La riabilitazione di un piccolo omicida. Lo strano caso di James Melton


Nella primavera del 1948 il nostro paese è percorso da un fremito elettorale, stanno per svolgersi le prime elezioni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L’Italia è una Repubblica che si affaccia alla storia divisa in molteplici partiti, i più importanti dei quali sono due: Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Una parte del nostro paese guarda agli Stati Uniti come a un esempio. La storia di cui scrivo potrebbe essere un esempio ancora oggi, non soltanto negli Stati Uniti. “Direttore del carcere adotta un giovane omicida. Al ragazzo che ha ucciso sua sorella viene data una chance per condurre una vita normale” questo è il titolo di un articolo che comparve sul settimanale statunitense Life nel numero del 12 aprile 1948. Nell’articolo si raccontava la storia dell’allora dodicenne James Melton, un ragazzino dalla faccia perbene che viveva insieme al padre e a sua sorella Phyllis Marie. I genitori del piccolo erano separati e la sorella, per come poteva, cercava di fare le veci della madre andata via di casa. I due figli si toglievano quattro anni, gli stessi che ci toglievamo io e mia sorella da piccoli, a dire il vero gli stessi che ci togliamo anche oggi io e mia sorella. Vi posso assicurare che non c’è niente di peggio che vivere la propria adolescenza con una sorella più grande di voi, e ciò alla luce dei forti conflitti domestici che si possono instaurare. Tanto per cominciare non avete a che fare con un fratello maggiore. Un fratello maggiore potrebbe essere il vostro confidente, potrebbe picchiarvi e allo stesso tempo insegnarvi a dare botte. Con un fratello maggiore potete fumare le prime sigarette e uscire insieme e fare quattro passi in città, quando arriva il momento. Per non parlare di tutte le scuse che potete inventare con i genitori per coprirvi a vicenda. Insomma, un fratello maggiore è qualcosa che facilita la crescita, soprattutto perché se vi vuole bene sa che ha appena compiuto un percorso simile al vostro e quindi vi può dare qualche dritta per cadere in piedi. Quando lui va alle superiori voi andate alle medie, e vostro fratello vi dice come fregare i professori. Quando lui si iscrive all’università voi siete alle superiori, e vostro fratello vi spiega come avvicinare le ragazze. Purtroppo James Melton non ha avuto un fratello maggiore, il caso gli ha dato una sorella, Phyllis Marie. Nel Colorado del 1948, appena finita la guerra, le case si riempiono di novità, grammofoni che diventano giradischi elettrici, il frigorifero, le pall mall nel loro pacchetto rosso, la pasta dentifricia in tubetto e le lattine di salsa tomato. James è un ragazzino con gli occhiali, uno di quei ragazzini che potrebbero tanto recitare la parte del ragazzino sfigato nei romanzi di Stephen King. Uno di quei ragazzini che magari sta zitto, ingoia un po’ di rancore e non ha nemmeno la soddisfazione di avere una sorella più piccola, come il giovane Holden, giusto per metterle a disposizione tutta la sua piccola saggezza quattrocchi. No. James ha una sorellina di quattro anni più grande, per usare un termine tecnico attinto al linguaggio contemporaneo, una rompicoglioni. O almeno così lui la vede, “mi rimproverava sempre”, saranno le prime parole che James dirà allo sceriffo che va a prenderlo a casa dopo il fattaccio. Sì perché James, stanco e insofferente per i continui rimproveri che riceve dalla sorella, un giorno di dicembre del 1947 si nasconde dietro la tenda del soggiorno. Quante volte non è successo anche a voi di nascondervi da piccoli dietro a una tenda per spaventare qualcuno che entrava nella stanza? Cose che da grandi non faremmo per non avere cattive sorprese. Quel giorno James si nasconde dietro la tenda, imbraccia un fucile calibro 22 – tutti gli americani ne possiedono uno anche nel 1948 – e spara. Cinque colpi tutti diretti alla sorella, che muore. Nel soggiorno di casa c’è ancora l’odore di polvere da sparo quando James Melton viene portato via dalle autorità. In Colorado, nel 1948, ci sono due istituti di correzione minorile dove Jimmy potrà scontare la sua pena, ovvero l’ergastolo. Esistono anche delle leggi, però, in Colorado, che impongono agli assassini, indipendentemente dall’età, il trasferimento al penitenziario di stato a Canon City. Canon City è una piccola cittadina alle pendici delle montagne, lì vicino ci sono diversi parchi, Temple Canyon, Royal George, Lincoln; da quelle parti si respira aria pulita, non ci sono sfumature, gli uomini e le donne sono tutte d’un pezzo, lavoro duro, piccole soddisfazioni. Proprio come Roy Best, duro e efficiente esperto del crimine, direttore del carcere di Canon City. È a lui che spetta il compito di prendere le impronte digitali del piccolo Jimmy, il quale arrivato in carcere viene anche aggredito e piange. Proprio così, il piccolo assassino, il dodicenne che ha appena ucciso sua sorella con cinque colpi di fucile, viene aggredito in carcere. Basta vederlo in foto per immaginare quante botte deve aver meritato dai suoi futuri compagni di galera, uno con quella faccia da saputello, magari è capitato fra le mani di qualche ragazzo appena più grande di lui, qualcuno finito in carcere per furto, un ladruncolo di galline. Lo avranno riempito di botte dal primo quarto d’ora. Roy Best vede il ragazzo e prende una decisione. Il direttore del carcere è un uomo tutto d’un pezzo, non ha figli. È giovane, sua moglie lo aspetta a casa ogni giorno con la cena già pronta sulla tavola imbandita, non c’è bisogno che lui comandi anche a casa, sua moglie è felice di obbedire, punto e basta, felice come può essere la moglie di un rispettabile e morigerato direttore di carcere negli Stati Uniti del 1947. Roy Best pensa che quel ragazzino, se avesse avuto una famiglia che lo avesse seguito e gli avesse insegnato qualcosa, a quest’ora non sarebbe lì; si capisce subito a guardarlo che un quattrocchi del genere non sarebbe in grado di far male a una mosca; Roy Best ha in mente un piano, un esperimento, qualcosa che per un attimo gli fa dimenticare di essere capitato davanti a un ragazzino che a dodici anni si è reso colpevole di omicidio premeditato. Cinque colpi di fucile. Sua sorella che non fa nemmeno in tempo a accorgersene, urlare o scappare. Cinque colpi, tutti mortali, ne sarebbe bastato uno soltanto. Il ragazzino con gli occhiali ci ha visto bene. La distanza era ravvicinata. Roy Best decide di portarsi quel ragazzino a casa, lo prende con sé come se fosse suo figlio. Decide di iscriverlo a scuola “se questo ragazzo riesce a diventare un cittadino onesto allora dovrà avere tutti i vantaggi dei suoi coetanei, nei limiti delle possibilità imposte dal caso”. In poche parole, se Jimmy va a scuola e dimostra di essere un ragazzo educato perché negargli l’adolescenza che si merita? C’è un problema, tuttavia. Il ragazzo non può andare a scuola. Va bene che Roy Best è rispettabile, va bene che la maggior parte degli abitanti della comunità riconosce in lui un benefattore, però non va bene, soprattutto ai genitori degli alunni che frequentano la scuola di Canon City. Come spiegare ai loro figli che il loro nuovo compagno di classe è un assassino? Quando i suoi compagni torneranno a casa lo inviteranno a mangiare una fetta di crostata dopo i compiti? E se un giorno qualcuno dei suoi piccoli amichetti volesse seguire il suo esempio e uccidere un familiare scomodo? Il problema di fondo è dato dal fatto che tutti i bambini vengono sgridati dai genitori che a loro volta, almeno la maggior parte – ieri come oggi – hanno (almeno) un fucile in casa. Non si può fare. Jimmy non può frequentare la scuola. Roy Best non è un tipo abituato a darsi per vinto, ingaggia una vecchia professoressa in pensione, che tutti in paese stimano, e la promuove tutrice del ragazzo, sarà lei che ogni giorno terrà le lezioni scolastiche al giovane assassino. C’è di più, lei non si reca a casa di Best per dare le lezione, è il ragazzino, invece, che la raggiunge in casa sua con la bicicletta che Roy Best gli ha regalato. Immaginate la gratitudine del piccolo. È così grato alla sua nuova famiglia da non scappare via con la sua bicicletta. È così poco votato al crimine da non pensare nemmeno una volta di nuocere alla sua vecchia insegnante, né a nessuno dei componenti della nuova famiglia. Eppure possiamo immaginare quante deve avergliene dette Roy Best, il quale non nega che il suo obiettivo è soprattutto quello di far comprendere al ragazzo, ogni giorno, costantemente, la gravità del suo gesto. Così il piccolo Jimmy Melton si ritrova a scontare la sua pena agli arresti domiciliari, nella casa del direttore del carcere di Canon City, conducendo una vita quasi normale, come difficilmente gli sarebbe stata concessa in altri luoghi e tempi, ad esempio gli Stati Uniti d’America oggi. E come sempre accade negli Stati Uniti la storia ha anche un risvolto cinematografico: Roy Best, il direttore del carcere, nello stesso 1948 ha recitato la parte di se stesso in un film dal titolo Canon City, ambientato nel suo stesso carcere; nella pellicola si racconta la fuga di dodici carcerati dal penitenziario. In Colorado è stato di recente approvato un disegno di legge per abolire la pena di morte, l’ultima esecuzione capitale in questo stato risale a quaranta anni fa. L’abolizione della pena di morte consentirebbe di risparmiare soldi sui processi, consentendo di riaprire molti ‘cold case’ irrisolti; i criminali, se scoperti, verrebbero condannati all’ergastolo. Costituisce quindi uno spunto di riflessione la vicenda di un bambino resosi colpevole di un omicidio al quale viene concessa una possibilità di riscatto al di fuori della struttura carceraria e in un regime di semi-libertà quasi immediato; specie considerando che si tratta di una vicenda svoltasi 62 anni fa.

pubblicato su “il Paese nuovo
di martedì 16 febbraio 2010

“Fuori i secondi” di Vito Antonio Conte. Una recensione.


Fuori i secondi” (Luca Pensa Editore, 2009), un titolo e allo stesso tempo una dichiarazione più che mai polivalente. “Fuori i secondi” è l’invito dell’arbitro della boxe a fare uscire dal ring tutti quelli che non hanno a che fare con l’incontro, perché restino soltanto i due combattenti; l’autore è quindi uno dei due boxeur e i suoi avversari cambiano a ogni ripresa/racconto/poesia: la vita, la sorte, l’amore, la donna, il lavoro, la fuga. L’autore del testo è Vito Antonio Conte, scrittore e poeta di quella terra di mezzo i cui abitanti non sono mai soddisfatti di ciò che hanno fatto e già si proiettano a quello che devono fare; salvo poi guardarsi indietro e accorgersi di quanta strada si è percorsa, correndo, scappando, camminando, fuggendo. Bisogna prendere il presente a due mani, incrociare la paura, attraversare il coraggio come una feritoia; e poi ancora, percorrere la propria vita come se fossimo un vagone che va adagio, senza la fretta né il pensiero di tutte le stazioni. E poi ancora, restare in piedi, round dopo round, in un ipotetico incontro di boxe che va al di là della consuetudine atletica, facendo finta che l’avversario accetti il nostro patto insano, e prosegua la lotta – per quanto osservando le regole – per lunghe e interminabili ore. E poi ancora, quando con l’occhio pesto si osserva la platea ci si accorge che gli spettatori sono rimasti pochi, quelli rimasti sono gli appassionati, gli sportivi, tutti quelli che c’erano prima e facevano baccano altro non erano se non eventuali occupatori di posto a sedere, culi per seggiole, paganti plausibili perché i pop-corn terminassero e la coca-cola non perdesse la frizzantezza. Ma poi? Cosa resta quando è finita la “sorda lotta notturna” di campaniana memoria, posta in esergo al volume? Restano frammenti sui quali puntellare le rovine di un’epoca di crisi, non solo economica, non solo letteraria, non solo affettiva. Talia, Tatoo, Last the Moon, Motel senza stelle, Jesus Dream, sono i titoli dei racconti presenti nella parte centrale dell’ultimo libro pubblicato da Vito Antonio Conte. Tra i più riusciti della raccolta ci fanno rivivere le atmosfere de “L’improbabile vera storia di un uomo chiamato Luna” (2004) o “Frammenti di un interno” (2008) con qualche ingrediente in più. Tanto per cominciare questo è un libro che può essere letto in due modi, io li ho sperimentati entrambi. Prima lo leggi d’un fiato, come una medicina che ti aiuta a farti passare quella schifosa malattia che si chiama realtà, ipocrisia, falsità. Poi lo leggi a salti, aprendolo come si aprono varchi nel buio. In questo modo ti accorgi di quanto lo stile di Vito Antonio Conte, soprattutto nella prosa, abbia guadagnato in lirismo, rincorrendo un’essenzialità e un’asciuttezza della lingua, dove tutto è necessario e nulla è ridondante. Ne è una prova la resa delle performance nelle quali l’ascoltatore ha l’opportunità di ascoltare dal vivo i racconti, dalla voce stessa dell’autore, che rende il suo ‘ragionare’ con un ritmo che sembra avvolgersi su se stesso per poi riprendersi come un vortice. Questa è una raccolta di ‘materiali’: versi, racconti, racconti che contengono versi e poesie che raccontano; secondo me le protagoniste assolute qui sono due: la Donna e la Musica. La donna in questi racconti è quasi sempre incontrata e raggiunta in uno spazio ritagliato dal mondo, come in “D’autunno“, dove viene presentato un vero e proprio idillio salentino capitato in una stagione che non lascia dubbi al caso: è l’unica in cui un uomo e una donna possono visitare uno dei luoghi caratteristici di questa terra assaporandone la natura e non il na-turismo; l’autore riesce sempre a trattare la materia, anche quando si tratti di storie andate a male, con una poesia e un pudore incredibili (anche quando si tratti di sesso), basti leggere come esempio il racconto intitolato Tatoo. La musica nella produzione di Vito Antonio Conte occupa un discorso a parte. Sempre presente fin dai primi racconti e poesie, in quest’ultimo lavoro diviene una presenza assoluta, il che è indice sia di una dose di autobiografismo maggiore rispetto al passato, sia di un invito a mescolare il più possibile gli ambiti, la scrittura e la musica, cosa che dovrebbe essere naturale dato che secondo l’autore (ma anche secondo chi scrive) il libro del mondo è scritto al 90% con i suoni e al restante 10% con le parole, che guarda caso sono anche esse suoni. L’effetto che si ottiene è di grande curiosità, il lettore è spinto a approfondire le diverse ‘citazioni sonore’, alcune delle quali consuete, altre vere e proprie chicche da intenditori che si trasformano in indizi per comprendere al meglio l’atmosfera che l’autore ha voluto rendere nella narrazione. La cifra del racconto, come già in “Frammenti di un interno”, Vito Antonio Conte l’aveva individuata, restituendoci un Salento fattuale, pragmatico, dove gli eventi si susseguono senza troppe smancerie, quasi al riparo dal mistero di cui si ammantano certi luoghi. In “Fuori i secondi” la ricerca compie un passo in avanti verso la sperimentazione, si passa dal monologo interiore al canto ritmato, alternando le voci dei personaggi ai tumulti di un pensiero sconnesso, quasi prelinguistico; momenti certo che non alterano la percezione dei racconti, essendo localizzati nei punti giusti. Un suo spazio merita anche la copertina, in tema, un quadro di Luigi Massari scelto appositamente dall’autore e riprodotto anche all’interno del volume. Un ultimo pensiero, a conclusione di queste riflessioni, mi viene ripensando al titolo. In questi giorni sto leggendo un bel romanzo scritto dal norvegese Johan Harstad, dal titolo “Che ne è stato di te, Buzz Aldrin?“. Per chi non lo sapesse Buzz Aldrin è il nome di uno dei tre componenti della missione Apollo 11, per intenderci quella che ha portato l’uomo sulla Luna nel 1969. Armstrong è il primo uomo a aver messo piede sulla Luna. Aldrin è stato il secondo. Dei secondi non ci si ricorda mai. “Figuriamoci dei terzi!” scommetto che direbbe uno dei protagonisti di un racconto di Vito Antonio Conte, magari di “Motel senza stelle”. Ecco che invece, per paradosso, la maggior parte dei protagonisti di “Fuori i secondi” sono proprio i ‘secondi’ in questione, quelli che arrivano dopo, quelli che non capiscono subito da che parte va il mondo, e allora ecco che il titolo scelto dall’autore acquista un nuovo significato, perché se il ring in questione diventa la scena del mondo, una volta alzato il sipario, da dietro le quinte, siamo spinti con forza irresistibile da una voce che ci obbliga a calcare il palcoscenico, prendendo la parte che ci è stata assegnata. Quella voce grida proprio così: “Fuori i secondi”!

Fulvio Abbate. Un ricordo di Dario Bellezza


Mi ha colpito molto, navigando sul sito di Fulvio Abbate, Teledurruti (una televisione monolocale), questo ricordo del poeta Dario Bellezza.

“Mi rimangono le dediche sui libri, A Fulvio, da Dario suo, l’ho molto apprezzato benché fosse omosessuale lo avevo portato a cena a casa di mia madre, era il 1976, eravamo a Mondello, fu l’unico anno in cui prendemmo in affitto una casa, lì al mare, il cielo era alto, azzurro, sembrava che tutto dovesse cominciare, la vita si mostrava come uno scivolo, come il taboga che ti porta dalla roccia al mare, Fulvio Abbate, Teledurruti, in ricordo di Dario Bellezza, qui al Cimitero degli Inglesi di Roma”

Questo è il pezzo prossimo che faccio. È la storia degli ultimi cinquantanni italiani raccontati attraverso gli amori e gli umori di una donna che si chiama Aida. Rino Gaetano


“Il terrorismo”, di Antonella Colonna Vilasi – Tour di presentazione


Il 10 febbraio ed il 5 marzo il libro sarà presentato in Campania, rispettivamente a Salerno e a Napoli, mentre il 27 febbraio sarà la volta della Calabria con un primo appuntamento a Catanzaro

Continua il tour de “Il terrorismo”, un libro che ripercorre il fenomeno degli anni di piombo con rinnovata ed equa attenzione. Il testo si articola in tre sezioni. Si parte dalle stragi di Piazza Fontana e della Stazione di Bologna, passando attraverso un’accurata ricostruzione dei diversi movimenti e relative sigle eversive, per concludere col Golpe Borghese. Quello che si snoda è un fruibile, accurato resoconto che attinge a sentenze, articoli, interviste, nonché testimonianze a tutto campo. La prossima presentazione toccherà la Campania alla vigilia del già annunciato incontro di Roma dell’11 febbraio. A Salerno, col patrocinio dell’Università, l’appuntamento è previsto per il 10 febbraio alle ore 18:00, presso la libreria Feltrinelli (Corso Vittorio Emanuele I, 230). Dopo il recente convegno di Milano, con Guido Salvini, GIP presso il Tribunale di Milano, Gianni Cervetti, ex membro della Segreteria del PCI, Vincenzo Fragalà, ex componente della Commissione Stragi, e Gianluigi Nuzzi, giornalista di Libero, per la data di Salerno sono previsti, tra gli altri, interventi di Giuliano Minichiello e Carlo Chirico (Università di Salerno) e di Franco Roberti (Procuratore della Repubblica di Salerno). Questo libro evidenzia anni in cui la politica dei blocchi consolidati con la guerra fredda condizionava, di fatto, sovranità nazionali e questioni interne. Puntuali vengono riportati, all’interno del testo, riferimenti internazionali, nondimeno sono altrettanto curati quegli aspetti regionali che caratterizzarono il fenomeno, prestando attenzione alle plurime valenze politiche che, a vario titolo, si accomunarono negli intenti di lotta armata. A Napoli l’appuntamento previsto è per il 5 marzo alle ore 18:00, presso la libreria Guida Port’alba (Via di Port’alba, 19), mentre in Calabria la scrittrice presenterà per la prima volta il suo libro a Catanzaro il 27 febbraio alle ore 18:30, presso la libreria Caffé Letterario (Via Menniti Ipppolito 5/7). Qui interverranno Francesco Bruno, criminologo, Mario Caliguri, direttore Master Intelligence Università della Calabria, e Giuliano Ricca, del Centro Studi Intelligence dell’Università della Calabria. Prevista un’ulteriore data da definire anche a Cosenza.
Il 18 marzo, infine, è stato fissato un nuovo incontro a Roma alle ore 18:00, presso Melbookstore (Via Nazionale, 252) dove seguirà un aperitivo.

Calpestare l’oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana


Nei prossimi giorni sarà diffusa attraverso il web l’antologia “Calpestare l’oblio. Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana” con cui si conclude questa prima operazione di rivolta poetica contro l’oblio nazionale.

Gli autori di “Calpestare l’oblio” sono: Francesco Accattoli, Annelisa Addolorato, Nadia Agustoni, Fabiano Alborghetti, Augusto Amabili, Viola Amarelli, Antonella Anedda, Gian Maria Annovi, Danni Antonello, Luca Ariano, Roberto Bacchetta, Martino Baldi, Nanni Balestrini, Maria Carla Baroni, Vittoria Bartolucci, Alberto Bellocchio, Luca Benassi, Alberto Bertoni, Gabriella Bianchi, Marco Bini, Brunella Bruschi, Franco Buffoni, Michele Caccamo, Maria Grazia Calandrone, Carlo Carabba, Nadia Cavalera, Enrico Cerquiglini, Antonino Contiliano, Beppe Costa, Andrea Cramarossa, Walter Cremonte, Maurizio Cucchi, Gianluca D’Andrea, Roberto Dall’Olio, Gianni D’Elia, Daniele De Angelis, Francesco De Girolamo, Vera Lùcia De Oliveira, Eugenio De Signoribus, Nino De Vita, Luigi Di Ruscio, Marco Di Salvatore, Alba Donati, Stefano Donno, Fabrizio Falconi, Matteo Fantuzzi, Anna Maria Farabbi, Angelo Ferrante, Loris Ferri, Fabio Franzin, Tiziano Fratus, Andrea Garbin, Davide Gariti, Massimo Gezzi, Maria Elisa Giocondo, Marco Giovenale, Mariangela Guatteri, Raimondo Iemma, Andrea Inglese, Giulia Laurenzi, Maria Lenti, Bianca Madeccia, Maria Grazia Maiorino, Francesca Mannocchi, Giulio Marzaioli, Emiliano Michelini, Guido Monti, Silvia Monti, Davide Morelli, Renata Morresi, Giovanni Nadiani, Davide Nota, Opiemme (laboratorio), Fabio Orecchini, Claudio Orlandi, Natalia Paci, Adriano Padua, Susanna Parigi, Fabio Giovanni Pasquarella, Giovanni Peli, Enrico Piergallini, Antonio Porta, Alessandro Raveggi, Rossella Renzi, Roberto Roversi, Lina Salvi, Stefano Sanchini, Flavio Santi, Lucilio Santoni, Giuliano Scabia, Francesco Scarabicchi, Alessandro Seri, Marco Simonelli, Enrico Maria Simoniello, Giancarlo Sissa, Luigi Socci, Alfredo Sorani, Pietro Spataro, Roberta Tarquini, Rossella Tempesta, Enrico Testa, Fabio Teti, Emiliano Tolve, Adam Vaccaro, Antonella Ventura, Lello Voce, Matteo Zattoni

L’e-book conterrà una prefazione dello storico Luigi-Alberto Sanchi e una breve premessa di Davide Nota alla nuova versione.

L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica


Alberto Giacometti, L'Homme Qui Marche

L’opera di Alberto Giacometti che vedete in fotografia, “L’Homme Qui Marche” (L’uomo che cammina, 1961) è stata battuta all’asta da Sotheby’s per 74,4 millioni di euro. Il prezzo più alto mai raggiunto da un’opera d’arte. Qui potete ammirarla senza spendere un soldo.