credente Bruciata di un redentore, di qualcuno che risolva la situazione e trasformi il fango in oro.

– Si deve fare da soli- esclama Senzamani.

Vengono in mente i decennali, ormai, leit-motiv degli intellettuali di sinistra, la loro attesa di una figura nuova, che redima palingeneticamente il paese; dimenticando che proprio a loro dovrebbe spettare il lavoro di restituire un senso.

Pasolini aveva più volte ripetuto che la rivoluzione si deve fare da soli, citando Sciascia; e Scimone conosce bene quell’affermazione, che può suonare come segno di disfatta e presa d’atto dell’assenza di un deus ex machina ideologico; ma letta al rovescio, è anche un manifesto, un annuncio di resistenza ad oltranza.

Si deve fare da soli, o in pochi, si deve fare e si fa con un piccolo gruppo, per esempio con questa compagnia che ha vinto anche il più prestigioso premio teatrale italiano, l’Ubu 2009 come Migliore Novità Italiana.

Chi rifiuta di mangiare merda, di piegare la testa in spersonalizzanti impieghi con disumanizzanti orari di lavoro si rifugia sui pali, solleva il proprio punto di vista e riconosce in chi si arrampica sui pali i propri alleati.

Oppure incita altri a issarsi su altri pali rimasti liberi. Il palo definisce la ricerca di una propria identità che va costruita senza il supporto dei tralicci delle ideologie e strappandosi dalle influenze esterne/interne omologanti.

Con un passaggio astratto il supporto ligneo che dava origine alla croce di Cristo, vissuta nella carne dalla Bruciata e dell’operaio ferito si trasforma in un simbolo quasi totemico di elevazione delle coscienze, che evoca la tentata liberazione dai condizionamenti di un Italia antropologicamente e socialmente alla deriva.

Bellissimo lavoro.

Patrizia Caffiero

Pali, testo di Spiro Scimone
regia: Francesco Sframeli
con: Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Salvatore Arena, Gianluca Cesale
scene e costumi: Lino Fiorito
disegno luci: Beatrice Ficalbi

‘Petrolio’ la bomba di Pasolini, di Gianni D’Elia


Il romanzo postumo di Pasolini, Petrolio, scritto tra il 1972 e il giorno della sua esecuzione (nella notte tra l’l e il 2 novembre del 1975), è come una bomba che non è esplosa. È stata disinnescata dal suo delitto, pubblicata diciassette anni dopo, quasi sicuramente monca, con un intero “paragrafo” che è volato via ed è stato fatto brillare altrove, dove i Lampi sull’Eni non hanno fatto rumore, né vera luce.

La bomba di Pasolini era la verità, la sua ricerca del filo nero che dalla morte per attentato di Enrico Mattei conduce alla strategia delle stragi degli anni più bui dell’Italia. Questa bomba socratica, per quanto già piazzata in parte e innescata sul massimo organo giornalistico della borghesia italiana degli anni Settanta, il Corriere della Sera diretto da Piero Ottone, non è mai esplosa in tutta la sua potenza, anche se il sunto del paragrafo scomparso già basta ed è bastato a tanti artificieri della letteratura e della politica, specializzati nella custodia e nel maneggio di esplosivi, per sbarazzarsene in fretta e con protervia.

Petrolio era un grande progetto d’opera, previsto in duemila pagine, di cui ci restano 522 cartelle; mettiamoci altri due o tre anni di lavoro, che uscisse nel 1978, dopo la tragedia patita da Aldo Moro. Lo apriamo, leggiamo: “La bomba è fatta scoppiare: un centinaio di persone muoiono, i loro cadaveri restano sparsi e ammucchiati in un mare di sangue, che inonda, tra brandelli di carne, banchine e binari. (…) La bomba viene messa alla stazione di Bologna. La strage viene descritta come una ‘Visione’”. Da pagina 542 a pagina 546, edizione Einaudi 1992, saltiamo all’indietro, alle pagine 117-18, dove si parla della guerra del petrolio tra Cefis (Fanfani, fisicamente) e Monti (Andreotti, fisicamente). Pubblico, privato, potere, economia politica delle stragi. E Cefis, Eugenio Cefis, viene ribattezzato nella finzione romanzesca Aldo Troya, che “sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore (caso Mattei, cronologicamente spostato in avanti)”.

Cosa sarebbe successo nell’Italia (e nel mondo, date le immancabili traduzioni all’estero) del 1978, alla lettura di queste pagine? E perché, ancora, tanta sordità storica? Quelle prove e quegli indizi che, nel famoso articolo poi ripreso negli Scritti corsari (1975), Pasolini dice di non possedere, li sta raccogliendo nel romanzo: Io so. Da quel 14 novembre 1974, quando esce Il romanzo delle stragi (che il Corriere pubblica col titolo Che cos’è questo golpe?), una settimana dopo l’incriminazione dei vertici del Sismi, il servizio segreto militare, per il fallito golpe Borghese dell’8 dicembre 1970, Pasolini viene lasciato solo come un cane, in attesa che si chiudano i conti col suo dire.

Come in un’orazione di Cicerone o nel teatro di Shakespeare, ecco l’anafora di denuncia del sapere poetico-politico che inchioda i responsabili, gli esecutori materiali, i vertici dei potenti, del Palazzo e del Cane a sei zampe, i fascisti e i neofascisti, che hanno prodotto e gestito le varie fasi di azione e di depistaggio delle stragi in Italia, da Milano a Brescia a Bologna, dal 1969 al 1974, con la complicità dei servizi segreti italiani e stranieri e della mafia. Il testimone-giornalista si affianca all’intellettuale-detective e allo scrittore-romanziere; la sintesi tra il testimone e il romanziere è operata dall’intellettuale, che riflette sul “blocco politico economico” dello stragismo, e che agisce come un investigatore dei delitti collettivi, attestando la continuità del reato di strage: il delitto Mattei, le due fasi stragiste, anticomunista e antifascista, da addossare agli opposti estremismi, prima agli anarchici e poi ai fascisti, per disfarsene dopo averli usati. Pasolini sta continuando da solo la controinchiesta collettiva sulla “Strage di Stato” (edita da Samonà e Savelli, 1970-71).

E proprio in quel famoso articolo, dove dice di sapere i nomi, ma di non avere né prove né indizi (forse anche per mettere le mani avanti e proteggersi in qualche modo dall’isolamento intellettuale e politico che sente e che patisce), ecco la pazzesca allusione sottotraccia all’opera che sta facendo, da romanziere della verità: “Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio progetto di romanzo sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti”. Progetto di romanzo, fatti e persone reali, sta parlando di Petrolio, del suo cantiere del vero e del desiderio imploso, che nel novembre del 1974 è già in stato avanzato; tanto è vero che l’articolo scritto per il Corriere pesca nel romanzo i suoi materiali, correggendo subito nella prosa d’intervento qualche errore, come ho mostrato nel mio libello Il Petrolio delle stragi (Effigie, 2006): le prime bombe sono attribuite agli anarchici, e non ai fascisti, “per creare in concreto la tensione anticomunista”; e la “verginità” che la “cricca dei politici” si devono ricostruire non sarà certo quella “fascista”, ma quella “antifascista”, “per tamponare il disastro del referendum” (sul divorzio, 12 maggio 1974). E lo studio dell’intertesto dimostra la cura dello straordinario giornalista che fu Pasolini.

Pasolini sta addosso alla prima P2, e l’articolo più famoso pesca proprio dal sunto del capitolo scomparso, Lampi sull’Eni, che egli aveva certamente già scritto, come risulta a pagina 97 di Petrolio, nonostante tutte le negazioni degli eredi e dei curatori: “ne ho già fatto cenno nel paragrafo intitolato Lampi sull’Eni, e ad esso rimando chi volesse rinfrescarsi la memoria”. Era la battaglia di Laura Betti, la nostra. Dunque, chi ha sottratto questo capitolo, ora annunciato e passato per le mani della mammola Marcello Dell’Utri? Ancora un lupo palermitano, condannato per mafia e amico di piduisti al governo, sulla strada dello scrittore assassinato; quasi una nemesi al contrario della bibliofilia. Gira voce che un antiquario abbia visto il dattiloscritto di questo capitolo sparito dalla sua sede, dopo il delitto di Pasolini, ma che non sia disposto a confermarlo in pubblico; per la Mostra del Libro Antico, che si è chiusa a Milano il 14 marzo, ora Dell’Utri ha parlato di una cassa di un istituto in cui sarebbe stato conservato; e c’è un’altra voce, raccolta da un giovane ricercatore, sempre di un antiquario o consimile, che risale però al 1980, che confermerebbe di avere visto Lampi sull’Eni nella cassaforte di una banca.

Lì si raccontava la storia mista e ambigua della Resistenza bianca e repubblicana, di Mattei e di Cefis che erano nella stessa formazione in Val d’Ossola, che Pasolini sposta in Brianza (che profezia del futuro!), dei contatti di Cefis con gli americani, di soldi e di armi, della sua carriera e del suo scandalo, e infine del delitto di Mattei, sostituito alla guida dell’Eni proprio da Cefis, un anno dopo il suo allontanamento dall’ente petrolifero nazionale, dopo l’attentato del 27 ottobre 1962.

Il giudice Vincenzo Calia, dopo dieci anni di indagini, ha archiviato il caso il 20 febbraio 2003 presso il Tribunale di Pavia, provando l’attentato ma dichiarando il muro del segreto politico italiano. Come il giornalista De Mauro e il giudice Scaglione, l’uno sparito per sempre il 16 settembre 1970 e l’altro ucciso per strada a Palermo il 5 maggio 1971, Pasolini indagava su Mattei, attirato anche lui dalla calamita delle rivelazioni di Graziano Verzotto, ex uomo dell’Eni di Mattei in Sicilia ed ex capo democristiano, senatore e segretario regionale, nemico di Cefis.

Calia ha svelato per primo l’altra fonte scritta di Petrolio, il libro al veleno di Giorgio Steimetz (alias Corrado Ragozzino): Questo è Cefis, l’altra faccia dell’onorato presidente, pubblicato dalla Agenzia Milano informazioni nel 1972, finanziata da Verzotto, già presidente dell’Ente minerario siciliano in guerra con l’Eni di Cefis. Pasolini aveva letto questo libro, introvabile e fatto subito sparire dal terribile Eugenio, ricevendolo in fotocopia da Elvio Fachinelli, che aveva pubblicato alcuni discorsi di Cefis sulla sua rivista L’Erba Voglio.

Secondo due appunti segreti del Sismi e del Sisde scoperti da Calia, Cefis aveva fondato la loggia P2 per poi passarla al duo Gelli-Ortolani, per paura, dopo lo scandalo dei petroli, tra il 1982 e il 1983. Era questa la bomba di Petrolio?

Dunque, Pasolini aveva capito forse troppe cose, non solo del delitto Mattei ma anche delle stragi di Stato, di cui quel delitto è la prima pietra, o forse la seconda, se la strage di Portella della Ginestra del 1947 è la prima, fino alla strage di Bologna del 1980 e alle stragi di mafia del 1992-93, tra azioni omicide, falsi e depistaggi abnormi. Commemorando il quarantennale della strage di Milano del 1969, recentemente il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha detto: “Continuare a cercare ogni frammento di verità”.
Cefis è morto nel 2004, Verzotto è vivo e malato. Dopo tanti decenni, ci aspetteremmo dalla classe politica e dalle istituzioni ben altro che un invito al frammento.
Ci aspetteremmo l’insieme della verità sulle stragi e sui tanti delitti politici collegati, seguendo il rifiuto di Pasolini contro la separazione dei fenomeni:
1) togliere il segreto di Stato dal 1947 ad oggi;
2) fare una legge semplice, di un articolo: chi ha fatto parte degli elenchi segreti della P2 e ha tradito la Repubblica, sia interdetto in perpetuo e decada dagli incarichi pubblici.
Pasolini è morto nella notte tra il 1° e il 2 novembre 1975

"Carni paesane" di Giovanni Matteo


Luciano Pagano
Selvaggio a chi?

su “Carni paesane” di Giovanni Matteo

Nel novembre del 2004 al gennaio del 2006, sulle pagine elettroniche di Musicaos.it, venne pubblicato “Carni paesane” di Giovanni Matteo, una serie di storie disegnate ambientate in Salento negli anni ’80. Perché riproporre il fumetto quest’oggi, a così breve distanza e in un formato differente? Tanto per cominciare perché anche se a soli due anni di distanza e anche se sullo stesso sito, “Carni paesane” è un insieme di storie che vanno lette nel loro insieme, con le duecento tavole in bianco e nero in formato pdf. Giovanni Matteo oltre che a essere pittore e musicista è un artista eclettico che utilizza il suo tratto per raccontare storie. Un altro esempio della sua bravura di sceneggiatore, anche esso scaricabile gratuitamente da Musicaos.it, è “Mignotta“, liberamente ispirato a un soggetto cinematografico scritto da Pier Paolo Pasolini (pubblicato nella raccolta Alì dagli occhi azzurri). Le storie di “Carni Paesane” sono ambientate a Serragliano, comune immaginario della provincia salentina, così simile alle decine e decine di paesini che si affastellano come semi di sesamo sulla crosta di un pane arrugginito. Sono raccontati con realismo e crudeltà i giorni di Pero e Carlo, dove ogni cosa nella vita si rimpicciolisce, così piccola da finire più veloce nello stantuffo di una siringa, piccoli mafiosi, piccoli faccendieri, piccoli politici, piccoli delinquenti. Difficile compiere tentativi di fuga da una realtà simile, dove lo squallore e la desolazione della droga sono niente se paragonati allo squallore circostante. Se proprio un viaggio deve esserci, tanto vale fare il corriere e approfittare dell’occasione. La poesia di Giovanni Matteo e il suo sguardo, tuttavia, sono in ogni luogo, e traducono una storia dove i reietti meritano un posto in paradiso, senza accorgersi di nulla. Il linguaggio è un dialetto basso, mescolato all’italiano, con espressioni che non richiedono difficoltose traduzioni. “Carni Paesane” è una delle tante fotografie che potevano essere scattate da queste parti quando la generazione dei nati negli anni settanta muoveva i primi passi nell’adolescenza. Che dire quindi di un Riccetto che si incontra a braccio con Pompeo? La bravura di Giovanni Matteo sta nell’aver colto quei motivi dell’ambiente del Sud che tanto rischiano di rimanere stereotipi se vissuti passivamente, senza l’energia che può imprimere una narrazione; la parrocchia barocca con le statue infinite, le campagne desolate, i motorini, i video poker, la nonna che prepara la crostata super-calorica, i collassi chimici e i recuperi sul limite dell’overdose, il tutto sotto lo sguardo vigile delle forze dell’ordine che viaggiano nelle campagne del paese alla velocità media di 20 km/h. Buona visione!

gilles deleuze – l'abécédaire


18 Dicembre 2007, 20:30
gilles deleuze – l’abécédaire

cenacolo filosofico politico

Astragali Teatro
via candido,23, lecce

Martedì 18 Dicembre alle ore 20,30 Astràgali Teatro presenta il primo di una serie di appuntamenti musicali, teatrali e poetici che ci accompagneranno fino alla fine dell’anno.
“Gilles Deleuze L’Abécédaire- cenacolo politico- filosofico” è, infatti, il titolo della prima di queste serate che si terranno nella sala teatrale di Astràgali in via Giuseppe Candido, 23 a Lecce, un modo per incontrare e aprire un dibattito sul pensiero di Gilles Deleuze, uno dei più controversi ed eretici intellettuali del Novecento.
Per farlo, Astràgali ha deciso di utilizzare una delle opere più rappresentative del grande filosofo francese, “L’Abécédaire” appunto, una lunga intervista di otto ore fatta nel 1988 e pubblicata postuma, per volontà dello stesso Deleuze.
Si partirà, dunque, dalla visione di frammenti tratti da “L’Abécédaire” e dalla loro discussione per poi indagare i capisaldi del pensiero del filosofo francese.
Gilles Deleuze, nato a Parigi nel 1925 e morto suicida nel 1995, è stato promotore di una pratica filosofica concepita come continua creazione di concetti in costante dialogo con il Fuori del pensiero, affiancando alla sua attività intellettuale quella di militante politico.
“L’Abécédaire” corrisponde perfettamente all’esigenza di Deleuze, come lui stesso afferma, di “essere visto col suo respiro”, ossia alla necessità, che deve muovere qualsiasi ricerca, di partire dallo studio del fare, di occuparsi delle cose nel loro concreto divenire. L’importanza dell’Abécédaire risiede proprio nel suo essere anch’esso un rizoma -concetto caro a Deleuze- cioè un sistema proliferante, capace però di raggiungere la maggiore limpidezza e chiarezza espositiva possibile.Il risultato è una disarmante testimonianza di pensiero.
L’appuntamento di martedì 18 Dicembre ad Astràgali Teatro sarà dunque un modo per alternare alla visione di frammenti de “L’Abecedaire” la loro aperta discussione e aprire all’ interrogazione critica del pensiero di Deleuze, in un’atmosfera simposiale.
Gli appuntamenti della settimana organizzati da Astragali proseguiranno mercoledì 19 dicembre con una serata dedicata a Pier Paolo Pasolini “Alle mura del Tempo” a cura di Luca Carbone e giovedì 20 con una serata di musica e poesia con Mauro Tre e Fabio Tolledi dal titolo “Concerto per Carla Petrachi”.

con fabio tolledi
antonio borruto

“Il Merda (Visione)” da Petrolio di Pier Paolo Pasolini. Appunti da appunti.


[71e] Lingua dell’inconscio costruita sulla schisi, estetica e rivoluzione della merda. La Giustezza, l’adeguamento al primo modello, quello della ripugnanza. I due Dei renderanno Carlo ‘consapevole’ della Visione.
Gli individui aderenti al modello sono silenti, “la parola è divenuta una parola di pura presenza fisica e mimica”, gli individui siffatti sono epifanie. La Visione che coglie Carlo nei pressi del Colosseo si svolge all’incrocio tra via Tor Pignattara e la via Casilina. Muraglioni di un acquedotto lontani, case nuove in costruzione, cortili e case costruite a mano dai propri abitanti. Sfasamento nella visione, sbavatura che fa intravedere per un attimo la plebe di cenci e più si stabilizza sulla visione odierna, ‘tutti sembrano usciti da un negozio per abbigliamento’. La visione del girone Bruttezza/Ripugnanza, Blue Jeans/Maglietta “Er culo de fora”.
Nel [71f] la visione del ‘rattoppato’, finto ‘povero’, con i pantaloni a zampa e “impeccabile strettezza dei pantaloni alla vita” altrettanto “impeccabile larghezza sotto le ginocchia”. Con un gusto “anarchico e scandaloso almeno quanto legalitario e codificato”. L’elemento isolato e rappresentato in questo girone è il Conformismo. I poveri non hanno raggiunto l’uguaglianza sociale lottando, è stato loro concesso di conformarsi ai ricchi nell’apparenza.
La Visione è profetica, e strettamente attuale nel suo ripresentarsi. L’innalzamento di soglia del livello della tecnologia, nei paesi industrializzati, cresce e in proporzione aumentano i benefici che gli individui/modelli possono trarne in beneficio per vita quotidiana, tuttavia l’innalzamento della soglia di povertà e l’aumento delle famiglie e dei singoli che vivono al di sotto di questa soglia è un dato di fatto. Sono dati di fatto, oggi, l’arresto della crescita, la carenza di investimenti pubblici nella ricerca, la carenza di posti di lavoro, la crescita enorme di pensieri in qualità e densità. Il lavoro, supervisivo e globale, poteva essere inteso come una necessità, lavorare e spendere per lavorare di più e spendere di più, smarrire la propria identità e le proprie aspirazioni nella ‘ciclosi’ del lavoro. Oggi non basta lavorare perché la sottrazione del tempo dell’uomo, destinata al tempo della produzione non è più sufficiente, se n’è smarrito il senso. Il Merda e Cinzia sono “sempre strettamente allacciati”, e ancora “tenacemente abbracciati”, si tengono insieme. Si sostengono.
[71g] Nei gironi precedenti un elemento significava un modello. In questo è assente un modello di riferimento, l’unico modello al quale si può far riferimento in assenza di una storia è la salute, manca anche questo riferimento, in mancanza di un modello qualsiasi la visione è visione d’insania, malattia mentale, disperazione, apatia. Privatizzazione degli ospedali, privatizzazione della sicurezza e privatizzazione delle carceri, ma ‘riconversione delle ex strutture manicomiali”. Il matto, il folle, il nevrotico, lo schizo, sono improduttivi, sono peggiori dei malati che quanto meno alimentano un indotto farmaceutico e paramedico. La nevrosi è improduttività allo stato viscerale, non se ne può ricavare nulla, nemmeno Visione. Non c’è quindi la possibilità di essere felici del poco, il povero non può accontentarsi del nulla.
[71h] I colori della Visione decrescono in tonalità, mantenendosi accesi, in un tempo sospeso indiscernibile, la stagione è una “tarda primavera o un caldo inverno”.
“Il Merda e la sua mecca” giungono ad un semaforo, nemmeno in questo caso i due si slacciano dalla presa. Questa volta il Modello è addirittura fuori del suo tabernacolo, è una sorta di santo laico che sta predicando ai suoi apostoli. Il “Culto della sua imitazione”, il verbo dell’abiura, “certo di avere tutto il futuro dalla sua parte”.
Nella Visione si mescolano elemento religioso (fintamente reale, atteggiamento posticcio) e sessuofobia, ‘froci’, nella visione profetica Pasolini esprime una constatazione amara e rassegnata. Questi che oggi predicano il falso amore, il falso verbo, continueranno a comandare facendo piazza pulita, sostenuti dalla povertà, dalla credulità, dalla capacità affabulatrice del reale costituito. “La pietra giace sulla strada rovesciata”, il richiamo al Vangelo, alla predicazione, agli Atti come esegesi del verbo che non è il verbo, il rovesciamento del falso nel vero.
[71i-71l] Questi due paragrafi sono dedicati al Perbenismo Borghese e alla Dignità Borghese. Il primo è ostentazione di superiorità sufficiente. La seconda è consapevolezza di superiorità. Il perbenismo può essere un atteggiamento di simulazione anche non propriamente borghese. Perché esso è finzione. La dignità, invece, passa per il rifiuto di tutto ciò che è ostentazione superficiale, è abiura della comune ostentazione, è profondità del disprezzo. Essa sfocia nella poiesi di un ‘rango’. Il rango si esprime trasfondendo la propria esistenza in esistenza militare. Con la differenza che il militare non è più il povero che viene inviato come carne da macello sul fronte ma è, per l’appunto, il borghese arricchito che deve consolidare il suo ‘rango’, molto più simile, nell’estrazione/intenzione, ad un giovane delle SS.
Ancora oggi, come negli anni ’70, la maggior parte dei giovani che decide di intraprendere una carriera militare proviene dal sud, la maggior parte di coloro che sono andati in missione prima dei vent’anni, non hanno subito (alcuni sì) grossi traumi, il termine del servizio di leva, il servizio civile. Il militare come professione responsabile e ben retribuita. Il futuro vedrà la presenza di un unico o la coesistenza di quattro o cinque eserciti, privati, guidati da interessi economici e al di fuori dell’ONU? Le aspirazioni del singolo sono smarrite, quand’anche fosse costruito un automa intelligente in grado di combattere dovrà sempre esserci un soldato al comando. Un robot, infatti, non può subire un processo delle responsabilità. Carne da macello.
[71m-71n] Il codice della vigliaccheria ed il codice della tolleranza. La tolleranza infruttuosa e senza dialogo che è tolleranza del costume, dell’ipocrisia. La vigliaccheria e l’accettazione sottomessa dell’esistente così come viene allestito giorno dopo giorno. Anche il modello della tolleranza predica il suo verbo a persone smaniose non di sapere ma ‘essere’, tollerare tutto senza darsi spiegazioni, vivere nel proprio guscio senza uscirne, adorare l’Uovo. I colori di questa visione sono più accesi, dai rossi (amaranto, scarlatto, porpora, rosato) si procede verso l’arancione. Ci stiamo avvicinando alla luce? Nell’edizione di Petrolio, nella pagina che precede l’inizio del romanzo che ‘non comincia’ è riportato un appunto preparatorio, un elenco di opere, tra cui “Dante ultimi canti del purgatorio” e “De Sade 120 giornate [progetto]”. Nietzsche, descrivendo il suo “Al di là del bene e del male” scriveva che chi avesse letto lo Zarathustra avrebbe trovato nell’opera seguente gli stessi pensieri espressi senza utilizzare i mezzi propri della poesia. Qualcosa del genere accade affiancando ‘Petrolio’ a ‘Salò o le 120 giornate di Sodoma’. L’utilizzo del mito nella descrizione della decadenza e dell’ipocrisia del Palazzo. Un paragone con esiti e intenzioni diverse: il Satyricon di Fellini, un’opera dalla realizzazione monumentale. Fellini, che in fatto di ‘ricostruzioni’ scenografiche onnicomprensive è stato un maestro, avrebbe secondo me filmato una resa più aderente all’immaginifico pasoliniano, più di Pasolini, che ad esempio in ‘Uccellacci e Uccellini’ o in ‘Teorema’ resta fedele ad un dettato realistico. Chi non si ricorda invece di De Filippo inseguito da un donnone gigante sul viale di un notturno romano?
“Il Merda avanza” [71o] “cammina lemme lemme”, attraverso il girone dove il modello incarnato è l’amore-libero, la sua ostentazione narcisistica, e dove il ‘pistolino’, ‘cetrioletto’, ‘zucchina’ e le palle come ‘patatine’, affiorano da pantaloni sempre troppo stretti, un contenimento. Questa forma di ostentazione è mutuata dal periodo precedente a questo, gli anni “non ancora conclusi della secolare miseria sottoproletaria”. Sottoproletariato e Interclassismo sono gli elementi che contraddistinguono la critica di Pier Paolo Pasolini al mondo che verrà, a distanza di (quasi) trenta anni dalla sua morte la crisi di quei modelli ha accelerato il volgersi della situazione nei paraggi della Visione del Merda, non più “Il Merda: (La visione)”. La distanza tra classe politica e base è acuita, trent’anni di televisione al nostro risveglio si sono rivelati essere trent’anni di propaganda, i lavoratori non vengono presi in considerazione proprio oggi che la mobilitazione di grandi masse di persone, per motivi legati all’espressione libera delle proprie opinioni, è divenuta una realtà tangibile, oggi che la cultura si traduce anche in forme non ideologiche di estrinsecazione.
[71p] Pier Paolo Pasolini era consapevole del fatto che il potere si esprime attraverso una lingua (conscia, inconscia o subliminale) che è la lingua del potere, attraversando le parole, immagini, segni. Nel XIII Paragrafo della Visione fanno la loro comparsa le donne e, concomitante ma non in relazione causale, scompaiono gli elementi di bruttezza e ripugnanza. Le donne sono in blue-jeans, “quelle che non hanno i blue-jeans hanno una gonna così corta (i due Dei hanno il pudore linguistico di non nominarla col suo nome corrente […]”.
L’omologazione, l’annientamento e la conseguente adesione passano attraverso le parole, come il potere attraverso i corpi (saint Michel). L’omologazione è solo uno degli indici della mentalità moderna.
[71q, 71r, 71s] Le ragazze spigliate “non sono più di chiesa”, “l’ignoranza del Vaticano è stata per secoli il modello dell’ignoranza del popolo”, un’ignoranza fatta di praticità, oltre il pragmatismo americano, “ebbene, finito il Vaticano, è rimasta la sua ignoranza, in cui, a causa del suo praticismo totalmente irreligioso, è facile per il modello dello Spirito Laico, dal suo tabernacolo, insinuare il verbo dell’edonismo e del materialismo di carattere americano o comunque tipico dell’intera nuova civiltà”.
Il distacco dallo spirito del Vaticano, nella famiglia, viene salutato come segno del benessere e sua ostentazione, laddove la morale di un tempo predicava una certa accondiscendenza/esaltazione dell’afflizione nella miseria, il matrimonio laico invece esprime socialmente il benessere. Incombe tuttavia un’immagine del passato, le case con gli orticelli, Pasolini trasfigura il paesaggio romano Fuori Porta, caratteristico per gli stravolgimenti subiti in quegli anni.
[71t][71u][71v] Il Merda non tradisce la fatica che prova nel sostenere Cinzia con il braccio, si è deterso il sudore e finge sorrisi, quella stretta è irrinunciabile. E’ la volta del Modello del Conformismo, per la seconda volta Pasolini sottolinea l’impermeabilità del sesso femminile nell’accezione dei Modelli, il maschio è disordinato, la donna sistema e recepisce facilmente, per un insito pragmatismo, i modelli. La donna è vas d’elezione.
[71z][72a][72b][72c][72d][72e] Xx xxxxxxx xxxx’xxxxx Xx Xxxx Xxxxx xx xXXxx XxxxXXxxx X XX x XX xxxxx Xx X X xxxxxxxx xxx xxxxxxxxx x xx, xxxxx xxxx xx xx xxx xxx X xxxx xxx xxx xxx x Bolgie xxxxxx! X x x xx x-x-x forse non sarà domani xxxx Xxx xx x Xxxxxx xvedrai vedraixxx xxxX xx XX xxx xxx xxxxxx xxxx x xx xxxxxx non so dirti come e quando xxxxx xxx x x x xxxx Sono una cosa Sola con due Facce xxxxxxxx xxxxxx xx? Xx xxxxxxx! x xx’xxxx x ‘Ricce!’ xxxxxxx x, xxx, xxx? Xxxxx x’xx xxx’x, xxxxxXxxx,xxx!
[72f][72g][73][74] “Ai politici non gliene importa niente dei poveri; agli intellettuali non gliene importa niente dei giovani”. Questa verità è terrificante. E quest’altra lo è ancora di più, il mondo è totalmente parlabile, tutta la realtà potrebbe essere oggetto di un eloquio costante, e le parole che sono emesse attraverso la mediazione di modelli sono “applicazione meccanica di una verbalità”. “L’illusione è quella di conoscere, e quindi parlare, tutto il mondo”.
Il mondo vero divenne favola, il dialetto pure ne è investito: “grigio e puramente informativo, rimodellato sulla lingua”.
Il Merda crolla, i richiami alla Commedia di Dante, dalla nota di passaggio gironi/bolgie, si fanno più evidenti, è il momento di una turbinosa ascensione di Carlo, durante la quale pensa la sua visione e vive tre agnizioni fondamentali. Il carro sul quale è stato trasportato fin dall’inizio raggiunge lo Zenit della sua ascensione, in un punto dal quale può abbracciare tutta Roma con lo sguardo, “la sua forma era quella – anch’essa inequivocabile – di un’immensa Croce Uncinata”.
Carlo tornerà in sé, si avvierà verso casa per imbattersi nella scena finale della Visione, un simulacro recante una ‘misteriosa’ iscrizione, possibile ‘epigrafe di tutta intera la presente opera (‘monumentum’ per eccellenza). Petrolio. L’opera va letta con urgenza, la stessa nella quale venne meditata. Imbocchiamo via C. Colombo e partendo dall’Euresi giungiamo ad Ostia.

Luciano Pagano

pubblicato nel marzo del 2005 sul numero 5 “Merda d’autore” di Vertigine. Periodico di letteratura a cura di Rossano Astremo.