In libreria. “Vizio di forma” di Thomas Pynchon. Primi giudizi e recensione express.


Cari Lettori di Musicaos.it,
come promesso qualche giorno fa ecco il booktrailer con i sottotitoli in italiano di “Vizio di forma” di Thomas Pynchon, appena approdato in libreria e accompagnato dai primi giudizi critici di merito. Approfittiamo per lanciare un article contest express, inviateci la vostra recensione di “Vizio di forma”, di Thomas Pynchon, per l’occasione pubblicheremo pynchonianamente la migliore, la peggiore e anche la più così così. Buona visione!

Thomas Pynchon a settantadue anni si è rotto le scatole della sua esoterica reclusione ed è sceso tra noi mortali per ricordarci quant’erano divertenti gli anni dei fricchettoni, dei surfer e dei detective strafatti. Grazie, maestro [Niccolò Ammaniti]

Una lezione di mimetismo letterario sorprendente, acrobatica e a tratti spassosa [Gianrico Carofiglio]

Divertente, schizzato, politicamente aggressivo. Con questo noir Pynchon manda al diavolo il galateo letterario e rievocando con nostalgico trasporto l’America di ieri mette al muro quella di oggi. [Giancarlo De Cataldo]

Eccovi le peripezie dell’investigatore privato Doc Sportello durante la sua missione quotidiana tra hippy e surfisti, diretta all’assunzione di sostanze proibite, all’abbordaggio di appetitose forme di vita in bikini, fino ad arrivare là, nel più colorato dei noir, dove nessun romanzo è mai giunto prima. [Tommaso Pincio]

La sua è una rabbia politica, tagliente. In un modo meraviglioso che ricorda quello degli adolescenti, lui continua a voler combattere gli uomini che detengono il potere: il governo, la polizia e Ronald Reagan. [Aravind Adiga]

Vizio di forma, Thomas Pynchon, Einaudi, Stile Libero Big, 2011, p. 470, 20€, ISBN: 9788806202828

“I DIALOGHI DEL RISVEGLIO Lentobus n.°2” di Elisabetta Liguori


Elisabetta Liguori
I DIALOGHI DEL RISVEGLIO
Lentobus n.°2

– Reality, sempre reality. Insomma, mi stai dicendo: nessuna commedia, neppure per una sera, niente. In questo letto, soprattutto. E ti pareva? Ma dico io: se è vero come è vero, che tu hai una passione bruciante; oh, se brucia adesso, brucia, brucia; ok brucia, ma perché mai questa passione deve entrare in cucina come un tornado, in frigorifero svuotandolo, e pure in camera da letto deve entrare? –
– In che senso scusa? Che, per caso, devo fingere, per farti vivere più serenamente questo passaggio? Se non mi sento, non mi sento e stop. –
– Maaaagaaaari, e perché non lo fai? Fingi un po’, che ne dici di un po’ di fine recitazione per me, please. Un teatrino tradizionale, canti popolari e profumo d’arrosto.–
– La smetti? –
– Mi chiedo perché proprio tu; con tutta la gente che si intende di lettere, perché tu. Ti sei chiesta perché proprio tu? –
– No, non mi faccio di queste domande. Smettila.-
– La smetto. Allora leggi e zitta. Non ne parliamo più. –
– Toccami, non restare così lontano, però; se mi tocchi, poco, va bene. Altrimenti non riesco ad addormentarmi. –
– Guarda, non è il fatto di toccarsi o meno. Non è affatto questo.–
– Piano quando ti giri, però, che mi tiri i capelli. …ehi, piano. Non ti agitare tanto!–
– Sì, sto fermo, sto fermo; era per farti capire. Non è che non ci si sopporta; se pure uno magari ci pensa…, ma comunque no, non credo, non è quello il punto; è che ci si adegua sempre con un certo imbarazzo a queste cose. Mi permetti di essere, se non incazzato come un toro, quantomeno imbarazzato; almeno questo? E’ la solita storia dei rifiuti, dell’abbandono. Se dici di no, mi devi consentire un po’ di imbarazzo. Devo gestirlo questo rifiuto periodico. Non sono mica noccioline, bimba. Se io torno dopo una settimana, dico: dopo una settimana, non un giorno, ma una settimana intera, avrei voglia. Se tu mi dici di no, io lo noto, dopo una settimana lo noto. Scusami, ma lo noto. La tua passione bruciante non sono io. Bene, ne prendo atto. Ma non pensare che non mi faccia effetto.–
– Perché tu ti confronti continuamente o con altri o con te stesso. –
– Normale. –
– No, perché normale? Uno può anche accettare il corso delle cose, e basta, senza dirsi prima era diverso, o per altri è diverso. –
– Lo fanno tutti. Di confrontarsi, intendo. E i ricordi allora? –
– Che ne sai tu di cosa fanno gli altri? –
– Lo so, lo so. Fidati che lo so. –
– Non servirti dei nostri ricordi per dire che stiamo male adesso. –
– A che servono allora i ricordi? Dimmi a che servono; forza dai, dimmi. Perché ricordiamo? A che serve la memoria? Per scriverci delle storie, solo per quello? Scusa: i tuoi libri; e questa tua ultimissima passione ipnotica, a che servono? –
– Ah, vorrei tanto vedere te! Mi piacerebbe essere al tuo posto e fare da spettatore. –
– Bugiarda. –
– Perché? –
– Non puoi fare a meno del tuo palcoscenico. Bugiarda. –
– Come sarebbe a dire? –
– Fai una riflessione. Donna bugiardissima!-
– Filosofia a mezzanotte? Ti prego. Io avevo voglia di leggere.-
– E perché? –
– Come perché? –
– Io parlo e tu ascolti: non è lo stesso? Invece di leggere, dico, mi ascolti. –
– E che dici? –
– E tu, invece, che cosa leggi? Leggi quelli che parlano di noi, e allora che differenza c’è? –
– Io non leggo solo quella letteratura. Leggo di tutto.–
– A me così pare, per la verità; leggi solo di realtà in cui ti specchi e autori nuovissimi, profeti della narrativa moderna, minimalisti ma splendidamente illuminati, anzi ispirati direttamente da Dio, che curiosamente sembrano vivere proprio nell’appartamento accanto al nostro e sapere tutto di noi, manco avessimo le pareti di carta velina. Il romanzo del 2000. –
– E’ la narrativa dei giorni nostri. C’è poco da ridere. Ci sono autori contemporanei semplicemente magnifici. –
– E non hanno altro di cui scrivere, se non di noi? E le ideologie? Invece no, solo scrittura soggettiva. E poi, i trentacinquenni per forza. E allora i cinquantenni, e i novantenni? Hai visto quanti nonni arzilli ci sono in giro, alla faccia vostra? E quelli di dieci anni poi, chi parla di quelli? Ma va! Allora invece di leggere, viviamo. Tanto qualcuno, prima o poi, ci salverà dall’oblio. Diamogli il pane a sti quattro scribacchini. Vieni qui. –
– Che palle le ideologie! Guarda che non è facile. Se non leggiamo noi, chi legge? Gli scrittori e le ideologie. Oh, sorte! Non credere: è un mondo ostile. –
– Quale mondo? –
– Quello della letteratura, della scrittura in generale. –
– Che ti frega, tanto non è il tuo mondo. –
– Quale è il mio mondo allora? –
– Questo! –
– Questo quale, scusa, queste lenzuola, questi due cuscini? –
– Anche, cara mia. Anche. Però mi sa tanto che sta diventando ostile pure questo, di mondo. Dipende da come si mettono le cose. Ehi, cara mia: stai attenta. Ma tu guarda di quali cose deve parlare un povero cristo la sera a letto. Di Mondi Alieni. Da soli ve la cantate, da soli ve la suonate, voi intellettuali. Fate, disfate, rifate. L’intellettuale si ripiega su sé stesso, comunica solo sé stesso ed il suo corpo. Dai capelli all’ano. Quello che vuoi, ma intanto la realtà da vivere, per gli altri, per tutti, resta quella che è. –
– Tu dici? –
– Dico, dico. Tendenze, guarda, tendenze. –
– Sai come mi sento io? –
– Eccola. Sento che sta partendo la similitudine e quando parte niente la può fermare. Se proprio ti scappa…vai. –
– Mi sento come la mia borsa sfatta: quando ci metto le mani dentro, tocco di tutto, ma non ne viene fuori mai niente di utile. –
– Bellissima! –
– Non mi convince mica questa cosa qui. Soprattutto stasera che sono nera. Sembra tutto inutile. Artificiale. Ma mi ha preso lo stesso. E perché mi ha preso? Sono sempre stata sicura di essere giusto un avvocato e adesso? Lo sai anche tu, no? Era facile: un avvocato; d’accordo: il problema dei soldi, ma comunque lo studio, i fascicoli, i diritti di cancelleria, le cose solite e concrete. E adesso? C’è sta fissa nuova dello scrivere. All’improvviso diventa tutto possibile e immenso. Ma alla fine poi, di che parliamo, veramente? –
– Cercate di non farvi cancellare. –
– Un’agonia! –
– Appunto; lasciamolo lì fuori questo net work agonizzante di libri ancora da scrivere o già scritti e dei loro autori; lasciamoli fuori nella notte buia e fredda e vieni qui. –
– La nuova narrativa va sostenuta; bisogna crederci. Non sarai tu con quell’arnese lì, a salvare il mondo dall’oblio; gli scrittori possono farlo, invece. Da sempre, di generazione in generazione, sono gli scrittori a cantare il tempo e renderlo vicino, uguale, accessibile, immortale, mitologico. Anche parlando di se stessi. Quando è necessario, è necessario. –
– E chi lo dice? –
– Io. –
– Beh, allora…non si discute. Quindi sai già come salvare il mondo; non hai alcun problema tu! –
– Non è serata. E’ chiaro. Buonanotte. –
– Capissi poi perché. Per via di questo libro che vuoi scrivere? E’ per quello, lo so. Allora scrivi, siediti e scrivi il libro e poi si vedrà. –
– Ma come si diventa scrittori veramente? –
– Che razza di domanda è; sei tu l’esperta. Che fai: consumi solo carta? Stai sempre a rimuginare, a rielaborare, pure il flusso del mio muco nasale. Che guerra è? –
– No, non basta; devo crescere, lavorarci. Non basta il tempo, mai; non basta quello che vedo. –
– La commedia umana, quelle cose lì; ricreare quello che c’è già? E’ questo quello che fate? –
– Eh, sì, più o meno. Ci vuole tempo per capire. Mi serve il tempo. Anche quello utilizzato da altri uomini. Io non ho mai tempo per me, veramente. Siamo sempre al servizio di qualcos’altro. Invece. –
– Ma se non fai altro? Non si può stare seduti in pizzeria con te. Neppure a comprare il pane si può andare. Sembri autistica! Ti blocchi sulla vita altrui. Rubi, non fai che rubare. Insieme facciamo una figuraccia dopo l’altra: due vecchi guardoni siamo diventati. Stai sempre a guardare: muta, fissi le persone che ti sono sedute accanto. Un film. Sempre a lavoro. Stai sempre a catalogare tutto il narrabile, come se dipendesse da te la conoscenza collettiva. Poi la vita, quella vera, se ne va a puttane. –
– Sono paralizzata? –
– Non vivi più nel pantano. Ecco: resti fuori. E, nello stesso tempo, sei ossessionata dal pantano stesso. –
– No. Sono paralizzata da troppe idee, invece. Oddiomio, è finita: la paralisi. Non scriverò mai più un rigo che abbia senso, che serva a qualcosa. Né per me, né per nessuno. Niente. Pure una famiglia ho distrutto; e adesso che faccio? Ho disperso il tempo che avevo. Quel poco che c’era, è già perso. Senza risultato, senza nessuno che ascolti. –
– Sarà. A me, la storia del tempo, mi sembra una scusa buona per tutte le occasioni. –
– Pensi questo? Pensi che non sono più in grado di scegliere tra Cappuccetto Rosso e La Piccola Fiammiferaia, da raccontare a Giulia. La paralisi. Ecco come comincia. I libri non mi cambiano più, i personaggi si confondono, non mi parlano. Tanto desiderio d’arte ed alla fine descrivo solo personaggi che sembrano Sandra e Raimondo. Ci sono troppe cose già dette nell’aria, troppa euforia o troppa delusione. Troppe favole, troppe; troppe le possibilità. Inafferrabili. –
– Sai quel è il tuo problema? Il problema è che tu credi di avere talento. –
– Come talento? –
– Sì, è così, ammettilo: qualcuno ti ha convinta di avere talento. –
– Chi? –
– Come si chiama quello? –
– Chi? Rino? –
– Rino è il primo; dopo viene tutto il gruppo di scrittori, poeti, affabulatori; gli antipatici per forza, sciamani della narrativa, guru, saltimbanchi, suorine, confidenti, gestori di librerie, giornalai. Il tuo Network dell’ultimo semestre. Sono stati loro. Ma dico io: prima scrivi qualcosa e dopo, se è il caso, si pensa al network. Semmai. –
– Ma di quale talento?-
– Avevano un progetto diabolico, quelli. Beh, senti una cosa, secondo me il talento non esiste. –
– Lo so anch’io, non sono così cretina. E’ per questo che cerco il tempo. –
– No, non lo sai. –
– Lo so, ti dico. –
– Dici così, ma non ne sei convinta. Secondo me questo benedetto talento è una specie di ornamento estetico. Sì, un cappellino con un fiore sulla testa. Una cosa così. Forse. –
– Non esiste? Bene, quindi? Che si fa? Si rinuncia? –
– Fai quello che sai fare, ma non mettermi in mezzo, per favore; né me, né Giulia, che è carne della tua carne, ma carne appunto; non uno dei tuoi personaggi di carta. Non divorarci così. –
– No, aspetta; ho capito adesso; ecco il punto. Dunque? Adesso, caro, ti fermi perché dobbiamo approfondire. –
– Ho sonno. Io adesso dormo. Niente sesso, quindi dormo. –
– Dai, per favore! Fai la persona seria una volta. –
– Cosa? –
– Dimmi bene. Dell’oggetto della mia scrittura; dimmi di quello. –
– Ma che vuoi? –
– Avvicinati e dimmi. Se vuoi spengo la luce, ma poi continuiamo a parlare però.-
– Se spegni, mi viene il sonno. –
– Non spengo. Allora? –
– Io volevo dire soltanto che forse stai esagerando. Non ti eccitare troppo. Tutto qui. Un fatto di misura. Pensaci, se vuoi. –
– Che la passione si misura? E da quando? E’ ben strano detto da te. Ti devo ricordare qualcosa? –
– Ma quale passione, qui si tratta di un progetto; creare richiede sempre un progetto. Mica sono un fesso. Un mega progetto, anzi. –
– Vabbe, dai! –
– E cosa c’entrano le mie scelte del passato, tutte le cretinerie che ho fatto anch’io? Mica sei l’unica tu, lo so bene. Si parla di scrittura, non di vita. –
– Quale è la differenza? Se c’è differenza. –
– Se permetti, sì; se permetti c’è una grande, un’enorme differenza. Che fai la finta tonta. Non puoi rinchiuderti in una tana, con una sedia ed un tavolo, diciotto ore su ventiquattro, a sbirciare quello che fanno gli altri. Ché sudano come porci, si dimenano, gli altri. Facile per te. Stai lì, ore con gli occhi larghi, senza neppure sbattere le ciglia, per poi mettere tutto sulla carta a modo tuo, secondo i tuoi gusti, la tua intellettualizzazione. Questo non è vivere, la tua è pigra manipolazione. Troppo facile! –
– Ma la letteratura si nutre di vita. La verosimiglianza, per esempio. Non è colpa mia, se le cose stanno così. –
– No, non puoi farlo. –
– Ho bisogno degli altri. –
– Sei diventata insaziabile però. Ci hai infilato in tutti i tuoi raccontarelli. A noi. Alla tua famiglia. Eh! Carne da cannone. E dai! –
– E che avrò rivelato mai! Alla fine è una forma d’immortalità anche quella. –
– Se fosse buona letteratura almeno…-
– Quindi fa schifo. Dimmelo, se lo pensi. Fa schifo? –
– Guarda: io non lo so, non sono un tecnico. Chiedilo al branco. –
– Quale branco? –
– Gli intellettuali sono cani che vivono in branco. E’ sempre stato così. Poche femmine però. Oggi, davvero poche donne. –
– Che peccato… vero? –
– Sì, infatti. –
– E chissà perché, eh? –
– Presentami una scrittrice, se la trovi in zona! –
– Ma ti piace o no quello che scrivo? Leggi ogni parola di quello che scrivo. Che significa? E’ leggibile? Sì o no? –
– Controllo. –
– Ma ti piglia quello che leggi? Sì o no? –
– Diciamo che lo riconosco. Quello che scrivi mi appartiene. E per forza! –
– Uhm. Che razza di uomo inutile sei! –
– Ma che ne so. Talento o no; vivere o scrivere, fai quello che ti pare. Di certo c’è solo che esiste una buona letteratura ed una cattiva letteratura. E dei criteri per distinguere l’una dall’altra. Per forza ci devono essere dei criteri cui appellarsi. Che non è mica tutto un caso. O forse tu credi piuttosto che sia una lotteria? –
– Bella scoperta. Geniale sei. Ah, se non fosse così tardi. Ma invece è tardi. Credi tu. Fai semplice a dire buona, tu. Passami un fazzolettino; lì sul tuo comodino. –
– Tieni. Sì. Una letteratura buona, vuoi un esempio: quella che restituisce la molteplicità. –
– Cioè? –
– Cioè, cioè: dateci sta benedetta vita, va bene, se si deve, mi sacrifico, va bene, ma non marionette. Vite vere. Dateci il senso. Non solo i cazzi miei, a me già ben noti. Non per forza, sempre, soltanto, gli stessi cazzi miei! Siete artisti? Allora create! E che cazzo! –
– Alla fine si torna…-
– Non sempre il vicino di casa, e che palle, dai! Molteplicità, dico io. Poi non ci lamentiamo che nessuno legge libri. Per favore, siamo seri. –
– Adesso è colpa di chi scrive? –
– Hai visto come sono rassegnati? Tutti. Aldo ieri sera diceva, senza tremito nella voce, che non c’è differenza alcuna tra Berlusconi e D’Alema, tra potere e potere. Ti rendi conto? E io a dire, ma non è possibile, riflettete, vi sbagliate, siete vittime dello sconforto. Convinto invece l’Aldone nostro! E tutti gli altri con lui, con i tranci di pizza fredda in mano, a dire sì, è vero, non c’è differenza. Come pecore tristi. Che siete voi: scrittori? Beh, dategli la differenza, almeno; lo stupore, che gli si rivolti lo stomaco mentre mangiano la loro pizza. Dategli la scossa. –
– Aldo, diceva così? Non è possibile. –
– Giuro. Lui che ha mandato i figli alla Montessori. Aldone l’abbiamo perduto, ce lo siamo giocati. Non può, né vuole cambiare più nulla, lui. E non era neppure così triste, a pensarci meglio!-
– Dunque, sintesi: anche senza alcun talento, anche senza cappellini in testa, posso fare buona letteratura impegnandomi a raccontare vita vera e molteplice, possibilmente non la tua, per stupire lettori a iosa, comatosi e disillusi. Tu sì che sai come farmi stare serena. La scossa? E non devo pure scoprire il farmaco che sconfigga definitivamente il cancro??? Ma che boiate, facilissime boiate da barbiere. –
– Mica tanto. Magari viene fuori a sorpresa un’interconnessione tra letteratura e medicina; magari, che ne puoi sapere tu. Magari si scopre che c’è sempre stato un collegamento diretto tra l’elevarsi del livello di colesterolo nel sangue e la produzione di narrativa. Tra il leggere e lo scrivere buoni libri e la salute nazionale. Come fai ad escluderlo. –
– E se facessi tutto solo per me stessa, invece? Io scrivo per me e basta. E’ chiaro, non me ne frega niente. Per me e basta. Chi legge, legge. Conto solo io. Solo io. –
– Solo la tua salute? –
– Sì. –
– Come vuoi. Si diceva per dire, comunque. Stai calma. Allora: parti domani? –
– Domani? –
– Vai a visitare il mondo che devi raccontare; almeno spingiti fino al condominio giallo, quello alla fine della strada. Non dico altro. Fallo per te stessa, ma fallo altrove. –
– Ti ricordi quello che mi voleva pubblicare due anni fa? –
– Chi se lo scorda. Quello che curava una strana rivista tutta rossa; orca l’oca, rossa rossissima, con stampate in copertina quelle figure inquietanti con la testa mozzata? Quello? Ma come si chiamava? L’uomo che voleva pubblicare quel tuo lungo monologo su un tizio che aveva i baffi come me, la mia stessa auto, che faceva il mio stesso mestiere, che aveva sette anni meno di me ed era senza figli, proprio come me sette anni fa circa, e che, alla fine, si suicidava. Storia mozzafiato. Avvincente. Ah, sì! Veramente. Chinozzi si chiamava. Non aspettava altro da decenni quell’uomo. Immagino.–
– Sì, Chinozzi. –
– Chinozzi. –
– Era un monologo sul senso del ricordo. Sulla comprensione del tempo. Non era così male. Forse non te lo ricordi bene. Era una cosa seria. E’ stato importante incontrare Chinozzi. –
– Che culo pazzesco! –
– Certo! Gli incontri, in un mestiere come questo, sono importanti; stimolanti di certo. Non negare. È così pure nelle università, mi pare. Anzi peggio. Mica è sufficiente scrivere una cosa. Non ci si ferma mai a quello. Ci vuole il gruppo. Hai ragione tu. In passato erano i gruppi di intellettuali a fare la differenza. Anche il singolo adesso, però, forse…non so. –
– Mi stavi dissanguando. Tu e pure Chinozzi. –
– Era una ricerca. In qualche modo. Collettiva. –
– Allora partiamo. Pure noi, ricerchiamo. –
– Ma non ti piace l’uomo che descrivo? E’ questo? Non ti piace affatto. Ti fa paura la verità? Ho capito. Vabbè, basta dormiamo. Tanto. L’universo è pieno di bellezza e orrore. Alla fin fine, mi sembra troppo per me, che sono agli inizi. La ripetizione di un uomo solo è più facile, per ora. –
– Non credo affatto che sia più facile. Un uomo solo non è più facile. –
– Non so. –
– Racconta, per esempio, il tassista di Napoli che una settimana fa ci portava in giro con la nipotina di tre anni sul sedile davanti. Il nonno, i nipoti, i figli, il lavoro. Anche la colonia di marocchini che abitano di fronte. Si può raccontare. Quanti saranno: venti, trenta, quaranta persone in tutto. Tu sei in grado di quantificare? –
– Tanti in quella casa. Sembra un formicaio. –
– No. Appunto. Non è più facile il tassista, secondo me. –
– E ti piglia il tassista? –
– Mi piace; giuro che mi piace; pure troppo mi piace, l’uomo che descrivi tu. –
– Non sei tu, comunque, quell’uomo. –
– Come vuoi, non sono io. Menomale. E chi è allora? –
– Chi è? Un tipo. Uno come un altro. Uno dei tanti. –
– Scusa, sei tu l’autrice. Ohi, è tardissimo. Domani si lavora. –
– Sì. Però è un guaio. Si fa sempre tardi. Sul più bello. Hai visto? Il tempo per trasformare le cose non è mai abbastanza. –
– Studia i classici. Quello in tv lo consigliava ieri. Infatti. Sembrava sensato. Così guadagni tempo, secondo me. –
– E se non ne sarò mai capace? –
– Fa niente. –
– Niente? –
– Potrebbe essere al più un’insperata fortuna. Ti prometto: non dico nulla di tutte queste idee, né a tuo padre, né alla tua insegnate di lettere del liceo. Stai sicura. Non ti tradisco! –
– Ci conto. –
– Almeno questo! –
– Basta. Hai ragione: se voglio il tempo, ho bisogno di Proust. –
– Non l’avevi già letto? –
– Non ha fermentato, evidentemente. –
– Sei ossessionata, lo dicevo. –
– No, ho trentasette anni. L’età del mezzo. La più pericolosa, forse. –
– Anch’io. Embè? Non mi pare più pericolosa di altre, ad onor del vero. –
– Tu dici? –
– E poi non capisco, sono onesto, non capisco perché devi proprio ricorrere a me, per far carriera. –
– Perché la coppia è un mezzo di trasporto. –
– Trasporto? Tesi alquanto ardita. –
– Trasporto, trasporto. –
– Sì. –
– E poi non mi dispiacerebbe neppure far ridere. Un’altra strada possibile. Mi sentirei necessaria se facessi ridere. Tu, per esempio, sei ironico nelle tue cose, così, se parlo di te, divento inevitabilmente ironica anch’io. La mia ispirazione è simbiotica, parassitaria, che ci posso fare? Pesco in quello che amo, che mi è familiare. Faccio così male?–
– Io, Giulia, Anna Paola pure, la tua amica, quella che ti conosce da una vita, e pure suo marito, che ti conosce per narrazione, ridiamo tutti come pazzi. Fatto caso? No? guarda, senza dubbio: tu fai ridere. –
– Quindi non faccio così male? –
– Fatti un bel viaggio, senti a me. Non ti impigrire. –
– Dove? –
– Dove vuoi, purché non in uno specchio. –
– Se bastasse…dico io. –
– A te non basta mai nulla, se è per questo. –
– Spegni. E vieni qui. Qui,…no, qui. Se vuoi.–
– Che ti serva un’idea nuova? –
– O magari un personaggio. –
– Ah, non ti ho detto. Ho comprato un video gioco per playstation nuovo nuovo: trentanove euro. –
– Dio santo! Sei pazzo. Uhm… Hai messo la sveglia per domani? Ehi, l’hai messa? –
– Originale. –
– Mazzate? –
– Solo mazzate. Tecniche precise per sgozzare un uomo da dietro o mentre dorme. Tenebre. Assoluto, assoluto e bellissimo. Hai presente lo strazio di Rambo? Molto interessante secondo me. –
– Per uomini solitari. –
– Dormi serena. Dirigo altrove l’istinto, come posso. Verso altre ipotesi di letteratura postmoderna. –
– Giulia lo sa? –
– No. Nanna ora. Non glielo dire tu. Vedremo fra qualche anno. –
– No. Non dico niente. –
– Raccontare, raccontare… –
– Abbiamo bisogno del racconto, non si discute. –
– Meglio, non si discute. –
– Sonno? –
– Come siamo finiti a parlare di letteratura? Anche stasera? –
– Non mi ricordo più. –
– Boh! –
– …notte. –
– Comunque no. Proust, no, mia cara, non lo si può sottovalutare. –
– Notte. –

“I DIALOGHI DEL RISVEGLIO. Lentobus n.°2” è stato pubblicato su Musicaos.it, Anno 2, Numero 15, Marzo 2005

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