Fabrica, L’inferno di Dante – una storia naturale / Questo lo regalo a chi guarda dall’altra parte quando dici che Dante è una delle tue letture preferite
Richard Ford, Lo stato delle cose / Questo lo regalo a chi mi dice che vorrebbe andare vivere il sogno americano e poi guarda le trasmissioni dedicate alla raccolta dei coupon
William T. Vollmann, Europe Central / Questo lo regalo agli scrittori che mi fermano dicendo che hanno iniziato a scrivere qualcosa di complesso, articolato, un vero e proprio ‘affresco’
Mike Rapport, 1848. L’anno della rivoluzione / Questo lo regalo a chi ignora cosa sia accaduto, poco meno di due secoli fa, e cerca di capirci qualcosa
Samuel Beckett, Trilogia / Questo lo regalo perché se provate ad acquistarlo non lo trovate facilmente in giro, praticamente in nessun dove
Sandro Veronesi, XY / Questo lo regalo a chi dice che sarebbe bello lasciare la città e andare a vivere in un paesino, magari in montagna, come si faceva una volta…sì…ma quale volta?
Antonio Moresco, Canti del caos – seconda parte / Questo lo regalo a chi si sente un po’ radical chic e non vede l’ora che venga il prossimo
Jonathan Franzen, Le correzioni / Questo potrei anche non regalarlo, quando incontro qualcuno capisco che lo hanno letto tutti
Thomas Bernhard, Il gelo / Questo lo regalo a chi crede che i confini interni della mente siano sondabili
Edoardo Sanguineti, Mikrokosmos / Questo lo regalo ai poeti che si sentono degli sperimentatori
Apuleio, L’asino d’oro / Questo lo regalo a chi abbia la curiosità di conoscere uno dei primi libri che ho letto entrando nella coscienza, alle elementari
Maria Corti, Le pietre verbali / Questo lo regalo a chi non conosce questa storia così cruda e essenziale
Mario Soldati, L’attore / Questo lo regalo a chi vuol vedere come eravamo fichi, in Italia, prima di demolirla
Louis-Ferdinand Céline, Trilogia del Nord / Questo lo regalo a chi desidera leggere una storia vera
Howard Jacobson, Kalooki nights / Questo lo regalo ai noiosi, barbosi, criticoni e parrucconi dell’età moderna
Sudan Neiman, In cielo come in terra / Questo lo regalo a chi vuole un mondo di bene, ma non ha mai approfondito la storia filosofica del male
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo / Questo non lo regalerei a nessuno, specie se scrive, perché varrebbe a dire ‘smetti pure’
Gaetano Cappelli, Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Aglianico nel mondo / Questo lo regalo insieme a una bottiglia di Primitivo, suggerendo di berli entrambi insieme
Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra / Questo lo regalo a chi sta da questa parte mentre dall’altra parte lanciano i missili
Meridione d’inchiostro / Questo lo regalo a chi costruisce immagini
Pier Paolo Pasolini, Petrolio / Questo lo regalo a chi non ha capito
Paul Auster, Leviatano / Questo lo regalo a chi, mi sembra di capire, non ha apprezzato anche uno solo dei precedenti
Domenico Starnone, Il salto con le aste / Questo lo regalo a chi crede che la vita facile sia un gioco facile
Ian McEwan, Cani neri / Questo lo regalo perché per un po’ di tempo, dopo averlo letto, mi era passata la voglia di scrivere storie
Antonio Pascale, La manutenzione degli affetti / Questo lo regalo a chi vuol leggere un bel libro di racconti
Marco Montanaro, La passione / Questo lo regalo a chi, nelle file del pdl, si candiderà, soprattutto al sud, lasciateli perdere
Georges Perec, L’arte e la maniera di affrontare il proprio capo per chiedergli un aumento / Questo lo regalo a chi vuol farsi un’idea di cosa voglia dire ‘monologo’, aggiungendo, magari, ‘di fantascienza’
Cosimo Argentina, Cuore di cuoio / Questo lo regalo a chi vuol capire perché l’autore di questo libro, già da tempo, è uno dei migliori in circolazione
Enrico Micheli, Quando alla finestra si vedeva l’Eur e noi sognavamo la rivoluzione / Questo lo dedico a tutte le ragazze sedicenni, rivoluzionarie e alternative, della mia adolescenza, ora ne hanno quasi quaranta e trovano rivoluzionario il pin del cel, ma non lo hanno ancora letto
Chuck Palaniuk, Fight club / Questo lo regalo perché ci vuole
Pier Paolo Pasolini, Teorema / Questo lo regalo perché quando lo lessi capii che per fare un buon libro bisogna avere le visioni, e le idee chiare
Charles Baudelaire/Attilio Bertolucci, I fiori del male / Questo lo regalo perché è la traduzione dei Fiori a cui sono più affezionato
Aldous Huxley, Il mondo nuovo, Ritorno al mondo nuovo / Questo lo regalo perché anche se tecnicamente non è un libro di fantascienza si tratta pur sempre di uno dei primi libri che ho letto in inglese, il secondo era La guerra dei mondi di Wells
Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata / Questo lo regalo perché mi è piaciuto il film, quello sì
Italo Calvino, Lezioni americane / Questo lo regalo perché il mio tema della maturità l’ho svolto su una traccia presa da questo libro e perché la prima citazione del mio primo romanzo è presa da qui, e anche perché spero che chi cita la ‘leggerezza’ di Calvino, prima o poi finisca per leggerlo accorgendosi di citarlo alla cazzo
Adam Mansbach, La fine degli ebrei / Questo lo regalo perché è uno dei romanzi più ritmici, rapidi e densi che abbia letto, c’è musica in questo libro
Giuseppe Genna, Italia De Profundis / Questo lo regalo perché Genna è uno sguardo lucido su ciò che sta per accadere
Jennifer Egan, Il tempo è un bastardo / Questo lo regalo perché potrebbe interessarvi saperlo
John Barth, L’opera galleggiante / Questo lo regalo perché è la risposta alla difficoltà di costruire una storia a partire da un’idea così geniale che poteva scriverla soltalto lui
David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più / Questo lo regalo perché quando mi sono sposato grazie a lui ho eliminato a priori la possibilità di salire su una nave per festeggiare
Charles Dickens, Grandi speranze / Questo lo regalo perché penso che è stato bello crescere accompagnato dalla tristezza, malinconia e bravura di Charles
Friedrich Wilhelm Nietzsche, Così parlò Zarathustra / Questo lo regalo perché ce l’ho sempre a portata di mano
Salvatore Scibona, La fine / Questo lo regalo perché lo sto apprezzando in questi giorni e anche perché, dato il titolo, andava bene mettercelo a questo punto dell’elenco.
Buon Natale.
Ps. Il tizio del Calendario Maya fa la linguaccia, dovevate capirlo che era una presa in giro.
“Io osservavo, ascoltavo accantonavo per le ore quiete da passare in cucina, quando Selma mi avrebbe detto, come mi disse: – Raccontami di quel posto, ma cose vere, non bugie. Ma furono quasi tutte bugie le cose che dissi: perche’ era come se fossi stato in uno di quei castelli incantati, una volta fuori di la’, non si ricorda, tutto cio’ che rimane e’ l’eco spettrale di una meraviglia che non da’ tregua.”
(Truman Capote, “I cani abbaiano”)
A notte fonda, il ragazzo e’ di la’ a calcolare la distanza tra San Francisco e New York su una mappa elettronica. Sono circa duemila chilometri e lui dice che dobbiamo essere pronti a percorrerli da un momento all’altro.
New York puo’ ancora ferirlo ma San Francisco e’ un albore verde filtrato da una tenda, un neon che illumina l’interno della stanza in cui Kim Novak appare a James Stewart – con quel completo grigio, i capelli ossigenati e raccolti, le sopracciglia ben disegnate – ne La donna che visse due volte. Vertigo, nel titolo originale. Hitchcock, quel perfezionista.
Sua moglie era la sua editor piu’ attenta a quanto pare, dopo le proiezioni private per gli amici intimi e prima di ogni distribuzione, diceva la sua e tutti smettevano di ridere, di colpo. Fu la signora infatti – silenziosa al centro dell’entusiasmo generale – a far notare a suo marito che durante una sequenza chiave di Psyco, l’attrice deglutiva dopo essere stata uccisa.
Ha ragione Stephen King quando, nella prefazione a un suo libro sulla scrittura, puntualizza: Scrivere e’ umano, editare e’ divino. Credo sia per questo motivo che un’ironica mezzoinglese sforna-bestsellers ha dettato il suo ultimo romanzo a una segretaria scialba, confidando nei prodigi postumi del suo editor italiano.
(l’innocente dattilografa)
Non riesco a immaginare un piacere sprecato peggiore del dover dettare un romanzo. A costringerla, in quel caso, era un nervo della mano. Doveva raggirare l’ostacolo e aveva gia’ incassato l’anticipo.
Eravamo nel suo salotto londinese – tra orchidee bianche e riedizioni in tutte le lingue possibili dei suoi libri – la prima volta che l’ho ascoltata parlare del suo editor mentre – con lo stesso candore pratico di chi ti spiega per la prima volta come usare una lavatrice – consigliava l’asportazione delle ovaia per evitare inutili deconcentrazioni: “Hai ancora le ovaia, mia cara? Fattele togliere subito, sono solo una seccatura per gli scrittori.”
Ci credeva veramente? Non ha importanza. Si divertiva a recitare una parte, trovavo divertente il cinismo col quale si sventagliava con calma.
Poi mi disse di questo ragazzone che resta dietro le pagine degli altri pur avendo il merito di farle funzionare fino in fondo, olio anche per i meccanismi piu’ complessi.
Mi fa pensare alla doppiatrice italiana che per tutta la vita ha prestato la voce a Marilyn Monroe.
Si chiamava Rosetta Calavetta, la sua scia e’ una lunga traccia audio. Fu anche la voce della Novak, di Biancaneve e una lista piena zeppa di mitologia cinematografica.
Al suo arrivo nella sala di doppiaggio, ripeteva un rituale: indossava guanti bianchi e puliva le cuffie con l’alcol preso da una boccettina che si portava nella borsetta.
(Rosetta Calavetta)
Lo racconto’ l’attore Elio Pandolfi all’autrice televisiva Valeria Paniccia durante una visita nel cimitero monumentale di Roma, il Verano, dove la doppiatrice e’ sepolta. Una piccola fotografia in bianco e nero incornicia i tratti salienti del suo viso, minuto come un ninnolo incastrato in un fermacarte di vetro, del tipo che Colette collezionava.
Si e’ sempre detto e sentito che i doppiatori italiani sono i piu’ bravi del mondo, ci si fa caso quando muoiono e le loro voci vengono sostituite. Quando e’ morto Oreste Lionello, per esempio, il doppiatore storico di Woody Allen, il regista statunitense constato’: Con la sua voce mi ha reso un attore migliore.
A volte mi domando se non succeda la stessa cosa con i personaggi dei libri, a volte lo so, altre volte puo’ essere un rischio.
(Oreste Lionello)
Percio’, quando finisco di leggere un libro in cui la voce dello scrittore non doppia mai, nemmeno una volta, i suoi personaggi – lasciandoli liberi di essere mediocri e crudeli, provinciali e feroci, grezzi come un colore locale e veri come un’illusione – mi commuovo.
Fa parte del mio modo di stare al mondo questo improvviso affetto che mi prende mentre non rispondo al citofono, non accendo i telefoni, non apro la posta che si accumula e quasi smetto di parlare.
Tra le seccature del dover tirare le cuoia (mi fa sempre sghignazzare questo modo di dire da film anni ’40), “prima o poi” – come dice, lavandosi le mani, quel sadico vagamente somigliante a Sean Connery che e’ il mio ginecologo – c’e’ sicuramente il termine delle letture possibili. A meno che, come scrisse – nel suo diario, mi pare – Virginia Woolf: “Il paradiso e’ un infinito leggere“. Magari.
(Marilyn Monroe legge)
Questo pensiero se srotolato sembra lungo ma in realta’ dura un istante, e mentre leggo Capote, a notte fonda, il ragazzo sta ancora considerando la distanza tra New York e San Francisco, e’ ancora rapito dal Teatro di Figura di Bruno Pilz; siamo andati a vederlo esibirsi per due spettatori alla volta qualche sera fa, il suo spettacolo, Lacrimosa, e’ una specie di incanto cupo.
Continuo a leggere Truman Capote, che e’ cosi’, come l’effetto che fa, mi fa smettere di parlare, lo leggo mentre passano le ore e sento scivolare nella mente vagonate di idee multiformi, che lampeggiano e svoltano, nelle pieghe galattiche della mia immaginazione.
(Truman Capote)
Suppongo derivi anche dal fatto di capire profondamente quel suo sostenere per primo che il reportage puo’ essere un’arte raffinata “e nobile quanto qualsiasi altra forma di prosa“. Mi interessa il modo in cui riusci’ a trasformare, tenendo a mente intere conversazioni e senza l’uso di fastidiosi registratori o block-notes, il livello piu’ basso del giornalismo, ovvero l’intervista, in modelli perfetti come Il duca nel suo dominio, il ritratto di Marlon Brando.
Doveva essere uno stronzo irresistibile Truman, il tipo che finisci col cercare sempre per primo, capace di trasformare una conversazione origliata in un’opera d’arte.
Sei anni a sgobbare su un romanzo, senza la smania di pubblicare – mi vien voglia di abbracciarlo, di prendermi delle confidenze insomma – che lavoro, una cosa meravigliosa, e’ sempre duro, non c’e’ flemma. L’altro giorno, me ne stavo dietro le quinte di un antico teatro di provincia con un amico poeta, Pierluigi Mele, parlando di lui e di altri americani.
Da li’ a poco ci saremmo fatti strada, nel buio fitto del dietro le quinte – quando l’occhio di bue illumina il centro del sipario chiuso – per entrare in scena e introdurre il suo reading poetico.
(Pierluigi Mele)
Faceva freddo e Pierluigi non voleva togliersi la giacca, temperava la sua ironia sfottendo le ballerine che si riscaldavano coi loro esercizi nel favo di luce dei camerini, “attenta bella mia, cosi’ ti viene la sciatica!”, il libro che stavamo per presentare e’ profondo venticinque anni.
Venticinque anni di poesie come pesci presi in una rete e sgusciati via da un buco sul fondo, condensati nella mia preferita che a un certo punto fa cosi’: “… Lingua per nove natali/glossa ja’ ennea Kristu/ nove pasque le strofe/ennea Paskata es tiritere/nove mele d’addio/ennea mila sti kalin ora/nove veli la sorte/ennea veli i sorta/nove letti la luna/ennea krovattia ‘o fengo/nove orci di fichi/ennea kifinizzi afse’ sika/nove mandorle in dote/ennea mendule ja’ rucho/nove anelli di pane/ennea dattilidia afse’ fsomi’/nove gonne sfilate/ennea fustianu spammenu/lega un’alfa ai capelli/ denni mian alfa ta maddhia.”
(le correzioni di Bob Dylan)
Mentre lui la leggeva, quella sera, pensavo a un personaggio ancora segreto, uscito dalla penna di Patrizia Caffiero per un testo che stiamo scrivendo a quattro mani. Ero andata a sedermi accanto a lei dopo aver introdotto la performance, sentivo Patrizia fare eco alla voce di Pierluigi, nove anelli di pane, sentivo rotolare come un cerchio d’oro la sua risata piccola, ridanciana.
In scena, mentre il poeta attore leggeva, con la sua bella voce arcobaleno, una ragazza bellissima danzava il suo assolo rovesciandosi i capelli neri nelle mani, allora Patrizia mi sussurrava all’orecchio: “Ecco, vedi? Quella e’ la sua proiezione”. Con la sua bellezza di moneta d’argento nella polvere, la danzatrice stava doppiando i versi, era un tradurre in sincrono, un mischio di mestieri.
(Bruno Pilz, mago e burattinaio)
Ho provato a non somigliarti e’ il titolo che raccoglie le poesie di Mele, lui ha superato i quaranta con la sua mimica irresistibile. Il teatro era pieno ed io non riuscivo a non pensare che in sala c’era, tra i pochi altri narratori e poeti viventi che posso dire di rispettare, Giuliana Coppola. Corti capelli bianchi, voce di mollica calda.
Mi venne in mente la volta in cui, durante un tragitto serale in automobile verso qualche presentazione, mi racconto’ di Maria Corti, che voleva essere portata nei luoghi segreti del confine di cui non si sentiva solo ospite. Credo di aver provato qualcosa di simile girovagando in Lucania, dentro una vegetazione fitta che mi arrivava ai fianchi, nei giorni in cui mi faceva da guida un’esile ninfa superba e liquida di vita.
Mentre Pierluigi leggeva le sue poesie, mi rendevo conto di quante scialuppe avesse lanciato alle parole nel corso degli anni, di quante finestre avesse scavato nel muro. Quel suo fare del linguaggio un’architettura e, da uomo di teatro, scipparti da dentro le emozioni.
Mi aveva colpito cio’ che aveva detto del suo editore, Cosimo Lupo, un omino impavido, felicemente assurdo, “l’unico capace di vendersi un furgoncino pur di consentire a un libro di poesia di nascere”. Del resto e’ stato il primo, che io ricordi, a credere in Fanculo pensiero, il romanzo d’esordio di Maksim Cristan, poi giunto alla corte di Feltrinelli.
(Maksim Cristan)
Ricordo ancora il giorno in cui invitai Maksim in redazione per un’intervista, non erano lontani i tempi del suo banchetto vendita improvvisato con una cassetta della frutta, la tovaglia presa in prestito da una chiromante, l’angolo di luce scavato ai bordi di una vetrina di libreria luminosa dove poi sarebbe entrato da protagonista.
Mi precipitai giu’ per le scale e lui disse, con tenerezza: “Piano Luisa, piano. Non correre cosi’ solo perche’ sono povero”. E comunque non solo gli artisti sono uno scherzo di natura, lo sono anche quelli che gli fanno avere carta sufficiente per farsi ascoltare fino alla fila piu’ lontana possibile. Me ne rendo conto ogni volta che sono costretta a ordinare un libro che non trovo subito sugli scaffali delle librerie, le ragioni possono essere le piu’ svariate.
(Maria Corti)
Il tempo e’ un buon lettore, meno superficiale di tutti gli altri, e spesso ripesca dei titoli dall’oblio, e’ il caso di Goliarda Sapienza e del suo L’arte della gioia. E’ il caso, a meta’, di Vittorio Bodini e penso, a proposito di doppiatori, alla sua traduzione del Don Chisciotte di Cervantes per i Millenni Einaudi.
Qualche settimana fa, raccontavo in una mail alla scrittrice e traduttrice Clara Nubile – bloccata dalla neve ad Anversa – della mattina in cui ho assistito alla cerimonia raccolta nel cimitero di Lecce, dove i resti del poeta e ispanista sono tornati, dopo un lungo esilio pieno di amore e odio per il Sud che osservava e raccontava.
Conoscevo molte delle persone presenti, Livio Muci, che da anni e’ il mio editore e che riedita da un pezzo l’opera bodiniana, lo scultore Ugo Malecore che ha firmato il bassorilievo in terracotta, sotto i lineamenti di Bodini le sue parole tratte da La luna dei Borboni: Tu non conosci il Sud, le case di calce/da cui uscivamo al sole come numeri/dalla faccia di un dado.
Quel sud del mondo che Clara conosce e che ha riempito di viaggi e di distanze, nella sua ultima mail mi avvisa che e’ in partenza per l’India, piu’ che altro un ritorno. Da laggiu’ vengono molti dei suoi racconti migliori, quelli che ti afferrano la gola quando leggi il suo Tabaccherie orientali.
(Clara Nubile)
A parlarmi di lei la prima volta fu la libraia Teresa Romano, eravamo nella libreria che apre i suoi battenti davanti alla fermata del bus, un pomeriggio, mi porse il libricino che ha come copertina la fotografia di un paio di piedi nudi su un lungomare. “Sono i piedi di Clara Nubile”, mi disse, poi chiuse gli occhi muovendo piano la testa, i bei capelli scuri, come chi ha appena annusato un aroma irresistibile, l’aroma di uno stile.
Da Clara avrei sentito dire, mesi dopo, la definizione migliore circa il mestiere del traduttore: “Tradurre è come fare una seduta spiritica. Spesso mi sento proprio così: una spiritista.” Per la puttana si’, ho pensato. E subito mi sono tornate in mente le traduzioni di Le ore, di Cunningham, a cura di Ivan Cotroneo e Alice nel paese delle meraviglie secondo Aldo Busi. Traduttori, doppiatori, romanzi viventi che impegnano le loro voci, come la Sirenetta di Andersen.
(Pasolini in sala di doppiaggio)
Voci oscure, congegni trasparenti, luminosi come gioielli di Faberge’. E’ afferrando la treccia delle loro voci che si scala la torre senza porte, quell’altezza traguarda il mondo e, per un momento, ogni elemento della vita e’ il suono caotico, eppure abbagliante, di un’orchestra che accorda gli strumenti, prima di cominciare.
Immagino che Rosetta Calavetta si portasse la sua voce a spasso come se niente fosse, alla stregua della diva che doppiava, Marilyn Monroe, cosi’ brava a mimetizzarsi nella folla di New York, passeggiate intere senza mai essere stata riconosciuta, nemmeno dai taxi che cercava di prendere.
(Kim Novak ripassa il copione di Vertigo)
E avra’ fatto caso, doppiando Kim Novak ne La donna che visse due volte che il suo personaggio e’ un impostore che dice la verita’?
E, cosa ancora piu’ interessante, James Stewart non si accorge che la Novak non interpreta per lui solo la parte di una donna perduta ma e’ quella donna.
E’ affascinante, se ci si pensa, e insieme crudele: spesso veniamo scambiati per altri proprio quando siamo noi stessi.
VerbaManent – Presidio del Libro in collaborazione con il B&B Chiesa Greca
Pensieri di gelsomino Percorsi di letture arte e vita
Sabato 26 luglio ore 21.00
Maria Corti
Storie,
La leggenda di domani (manni editori)
Presenta GiulianaCoppola
Proiezione video
Occhi negli occhi memorie di viaggio diRossella Piccinno
Giardino del Prete Piazzetta Chiesa Greca, 11 – Lecce
Giovedì 26 luglio alle ore 20.00, presso Il Giardino del Prete in P.zzetta Chiesa Greca, 11- a Lecce ultimo appuntamento della Rassegna: “Pensieri di Gelsomino. Percorsi di letture, arte e vita organizzato dall’associazione Verbamanent- Presìdio del Libro, in collaborazione con il B&B Chiesa Greca.
In questa serata vedremo il video di Rossella Piccinno: “Occhi negli occhi. Memorie di viaggio”; a seguire Giuliana Coppola presenterà due libri di Maria Corti: “Storie” e l’ultimo inedito editato sempre dalla casa Editrice Manni: “La leggenda di domani”
Il video di Rossella Piccinno: “Occhi negli occhi memorie di viaggio” del 2007, della durata 08′ 20″, ha ottenuto il “Premio miglior documentario turistico, Video Festival Città di Imperia, aprile 2008. Il soggetto del video è di Rossella Piccinno che ne ha curato sia le regia che il montaggio. Il tramonto dorato del sole tra le morbide dune del Sahara è l’incipit di “Occhi negli occhi – memorie di viaggio”, un’opera intima, viscerale, in cui l’autrice si svela offrendo allo spettatore una pagina del proprio diario e invitandolo a guardare. “Occhi negli occhi” è un richiamo alla visione, un tuffo nello sguardo dell’autrice su un altro mondo, l’Africa, e anche l’incontro straordinario con gli occhi di chi da questo mondo ci guarda.
Rossella Piccino si è laureata al DAMS di Bologna in Cinematografia Documentaria e Sperimentale con una tesi su “Nostra Signora dei Turchi” di Carmelo Bene. Successivamente si è diplomata come Tecnico di Produzioni Video e ha mosso le sue prime esperienze lavorando nei cartoni animati. Nel 2005 debutta alla regia con il cortometraggio “Interno sei” e pochi mesi dopo dirige il documentario “Mauritiana: città-biblioteche nel deserto”, realizzato in collaborazione con la Croce Rossa Italiana, presentato a Venezia durante gli “Italian Doc Screenings 2006”. Attualmente vive e lavora nel Salento, dove si dedica all’ideazione e allo sviluppo di numerosi progetti audiovisivi.
Maria Corti (1915-2002) È stata considerata la signoradelle lettere italiane, sia per i suoi fondamentali studi di teoria e di storia letteraria, sia per la sua produzione narrativa, sia infine per la sua attività di critica militante.
“Storie” di Maria Corti – Protagonista di queste storie è “il tempo, il suo aggrinzarsi in situazioni concrete, il suo vanire nel mito (non manca il tema della modernità, distruttrice di miti), il suo dissolversi nella ciclicità e nella saggezza che l’accoglie e la riflette. C’è, in alcuni di questi racconti, un che di epico”. (Romano Luperini)
“La leggenda di domani” diMaria Corti – Fra Otranto e Santa Maria di Leuca, Paola, sedicenne orfana milanese, fugge dal convento e chiede ospitalità al pescatore mastro Oronzo; nella sua casa, Paola cresce figlia tra i figli. Arriverà un ingegnere torinese a portarla via, per sposarla, da quella che oramai è la sua terra. Scrive Cesare Segre nella premessa: La polarità Milano-Salento, in cui la protagonista di questo racconto si muove, è una costante della vita e dell’invenzione letteraria della Corti. L’avvio è bellissimo. Sembra che l’autrice si sia innamorata del Salento e abbia cercato di ricrearlo usando le sue parole. La leggenda di domani, oltre ad essere complessivamente un bel pezzo letterario, ci porta nel pieno dell’attività narrativa della Corti, e forse ce ne scopre qualche criterio.Così la Corti continua ad essere maestra anche con questo racconto chiuso in un cassetto.