Gustavo fa un sogno.


Gustavo fa un sogno
su “Gustavo. Una malattia mentale” di Carlo Bordini.

Luciano Pagano

carlobordini.jpgEsistono libri che sono capaci di svolgere una funzione di specchio per i loro lettori, opere dove l’importanza della trama e le vicende dei personaggi passano in secondo piano se paragonati all’elemento ‘perturbante’ che da essi viene risvegliato. È questo il caso di “Gustavo. Una malattia mentale”, romanzo di Carlo Bordini pubblicato da Avagliano Editore (giugno 2006).
Chi fosse interessato ad approfondire l’opera di questo interessante autore romano non può prescindere dalla sua opera poetica, il cui corpus principale è contenuto in Pericolo (Poesie 1975-2001, Manni) e da “Manuela di autodistruzione (Fazi, 1998). Carlo Bordini, in poesia è un autore che sa coniugare l’urgenza del messaggio alla tensione del dettato, senza barocchismi né retorica, “Forse facessi/ il mio vecchio numero di telefono/risponderei/com’ero vent’anni fa/come sei cresciuto mi direbbe/856896” (Poesia scritta di notte).
Nei suoi versi si nascondono pensieri di rara densità, concentrati nel breve tempo di una poesia a volte disarmante nei confronti della realtà di tutti i giorni “Le cose sono buone, sono belle/non danno fastidio, non si muovono./Ci vogliono bene e sono fatte per noi. Le cose sono tutte/un po’ pop, se ci fate/caso, hanno un’aura pop, una/luminosità che si espande/intorno a loro” (Cose). Un’esperienza poetica che colma una cesura necessaria, quella di una generazione sviluppatasi – i nati negli anni cinquanta – a cavallo tra espressione e impegno.
“Gustavo” ci offre qualcosa di più, approfondendo il romanzo quell’introspezione che nelle poesie lasciava più margine all’impegno sul piano concreto e sociale. Siamo di fronte alla storia di un uomo, costruita sull’assenza della protagonista femminile, Marina; l’ossessione del pensiero viene presentata tramite la successione dei momenti di Gustavo nell’appartamento che fa da contenitore della vicenda. Si badi bene, non si tratta di un ‘romanzo da camera’, al protagonista capita di uscire e relazionarsi al mondo, i luoghi, la camera di un albergo, una clinica, una terrazza, sono tutti luoghi dove il sogno si confonde con la realtà; l’allucinazione comincia a prendere il sopravvento nella vita di Gustavo, che comincia a sentire il peso del suo lavoro, cerca di liberarsi la testa in tutti i modi, anelando ad una ‘leggerezza’ in cui i troppi pensieri non lo offuschino. “Non sono niente. Non sono né un’isola, né una madre, né una moglie. Lo sono nel momento in cui lo faccio”. Carlo Bordini ha scelto di rappresentare il suo protagonista con periodi dallo stile asciutto, nei quali non mancano descrizioni minuziose, il lettore che vuole ancorarsi ad  una trama classica è perfettamente libero di seguire la consecutio dei ‘quadri’; l’autore utilizza volutamente alcune deffaillance, (uso di minuscole dopo i punti, periodi sospesi, etc.) rendendo così il lettore partecipe di uno smarrimento incrementale del protagonista. Procedendo nella lettura il senso di angoscia cresce, i fantasmi con cui ha a che fare Gustavo, le ‘teste’, non sono più pensieri fittizi, si tratta di elementi concreti, l’apparente slabbratura della struttura del romanzo cela una lucida coerenza, una compattezza del dettato.
gustavo_carlobordini.gif Il ‘sogno’ è uno degli elementi che compaiono nella mente offuscata di Gustavo, egli incontra una donna irsuta, oppure incontra la donna che era con lui, Marina, ma non si ricorda se questi avvenimenti sono sogni o realtà. I parenti cercano di convincerlo a cambiare casa, cercando un appartamento più piccolo, magari la compagnia di una donna anziana, una ‘zia’, ma lui si innamora di una giovane donna che – come tutta risposta – non verrà più portata in visita a casa sua.
Questi alcuni dei microepisodi che vengono evocati nella narrazione; ci accorgiamo della profonda solitudine in cui versa l’uomo Gustavo, un cerchio che gli viene stretto attorno come un cappio dalle convinzioni e da coloro che lo circondano.
Quel che accade durante la lettura del romanzo di Carlo Bordini è semplice, il lettore dopo qualche pagina fa conoscenza con il personaggio e cerca di rintracciare nel suo carattere qualcosa che di somigliante; ad un certo punto avviene un’osmosi particolare. In “Gustavo” viene raccontato il progressivo e lento scivolare di un uomo nell’alienazione dal mondo, fin nei suoi pensieri più intimi, che si rivelano essere – assieme alle emozioni e ai suoi stati d’animo – i veri protagonisti di questo romanzo. La lettura di “Gustavo” genera nel lettore dei veri e propri meccanismi di proiezione, l’autore ne è consapevole, semina dei segnali nel testo, reiterazioni, accenni, sbavature e sfasature del senso che sono lì per non sfuggire, nemmeno al lettore meno attento, il risultato è che l’ansia e la solitudine del protagonista si trasformano nella solitudine emblematica di ognuno di noi.

anticipazione da Musicaos.it – Anno IV Numero 26, “Anelli deboli”

I lumi irregolari di Neuropa.


sanmichele.jpgContraddistinto da un impianto filosofico rigoroso, l’incipit di Neuropa (Gianluca Gigliozzi, Luca Pensa Editore, 2005) porta con sé, da subito, IO, protagonista non soggetto. Torno a riflettere su questo romanzo a distanza di due anni, dopo aver conosciuto direttamente l’autore, grazie ad un breve giro di presentazioni in Puglia, tra il giugno e il luglio del 2005. Nel frattempo, tra la gestazione e la pubblicazione, il romanzo ha subito variazioni, la suddivisione in parti è cambiata, da due a tre rispetto al manoscritto che ebbi modo di recensire su musicaos.it nel dicembre del 2004.
Cosa accadrebbe se la modernità si fosse costituita, dall’età dei Lumi a oggi, non sul principio della ragione bensì su quello della follia? Che cosa intendiamo quando diciamo ‘modernità’? Questi due quesiti sono costituenti della scrittura di Neuropa, la loro soluzione è l’azzardo che si propone inizialmente l’autore, Gianluca Gigliozzi.
La storia è anche luogo di scontro dei pregiudizi, quello ad esempio che vorrebbe il Medio Evo come un’età oscura, e che legge nell’Illuminismo un’età gloriosa; ma la storia, per l’appunto, è interpretazione. Cosa dire ad esempio se il Medio Evo in questione è quello di un Sant’Alberto, o di un Dante, un periodo che prima ancora della scoperta dell’America vedeva l’Europa percorsa dai fremiti della ragione, del dibattito e della disputa? Certo, la differenza considerevole è data dal fatto che nel Medio Evo l’esistenza era in bilico, poche persone avevano una aspettativa di vita più lunga della moltidudine, pochissime potevano frequentare le altrettanto poche Università; ce n’erano centinaia di migliaia che conducevano un’esistenza d’inferno. Ecco forse una delle conquiste della modernità, la centralità del Soggetto-Io nella storia. La contrapposizione Io-Dio scorre nelle prime pagine di Neuropa. La modernità potrebbe non essere una conseguenza dell’era che l’ha preceduta, così come potrebbe essere giunto il momento di oltrepassare lo stallo della post-modernità. Il livello delle fonti di Neuropa è duplice. Il primo livello è quello delle fonti letterarie, da Sterne a Swift, da Rabelais a Quevedo, Sade, Rousseau, Diderot, fonti le cui radici affondano per l’appunto nella genesi della modernità. Ad una seconda lettura, tuttavia, si possono leggere altre tematiche a noi contemporanee, l’utilizzo del romanzo storico è infatti un pretesto linguistico, una ‘maniera’. Neuropa non è, a mio parere, ascrivibile al genere del ‘romanzo storico’, etichetta che a quest’opera farebbe poco bene, basti l’esempio dei due autori che vengono citati fin dalla quarta di copertina, cioè Swift e Sterne; così come il “Tristam Shandy” o i “Viaggi di Gulliver” sono molto di più che semplici romanzi, nell’impianto e nello stile.
Neuropa è un romanzo contemporaneo – così è la filosofia in esso dispiegata – ambientato in un tempo storicizzato. Con un ottica ‘scentrata’ a questo modo può così contenere e discorrere una tematica così urgente come la fondazione del moderno, ragione o follia? Parlare del passato per descrivere l’oggi, scoprire i conflitti tellurici, i nervi che agitano il pensiero; l’invenzione narrativa è il secondo asso nella manica di Gianluca Gigliozzi. La poesia (intesa come creazione) è anche la possibilità di creare dei mondi alternativi, dove le ipotesi di fondo, gli assiomi indimostrabili sono altri.
Certo, se lo spirito con cui va inteso Neuropa è quello della contemporaneità, l’impianto è quello del romanzo, la storia è presente, la trama è questa, un folle, chiuso nel carcere insieme al Marchese De Sade, gli fa da aiutante per apparecchiare spettacoli ‘comici’, commedie umane sul cui ‘palcoscenico’ entrano i personaggi della storia, della filosofia e della scienza dei secoli immediatamente attigui al diciottesimo. Gigliozzi travolge il romanzo di formazione, nella fattispecie la formazione di Io, la cui sete di conoscenza viene confusa con la follia, il desiderio di conoscere l’invisibile viene dissolto a suon di bagni freddi nel College di Charenton, dai suoi genitori, poco dopo aver compiuto il dodicesimo anno di età. Si tratta nientemeno che di un manicomio. La nascita dei sistemi di reclusione, coercizione e rieducazione in Europa è contraddistinta dalla comunanza di folli e criminali; il Potere della Ragione si accompagna al terrore per il suo contrario, i neuropatici sono oggetto di segregazione e bersaglio, i Lumi azzerano la considerazione di cui aveva goduto fin dal Medio Evo la figura del ‘fool’, che nell’immaginario critico romantico costituiva un residuo, un personaggio che in virtù della sua follia poteva avere accesso libero alla verità così come alla non-verità, “[…] essendo le cose quelle che fingono di stare sotto il dominio di chi le fa o le usa o ne gode – in realtà essendo queste cose nient’aòtro che il dominio delle cose stesse su quelli che credono di godere, usarle, farle […]” (p. 19).
Un romanzo dunque che si interroga sul conflitto tra Potere e Soggetto, la matrice foucaultiana è evidente, almeno quanto evidenti sono i referenti letterari in Neuropa: “[…] le parole sono cambiate, ma solo per mantenere l’illusione che siano cambiate, ma solo per mantenere l’illusione che siano cambiate anche le cose – perché le parole e le cose adesso non possono più vedersi faccia a faccia – altrimenti finirebbero in frantumi come vetri […]” (p. 21).
Il grande scisma d’Occidente, quello tra le parole e le cose ha avuto inizio, secondo il Sade/personaggio e amimco di Io, quando il sole ha ‘smesso’ di girare attorno alla Terra, ed essa non è più il centro dell’universo; da quel giorno nemmeno tutti li Io sono centri, bensì corpuscoli atomici in balìa del mondo che si manifesta contro di essi, tradotto ed espresso in parole.
Io non si accontenta di ‘rappresentare’ la storia, Io è nella storia, la sua lingua è onnivora, evocatrice, creatrice. La vis comica dell’autore investe la materia, tutte le storie che scorrono tra le pagine sono segnate dal conflitto tra Potere e Io, tanti singoli Io fanno addirittura un Popolo, la miseria è dovunque, persino il Veltro deve improvvisare le sue vesti e poi partire come un Don Chisciotte a raccogliere i fondi per fondare la Castiglia. Il romanzo storico può essere affrontato in modi diversi, ci sono autori che prediligono un’esatta ricostruzione, fitta di riferimenti alla storia e ricca di descrizioni, la lingua può essere la lingua dell’oggi calata nell’ambientazione contemporanea. Ci sono romanzi dove l’autore invece cede alla tentazione di ricotruire un ambiente linguistico, dove far agire i propri personaggi. Neuropa è il romanzo del romanzo moderno, con vere e proprie nuances nei lumi irregolari della critica culturale contemporanea, da Uwe Johnson a Witold Gombrowicz, da Antonio Lobo Antunes a Carmelo Bene. [Continua]

anticipazione da Musicaos.it – Anno IV Numero 26, “Anelli deboli”

“Re Kappa” su “Nuovo Quotidiano di Puglia”


La ricerca dell’identità e la sfida della scrittura.
“Re Kappa” di Luciano Pagano: un giovane autore e il suo mondo
di Antonio Errico

Antonio ErricoQuando talvolta si dice – e si dice con ciclicità frequente – che il romanzo è finito, che non ci sono più tempi, modi e forme di narrazione, che tutto il narrabile è già stato narrato e che per l’inenarrabile è ovviamente ozioso porsi il problema, probabilmente non si considera adeguatamente quella condizione della scrittura che si definisce metascrittura, metaromanzo, metaletteratura.
Invece credo che sia proprio questa la condizione testuale, forse anche ideologica, comunque poetica, che caratterizza “Re Kappa”, il romanzo che Luciano Pagano pubblica con Besa. È la storia della maniera in cui si dispiega il processo di trasformazione degli eventi in linguaggio, la maturazione delle esperienze di scrittura in forma narrativa, la percezione di sé e degli altri in una condizione verbalizzata.
Probabilmente Pagano intende dimostrare che la fonte e l’origine della narrazione si ritrovano in un impulso a narrare e in una domanda sul senso e la funzione che assume questa condizione esistenziale. Ma soprattutto si pone l’obiettivo di proporre l’idea che la forma narrativa sia l’unica condizione capace di attribuire una sistematizzazione alle esperienze della realtà e alle espressioni dell’immaginario.
Poi sembra che Luciano Pagano vada oltre.
Sulla base di una struttura del ritrovamento di un manoscritto, impiegata come espediente per una funzione parodistica, e di un’ambientazione salentina ma dai caratteri deformati, di un intreccio che lega scrittori di varia genia e consulenti editoriali dall’ambigua fisionomia, viene innestata una formula di trama che diventa la metafora di una visione del reale e dei suoi effetti, delle conseguenze che produce la manipolazione del reale, il mondo parallelo che si può generare da una tessitura verosimile delle ipotesi.
Il manoscritto è una sineddoche della realtà; è una parte per il tutto; tutti i possibili intrecci, i misteri, le storie, le situazioni, il vero, il verosimile, il falso, il possibile e l’impossibile, sono contenuti in un brogliaccio che li rappresenta, in un canovaccio delle tragedie e delle commedie del mondo, in un almanacco degli avvenimenti, un catalogo dei destini e un cestino per tutti i sogni.
Il manoscritto modella il mondo e le sue creature che si fanno personaggi. I personaggi, a loro volta, riformulano il mondo costringendo lo scrittore a ipotizzare una riformulazione del manoscritto. La riformulazione del manoscritto costituisce una manomissione dell’idea di realtà, e quindi una trasformazione dell’idea stessa, oppure un trucco. Comunque una simulazione.
Così si potrebbe dire che il mondo rappresentato dalla narrazione è soltanto una simulazione che in quanto tale predispone e propone una realtà parallela, altra, contigua ma comunque con equivalente valore di quella che simula o che assume a riferimento e modello.
La costruzione (o ricostruzione) dell’identità dello scrittore coincide, nei tempi, nelle forme, nelle modalità, come la ricostruzione (o l’invenzione) della storia di un’opera. Pagano vuole rappresentare quell’incrocio casuale di destini oppure quel verificarsi di congiunture che a volte annodano un’esistenza – o una rete di esistenze – ad uno scartafaccio, quella sorta di magia che dal nulla crea una straordinaria testimonianza del proprio essere ed esistere con le figure e gli intrecci di un universo fatto di parole.

Dal “Nuovo Quotidiano di Puglia” di Mercoledì 25 Luglio 2007

ecce mondo [ecco come va il mondo…]


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chippe coppe fe fe – bau!
chippe coppe fe fe – bau!
chippe coppe – fe fe – bau – bau – bau!

dai eh!

qualcuno potrebbe spiegare perché è scappato dal paese di origine…ma se siamo tutti di Roma

ieri sera sono stato molto male…spesso faccio queste scene…sto molto giù vago per casa…sbarro gli occhi…a volte mi guardo allo specchio…vado in bagno e apro il cassetto delle medicine…prendo quelle più pericolose…ieri c’è stata una scelta meticolosa…poi sono andato in cucina e ho preso un bicchiere d’acqua

non lo so…forse tutto questo…risale a dei traumi infantili…mi ricordo…quand’ero bambino…tanti anni fa

[flash-back]

Nanni Moretti, Ecce Bombo, 8 marzo 1978

“Re Kappa” sotto l’ombrellone…secondo Michele Trecca


Da “La Gazzetta del Mezzogiorno” di Domenica 22 Luglio 2007

Sei autori di Puglia e Basilicata sotto l’ombrellone, per un’estate nelle mani giuste. Schede critiche di Michele Trecca.

Mariolina Venezia e la saga lucana di “Mille anni”…verso il Campiello
(Mariolina Venezia, Mille anni che sono qui, Einaudi, pp. 250, euro 15,00)

Gaetano Cappelli una magia narrativa color del vino (l’Aglianico, certo!)
Gaetano Cappelli, Storia controversa dell’inarrestabile fortuna dell’Aglianico nel mondo, Marsilio, pp. 159, euro 15,00)

Giancarlo Tramutoli in “Uno che conta” realtà e fantasie contro la solitudine
Giancarlo Tramutoli, Uno che conta, Manni ed., pp. 94, euro 12,00

Elisabetta Liguori la salentina ai confini tra il Bene e il Male ne “Il correttore”
Elisabetta Liguori, Il correttore, peQuod ed., pp. 255, euro 15,50

Con De Cataldo una donna da favola nel romanzo criminale dell’Italia
Giancarlo De Cataldo, Nelle mani giuste, Einaudi Stile Libero, pp. 240, euro 15,80

Luciano Pagano vita standard di un precario pensando a Céline
Luciano Pagano, Re Kappa, Besa Editrice, pp. 114, euro 10,00

lui studia la buia umanità


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Io studio la buia umanità.
Il Male in pesi di carne
Per essere in un pensiero
Incinerato e restare
Nudità d’anima solo
Mi parla dal suo strettoio
Dentro di lunghe grate
Ombre che fanno coro.

Tutte le cose di lei, paurose
Teste che aprono palpebre
Avide a un alito di altra luce
In stanze dove si guardano
Tutte le pene e le oscurità,
Chiedono tutte vestici
Momento illuminato.

Una forza amputata e senza dita
Negli anelli dispersi era sospinta
E non trovavo tra i muri abbattuti
L’Essenza che in una distruzione rimane
E si fa col suo fumo casa;
Tu non vedevi me ma un troncato
Su cui a volte piangeva un dolore
O la specie profonda si assopiva
Ma il respiro dell’alto, la sua pietà dov’era?

Il serpente delle lanterne affondato
Nella voragine del leggero papiro
Estrae da ogni uovo di segni
Di questo nido sdrucito un perso
Ammasso di dismisure
Chiedendo all’aborto sparso

Trasfòrmati in meraviglioso,1
E con un puro di mano tremito
Nel Tartaro privo d’alito del centro
Dell’oggetto che mai conosci
Si posa su una polvere mai scossa.

Di nudità di poeta tragico vestito
Fare morire e vivere vorrebbe ancora
Ma è un fuoco senza denti, più non morde
La miseria e le solitudini, la pena
Che gli lambisce gli occhi tiene da lui lontane
Le braccia a tutti i vuoti spenzolate.

(1) Inutile tentare di sgrovigliare questa indurita torsione visionaria. È da riconnettere, credo, a chi studiando «la buia umanità» con troppo zelo, non vede che l’armadio così riempito butta fuori gli stracci.

Guido Ceronetti, da “Compassioni e disperazioni”, 38

la soluzione è acquosa


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Né importa alcunché da qual vitto il corpo sia nutrito,
purché ciò che mangi, digerito, possa distribuirsi nel corpo
e serbare costantemente umida la condizione dello stomaco.

Tito Lucrezio Caro, La natura delle cose
(Libro IV, vv. 630-632, trad. it. Luca Canali)

troppo tardi


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aggio siempre pierso ‘o meglio… ecchecciazzo aggia a fa’ se qhille se n’è gghiuto siempre da la capa mia… magari stavo obbàr o dint’a casa mia oppure dint’occàr otomobìl ponzando a cose che mai dico mai più le risarebbero vegnude in testa e le lasciavo pure fuire io… che me ne n’importa… belli penzeri in la capa carrellando morbide poppose collinute piagge a destra e a manca de la vuota che scorre e che fa finta e invece sta… emmeritrovoqquà senza manco un dialetto mio davvero mio per nascimento ma tutto rotto strappato da tutti li sibili tuttolo uno gualcito nel prestito dato che vivo la fine di un mondolo a mano

troppo tardi per la politica troppo presto per la poesia troppo tardi per illuderci troppo presto per disilluderci troppo tardi per cominciare qualcosa troppo presto per la finere sbandolere troppo e troppo troppo in tutte sfere orbene siamsi ici che di qui siamo diresse colui che ‘l volesse intendere in onne modo la cosa così come la di lei sta ben benne alhora io diresse in cronacume esperto balbutiente onne die che ripiombo a la machina nulla da fere è così cha la di sempre va finere sbrindeglierìe conchiusità marrosso sargassate insomma tengere commano laqualcosa e bedda stoffa risulterebber esse sconchiuse a li scaffali mercanzie di tele tinte a tonde anche vestire nudità tagliando taglierini e bluse in sul turchese a spose e financo uccelline disco passo delle teche ipso facto stop

da “Infernuccio itagliano“, Gianni D’Elia
(Transeuropa, maggio 1988, introduzione di Claudio Lolli)

Dickipedia


Dickipedia. Su “Philip K. Dick, la macchina della paranoia, enciclopedia dickiana” di Antonio Caronia e Domenico Gallo
di Luciano Pagano

Philip K. Dick è uno degli scrittori più importanti del secolo scorso. È probabile che si tratti dell’autore che più rappresenta il passaggio e il transito tra due epoche. Da una parte c’è la science fiction ipo-tecnologica, a basso profilo, dove l’idea di condurre i nostri corpi sani e salvi su Marte o sulla Luna rappresenta il massimo del sondabile e dove le ansie dell’uomo di massa sono esplorate, ad esempio, da un Rod Sterling, in quella “Twilight Zone” dove nessuno augurerebbe l’ingresso nemmeno al suo peggiore nemico. Dall’altra c’è l’indagine delle ansie e incubi politici del totalitarismo, dell’uomo disumanizzato e reso alieno in un corpo sociale disgregante, con anticipazione e intuizioni ancora oggi attuali, quasi precognitive.
Nelle opere di Philip K. Dick c’è la compresenza di diversi elementi che rende possibile l’evasione dal genere. Antonio Caronia e Domenico Gallo, sono autori e coordinatori di questa monografia intitolata “Philip K. Dick, la macchina della paranoia” (Agenzia X, 2006), dal sottotitolo programmatico di “enciclopedia dickiana”, nella quale al lettore viene offerta una chiave d’accesso puntuale all’universo dell’autore americano, vero e proprio pioniere in territori che soltanto oggi, a distanza di cinquanta anni, cominciano a divenire luoghi dell’immaginario presente.
La prima parte del libro presenta una biografia dettagliata e puntuale della vita di Philip K. Dick, l’intenzione, non resa in modo esplicito, tuttavia apprezzata, è quella di mostrare al lettore che nell’opera dell’autore c’è sempre stato un vivo interesse nei confronti della società del suo tempo, in relazione alle vicende contemporanee, con prese di posizione ‘politiche’ nello sviluppo delle opere. Quella di Dick è stata una forma di engagement politico sui generis, che dimostra quanto fosse difficile per lui conciliare la scrittura e lo scrittore in un America dove il rispetto dei diritti civili presso alcune fasce della popolazione non era ancora garantito.
Questa monografia sarebbe stata già un libro di autentico valore grazie alla presentazione, insieme alla biografia, di tutta la bibliografia di Philip. K. Dick, ogni sua opera (tutti i romanzi e una scelta ragionata dei racconti) è descritta in una scheda. Ciò che rende questo lavoro esaustivo è di sicuro la parte centrale, un vero e proprio glossario dove sono raccolti tutti i termini salienti dell’universo dickiano, nelle descrizioni non mancano riferimenti incrociati alle opere scritte e a quelle cinematografiche che, a partire dal 1981 con Blade Runner, sono state ispirate dalle opere dell’autore. “Philip K. Dick, la macchina della paranoia” si configura è accessibile come vero e proprio ipertesto, un’opera aperta che va a affiancare le opere dell’autore, edite in Italia da Fanucci. Spiccano tra queste alcune ‘voci’ riassuntive (realtà/illusione, potere, religione, genealogie, merce) dove il lettore può rintracciare i riferimenti teorici e i ‘furti’ dello scrittore. I curatori di questa monografia, facendo i conti con uno scrittore che, ad esempio, tra il 1953 e il 1968 ha scritto ventinove romanzi di fantascienza (senza contare quelli mainstream), sono consapevoli che non tutti i romanzi e i racconti in questione sono capolavori, la scrittura di alcuni è stata certo dettata dalla necessità. Questo libro è testimone di un lavoro critico trentennale condotto sull’opera di Philip K. Dick, e ha visto da parte degli autori il coordinamento di un gruppo di studiosi, che vale la pena di citare (Domenico Gallo, Antonio Caronia, Gianni Canova, Umberto Rossi, Claudio Asciuti). “La macchina della paranoia” è un testo che grazie alla sua completezza, resa con leggerezza di stile e alta fruibilità, riesce a far dimenticare al lettore, più di una volta, di trovarsi faccia a faccia con una completa monografia di critica ed esegesi letteraria.

anticipazione da Musicaos.it – Anno IV Numero 26, “Anelli deboli”

Pangrammi dell’esistenza


Pangrammi dell’esistenza.
Su “La mania per l’alfabeto” di Marco Candida

Luciano Pagano

The quick brown fox jumps over the lazy dog“, questa frase viene utilizzata nei test per le macchine da scrivere in un ambito analogico che sembra così lontano e che invece fa ancora parte del presente, o ancora quando c’è da testare la bellezza e la versatilità di un nuovo font nei programmi di grafica e videoscrittura. Cosa c’entra questa frase con il romanzo d’esordio di Marco Candida, “La mania per l’alfabeto” (Sironi Editore, collana indicativo presente, €14)? La particolarità di questa frase di senso compiuto – dove una volpe marrone si beffa di un cane pigro – sta nel fatto che in essa sono contenute tutte e ventisei le lettere dell’alfabeto, una frase simile viene definita come pangramma. Nel romanzo di Marco Candida secondo me avviene qualcosa di simile, si cerca una risposta ad un quesito filosofico e allo stesso tempo narrativo, quello di dare un ordine al mondo attraverso il linguaggio senza perdersi in quest’ordine che nel frattempo si è anche concretizzato come ricerca di sistemazione/risoluzione della vita del protagonista.
Nel cercare quest’ordine vengono dispiegate con maestria tutte le emozioni, tutti i generi, tutti i percorsi letterari percorribili, il che non deve far credere che La Mania sia un’opera enciclopedica, anzi è la gamma degli stimoli che offre la lettura di questo testo che appare sotto la cifra dell’infinità. Michele è un giovane alle prese da anni con la scrittura, emerge qui un primo elemento, non si tratta della scrittura del capolavoro o dell’opera a cui sta lavorando, la scrittura per Michele assume il carattere della scrittura tout court, la scrittura per la scrittura, una scrittura che soltanto inizialmente crediamo essere affidataria di un’interpretazione del mondo per poi scoprire il suo ruolo centrale, quello di unico strumento per attingere alla Verità. Una scrittura che si dissemina in miriadi di altre scritture, tutte a loro modo giustificate dall’assunto di fondo: essere descrizione di quella vera realtà rispetto alla quale il resto delle descrizioni che ci vengono propinate altro non sono che ‘notizie’, ‘velo di maya’, ‘rappresentazioni di ombre sulle pareti della caverna’. Questa, tuttavia, è una falsa interpretazione. La scrittura diviene in questo romanzo un oggetto malleabile e riparatore, Michele è ossessionato dalla scrittura a tal punto da perdere il contatto con la realtà. Ci sono due realtà, Savemi (la sua ragazza) e il Lavoro, che cercano di assisterlo, la prima con una certa tolleranza e la seconda con il pragmatismo scellerato e disperato imposto dal lavoro, con le consuetudini e il delicato bilanciamento dei rapporti tra colleghi; entrambe le realtà dovranno espellere da sé Michele se vorranno continuare a insistere nelle loro certezze.
Al termine del romanzo si raggiungerà un punto di mezzo, quieto come l’occhio del ciclone. “La mania per l’alfabeto” è una room-novel, un romanzo che racconta gli spazi chiusi e angusti, la scatola cranica, i pensieri, i racconti – le carabattole – che amplificano l’immaginario della paranoia su soglie altissime, alcuni di quelli che sono seminati nel romanzo fanno da controparte teorica di ciò che sta accadendo al protagonista, sviscerando uno stato d’animo in particolare.

“Michele, pensa, si ritrova inscatolato in tante stanze, proprio come tutti, e compie le sequenze di azioni di tutti, ha le emozioni di tutti, le stesse relazioni di tutti – le stesse relazioni, o meglio, di chi non sa tenere relazioni – e non può che raccontare storie che potrebbe raccontare chiunque: nessun mondo diversissimo, solo mondi ugualissimi su esperienze ugualissime. Soltanto la percezione del mondo e delle esperienze sono diverse, infettate dalla scrittura”

Quando il protagonista si trova alle prese con la sua casa e la sua famiglia le cose non cambiano, la sua è un’esistenza appartata, un tentativo di riprendersi dagli sconvolgimenti che sono avvenuti nella sua vita recente. Un particolare episodio (lo smarrimento di un libro), riporterà Michele ad un contatto con le cose, mitigando le sue ossessioni. Fino a quel momento Michele è scrittura, Michele è nei libri che legge, come se gli oggetti-libri fossero riusciti ad annichilirlo, interessante la considerazione a proposito del lettore-forte, che sarebbe il lettore che compra libri ogni giorno per poi leggerne tre o quattro in un anno. A mio avviso le pagine più belle sono proprio quelle contenenti le considerazioni sulla percezione che abbiamo del mondo, filtrata com’è dall’informazione giornalistica e mediatica. Marco Candida, giovane autore nato nel 1978, ha avuto un coraggio raro, quello di scrivere un libro che mette a nudo se stesso e nello stesso tempo la scrittura come pratica individuale, un’analisi sulla scrittura così come poteva essere intesa nel Medioevo, con la filtrazione di filosofia e psicoanalisi, laddove invece un pensiero osmotico potrebbe rintracciare assonanze con i romanzi di Albert Camus, per il riferimento al senso di claustrofobia morale oppure alle riflessioni filosofiche sulla scrittura di Carlo Sini, cui si aggiunge un vago senso di delirio che a volte emerge da alcuni passi per effetto dell’esattezza e dell’accumulazione di immagini. Marco Candida dispone di una tavolozza incredibilmente varia che si è concretizzata in un ottimo esordio.

anticipazione da Musicaos.it – Anno IV Numero 26, “Anelli deboli”

le vie del signore sono sfinite


Lecce, è bello associare i nomi delle tue strade ai quartieri, alle zone, ai ricordi. Dispiace accorgersi con un senso sottile di sarcasmo di come il buon senso e la cultura siano distanti tra di loro quando si tratta di scendere a patti con la praticità del quotidiano. Esempio? I nomi delle strade e il legame tra le personalità della storia, qual’è il grado di istruzione e quali quiz devono essere sostenuti per essere ammessi al catasto? Bando alle ciance. Se vi capita di visitare il bel quartiere di Castromediano (Cavallino-Lecce) vi troverete ad una svolta indicata da un cartello, “Via L. Caro”, dopo esservi spremute le meningi un pensiero balenerà nella vostra mente “ma sì…è proprio lui, Tito Lucrezio Caro, autore del vostro poema di lingua latina preferito, il De Rerum Natura”; non poco distante c’è “Via M. T. Cicerone”, fin qui tutto bene, Marco Tullio Cicerone. I nomi delle gens vengono abitualmente scambiati per cognomi. I più maliziosi potrebbero sostenere un’ipotesi secondo la quale questi sono ragionamenti capziosi, necessitiamo di un experimentum crucis, eccolo qui bello che pronto, sui viali, poco prima dell’incrocio che conduce al Provveditorato ecco una svolta alla nostra destra, “Via G. Desa”, niente paura, questa via non è intitolata ad altri che a “San Giuseppe Desa da Copertino”, il Santo dei Voli, il santo protettore di Copertino, quel santo asino immortalato in uno spettacolo scritto e  irrappresentabile da Carmelo Bene. A proposito, volete sapere come si chiama il piazzale/parcheggio autobus posto all’ingresso di Lecce provenendo da Brindisi? Ma sì, quel bel piazzale che ospita ogni anno la “Sagra de la Cecora Resta?” (il tempo passa-la cecora resta?)…”Piazzale Carmelo Bene”.
Se fosse stato possibile avrei preferito metterlo dietro il centro commerciale posto a metà della circonvallazione, in buona compagnia di piazzetta Bodini; ma tant’è, Piazzale Carmelo Bene è antistante al cimitero, quel cimitero dove Vittorio Bodini aveva ambientato un bellissimo racconto, “Il sei-dita”. Sarebbe bello se i nomi delle strade, quanto meno per ciò che pertiene alla cartellonistica, non ci facessero far fare brutte figure con i nostri morti.

Al mare con la vittima


Fedor Mihajlovic Dostoevskij al marePubblico qui il racconto uscito ieri, Domenica 8 Luglio sul “Corriere del Mezzogiorno”, per l’iniziativa “I racconti dell’estate”.
Nel racconto proseguo (a modo mio) l’incipit – in rosso nel testo – di “Delitto e castigo” di Fëdor Mihajlovič Dostoevskij. Siete tutti invitati a leggere gli altri racconti di tutti gli scrittori che nel corso dell’estate si passeranno il testimone di questa bella iniziativa.

Al principio di luglio, con tempo caldissimo, verso sera, un giovane scese dalla sua stanzuccia, che aveva in subaffitto nel vicolo di S., sulla strada e lentamente, come irresoluto, si diresse verso il ponte di K.
Egli scansò felicemente l’incontro con la sua padrona per la scala. La sua stanzuccia riusciva proprio sotto il tetto di un alto casamento a cinque piani e somigliava ad un armadio più che a un’abitazione. La sua padrona di casa, invece, dalla quale aveva in affitto questa cameretta con desinare e servizio compreso, abitava una scala più in basso, in un quartierino a sé; ogni volta che egli usciva sulla via, gli toccava inevitabilmente passar davanti alla cucina della padrona, la cui porta era quasi sempre spalancata sulla scala.

Quando pensò di aver scampato l’incontro con la vecchina, che di sicuro gli avrebbe ricordato il prossimo scadere dell’affitto mensile, sentì un sibilo che lo richiamava alle spalle “pssh, psssh, ehi, dico a te”, si trattava di Anastasia, la nipote della donna, una ragazzina di diciotto anni, studentessa modello che aveva appena sostenuto l’orale dell’esame di maturità classica, “ma com’è che in luglio in città rimangono soltanto gli studenti che devono sostenere gli esami orali? E tutti gli altri…che fine fanno?”, si voltò verso Asia – questo il suo diminutivo – e con un cenno del mento le chiese che cosa volesse “se ti do questi cinque euro mi vai a comprare le sigarette? Se vuoi puoi tenerti il resto”.
Accettare l’elemosina da una ragazzina avrebbe significato toccare il fondo, si disse tra i denti, rifece i gradini per raggiungere la mano tesa di Asia, facendo attenzione a non sbucare dalla porta con la testa e senza fare rumore, ad eccezione di un rapido “va bene”, afferrò i cinque euro e corse giù per le scale. La vecchia non si accorse di nulla.
Quando provò ad aprire il grosso portone di legno fece più forza del dovuto, girò la maniglia verso il basso mentre questa risaliva su da sola, a scatti, per un attimo credette che la vecchina, dal piano di sopra, stesse muovendo la maniglia in giù e su con le sue doti telecinetiche, così, per costringerlo a rimanere in casa, invece no, dall’altro lato del portone c’era qualcuno, si trattava di un medico che cercava con la stessa ostinazione di fare il contrario, cioè entrare nel condominio, pensò che era medico perché quando lo vide notò il suo paio di occhialetti piccoli piccoli. “Potrebbe dirmi dove abita la vecchia …”, e pronunciò il cognome della padrona di casa sillabando, “prenda quella scala e salga fino in cima, non si può sbagliare, ma lei chi è, sarà mica venuto per l’appartamento dell’ultimo piano…”, “no, sono venuto per la nonna della signorina Asia, sono qui per somministrarle la sua ultima ricetta, ahi noi”, “ahi noi…cosa?!?! Non capisco”, “mi scusi, forse non era al corrente, ma lei per caso non è Raskolnikov, il ragazzo di Asia?”, macché…magari. Non era mai riuscito a stabilire un contatto con quella ragazzina, i suoi trent’anni lo proiettavano fuori da una fetta di mondo a lui incomprensibile, motociclette, fumetti, sigarette fumate di nascosto dalla nonna, droghe leggere, 3msc, discoteche, mms, riduzioni per discoteche, sms, aperitivi, cose per cui avrebbe tanto voluto trovare il tempo e il modo, se solo non fosse stato uno studente fuori corso da oramai troppo tempo; i soldi che gli passavano i genitori, la stessa quota ogni mese, erano appena sufficienti per pagarsi un armadio a forma di stanza. Povera vecchia, chissà cosa aveva, stava male e non dava ad intendere nulla del suo stato, d’altronde chi si sarebbe mai potuto preoccupare di lei oltre ad Asia?
E pensare che un giorno gli era quasi venuto il desiderio di farla finita e ucciderla, se soltanto ne avesse avuto il coraggio quel giorno sarebbe stato capace di farla a pezzi con una scure per poi segarla in mille frammenti e infine mettere i lacerti di vecchia in un sacco e gettarlo dal ponte di K. fin giù. Il fatto è che lui non aveva motivi per odiare la vecchina, nessun motivo ad eccezione dell’affitto in nero che in barba a tutti gli indici Istat del paese cresceva di venti euro ogni sei mesi, di lì a qualche anno sarebbe di certo raddoppiato. Invece niente, il tempo aveva deciso per lui in anticipo, alla vecchina restavano pochi mesi di vita e sua nipote sapeva tutto, e se ci fosse di mezzo un’eredità?
Mise il piede fuori dal portone, doveva fare in fretta, la biblioteca chiudeva alle sette e mezza e si erano fatte già le sette, “tra poco più di un’ora incomincia la partita”, tirò fuori il suo paio di occhiali da sole con le lenti marrone scuro, li indossò anche se non ce ne sarebbe stato bisogno, gli capitò di vedere il sole riflesso sulla vetrina di un negozio, un disco giallo & pigro, avvolto dall’afa, si diresse verso la biblioteca in cerca di un romanzo da prendere a prestito per riuscire a trascorrere il suo, di tempo. Il suo pensiero era rivolto al numero di probabilità rimaste alla nazionale per una possibile qualificazione ai Campionati Europei del 2008. D’improvviso gli venne in mente un’idea geniale, “cos’è che ti piacerebbe regalare ad una persona se sapessi in anticipo che non la rivedrai mai più? Felicità! Momenti felici e indimenticabili!” Decise che avrebbe convinto la vecchina a vedere con lui la partita Italia-Ucraina, magari davanti ad una pizza margherita e una doppia bionda media, ma sì, tutti e due sul tavolaccio del cucinino (la compresenza di Asia non gli sarebbe affatto dispiaciuta), con la finestra spalancata e il ventilatore acceso, più di così non poteva fare, era il massimo di gioia condivisibile che gli veniva in mente di donare, accelerò il passo fino alla biblioteca comunale, entrò nell’atrio, si fermò per cinque secondi a godere la frescura di quel luogo, salì al primo piano, appena davanti davanti al bibliotecario disse “stavo cercando un libro, la Trilogia di Samuel Beckett”. Sono mesi che cercava di trovare quel libro, scomparso dalle librerie e dai cataloghi delle case editrici.
Dopo cinque minuti uscì con la sua copia in prestito della Trilogia. Entrò in una ricevitoria, comprò le sigarette di Asia e tre gratta&vinci da un euro, “ritenta sarai più fortunato”, “ritenta sarai più fortunato”, “hai vinto 20€”. Fece ritorno a casa. Toc Toc. “Cosa vuole? È successo qualcosa? Se è per l’affitto non deve preoccuparsi…c’è ancora tempo”, sentì un brusio, era lo stesso rumore che faceva il silkepil di sua sorella, immaginò Asia in piedi con un tallone sul bidet mentre ‘finiva’ un polpaccio, “No, nulla, mi chiedevo soltanto se, si insomma, questa sera c’è l’Italia che gioca contro i russi, le andrebbe di vedere con me la partita?”, “siiiiiiiii, nonna devi dire di siii”, era Asia che concedeva il permesso e si invitava da sola, sfacciatamente.

spiaggia.jpg Ed eccoli lì tutti e tre, seduti davanti ad un televisore a tubo catodico da sedici pollici per vedere una partita della nazionale, fuori c’è un caldo infernale, il ventilatore ruota con la sua perfezione approssimativa facendo ondeggiare la copertina appoggiata sulla sedia a sdraio della vecchina. Chissà se si ricorderà di questa serata. Lui si. Fatto è che il giorno dopo lo studente invaghito, Asia e sua nonna, erano tutti e tre sulla spiaggia di Torre Perlina, con l’ombrellone spalancato, a prendere il sole; lui alternava un tuffo nell’acqua tiepida alla lettura della Trilogia di Beckett, mentre il vento scompigliava i capelli di Asia, quelli che uscivano dal cappello di paglia; “se qualcuno nell’inverno scorso, mentre preparavo il mio penultimo esame, mi avesse detto che in luglio sarei stato steso sulla spiaggia al tuo fianco, Asia, mentre tua nonna, ovvero la mia padrona di casa, termina un cruciverba seduta su una sedia pieghevole, ebbene, non ci avrei creduto, ma tant’è, soltanto gli stupidi possono credere che l’inizio di una storia contenga in maniera irrevocabile la sua fine”, “ma stai zitto stupido”.

Poesie vomitate contro la Turbogas. Atto video.


asilodimendicita.jpgDue Notizie.
Uno. Questa sera sarò al Fondoverri per presentare “Asilo di mendicità”, il secondo libro in versi di Simone Giorgino, alla presentazione seguirà un reading di Simone Giorgino, che leggerà suoi versi tratti dal suo (bel) libro (che potete vedere qui di fianco).
Due. Il 13 maggio scorso, a Aprilia, alcuni poeti si univano in un atto di protesta contro la Turbogas, gli artisti coinvolti erano Ugo Magnanti, Alessandro D’Agostini, Antonio Rezza, Bianca Madeccia, Vitaldo Conte, Francesca Spessot, Angelo Zabaglio. Ebbene, è con estremo piacere che su segnalazione di Bianca Madeccia pubblico il link al video di quella performance, scaricabile da Arcoiris. Buona Visione!

“Re Kappa” presentazioni di luglio.


Giovedì 12 Luglio
Corigliano D’Otranto (LE)
Castello de’Monti Ore 21.00

Elio Coriano e Luciano Pagano
presentano “Re Kappa”

§

Sabato 14 Luglio
Melpignano – Notte Bianca


Rossano Astremo, Mauro Marino e Luciano Pagano
presentano “Re Kappa”

***** Alcuni giudizi su “Re Kappa”, resoconto della vicenda del rinvenimento e della pubblicazione del manoscritto del libro intitolato “Volonté du roi Krogold”, pubblicati dalla stampa estera e nazionale. *****

Re Kappa è un Candido minore, ironico e leggero, all’avventura nel «migliore dei mondi possibili», quello della cultura, un mondo tanto bello che non di rado fa quasi schifo.”
Michele Trecca su “La Gazzetta del Mezzogiorno” (13 maggio 2007)

“Pagano cortocircuita storia letteraria e invenzione letteraria e il risultato è originale.”
Patrizia Danzè
su Stilos (1 maggio 2007, Anno IX, Numero 9)

“Piuttosto che cedere alle complicazioni metereopatiche, è utile dotarsi di strumenti in gradi di accelerare l’ambientamento e uno di questi può essere Re Kappa
Massimiliano Zambetta
sul “Corriere del Mezzogiorno” del 7 Giugno 2007

“Qui dunque comincia Re Kappa. Dove la letteratura contemporanea sembrerebbe fermarsi, Re Kappa comincia. Prende il via il percorso tortuoso di uno scrittore alla ricerca della sua trama, del suo libro tra gli altri.”
Elisabetta Liguori su “Paese nuovo” (31 marzo 2007)

“Pagano è un narratore abile: scrive in modo intelligente […] usa in modo intelligente la sua cultura (letteraria e non), costruisce il suo racconto in modo sapiente, ha una creatività ironica e soprendente.”
Eleonora Carriero su quiSalento di giugno

“C’è scrittura in Pagano, così come atmosfera, e il tutto è reso in un linguaggio contemporaneo, ma in uno stile che guarda al post moderno, con inserti strumentali mutuati dal passato.
Sta nascendo uno scrittore a 360 gradi”
Antonella Casilli su “Teatro Naturale” (maggio 2007)

“a sfogliare le pagine del lavoro di Pagano, ci si sente come scossi da una scarica elettrica, come se sorgesse repentino un imperativo categorico che spinge a dedicarsi alla parola”
Stefano Donno su “Coolclub.it” (maggio 2007)

La decostruzione dell’odio. Su “Il legame” di Fabio Omar El Ariny


La decostruzione dell’odio.
Su “Il legame” di Fabio Omar El Ariny

Cantiere delle Twin TowersFinalmente svelato il legame tra l’incidente aereo di Linate, avvenuto nell’ottobre del 2001 e il presunto attacco del WTC, avvenuto l’11 settembre dello stesso anno“, un titolo di giornale al quale potrebbe essere attribuita una veridicità quasi assoluta dopo la lettura de “Il legame”, romanzo d’esordio di Fabio Omar El Ariny, giovane scrittore egiziano che vive e lavora a Milano, uscito per i tipi della Besa Editrice. Adel Kadry è un giovane uomo d’affari, figlio di un egiziano che è riuscito ad espandere il suo commercio partendo dalle spezie e arrivando a costruire un impero che, grazie anche all’abilità del figlio, è approdato negli USA, dove la corporation egiziana a capo dei Kadry è entrata in possesso di diverse società americane. Quale legame c’è, quindi, tra la vita del giovane rampollo e la catastrofe mediatica e terroristica delle Torri Gemelle? Adel, la mattina dell’11 settembre, deve prendere lo stesso aereo della United Airlines da Boston a Los Angeles, quello che dopo il dirottamento si è schiantato a Stony Creek Township, in Pennsylvania. La sua riunione di lavoro a Los Angeles, tuttavia, è stata annullata. Il suo nome compare già nella lista di arabi ‘designati’ come morti sull’aereo, che figureranno come potenziali terroristi nelle cronache del giorno dopo. La ragazza di Adel, Sonia, abita a Milano. Jean De Tennais è un giornalista di “Le monde” che in passato ha avuto a che fare con il padre di Adel, e che dopo aver appreso che il giovane è ritenuto uno degli attentatori si mette sulle tracce del genitore per cercare di farsi rilasciare un’intervista ‘a caldo’. Gli avvenimenti si succederanno in rapida sequenza, dimostrando la maestria dell’autore nel saper dosare gli elementi della narrazione, dalla quale spiccano le descrizioni dei luoghi e dei caratteri di ognuno dei personaggi. Un romanzo, “Il legame”, che pur partendo dal genere thriller riesce a contenere una storia piacevole, la cui lettura può essere consigliata anche a chi non è appassionato del genere. Nella vicenda vengono spesso descritti gli scenari politici internazionali, in particolare la situazione del Medio Oriente, la cui storia recente viene ripercorsa senza che si senta la volontà apologetica nel voler a tutti i costi dare una verità sui fatti. Un esperimento narrativo unico nel suo genere anche perché l’autore è un trentaduenne egiziano che scrive nella nostra lingua e decide di attingere ad un episodio storico che oramai è divenuto un mito della contemporaneità, non sono ancora molti gli scrittori che hanno affrontato il tema dell’11 settembre come fatto già storico; non soltanto un evento mediatico, ma probabilmente uno degli eventi che nei prossimi anni si rivelerà più latore di effetti mitopoietici, l’Attacco alla civiltà par excellence, indipendentemente dal fatto che suddetto attacco sia stato un attacco reale oppure il frutto della più grande messa in scena del XXI secolo, quella che non solo secondo le ipotesi contenute nel romanzo di Fabio Omar El Ariny, è avvenuta sui cieli e la terra degli USA alle 9 di mattina di un giorno di settembre.
Al termine della lettura resta l’impressione di un romanzo davvero piacevole, insieme ad un messaggio di speranza nei confronti di un dialogo possibile tra mondi diversi, quello arabo e quello occidentale, che l’autore è riuscito a trascendere dalla propria esperienza personale per rendere partecipe il lettore di una storia che colpisce per il bilanciamento della lingua e per la rapidità di esecuzione, in certi punti a metà tra una novel di Ellroy e la pellicola di Edward Zwick “Attacco al potere”.

anticipazione da Musicaos.it – Anno IV Numero 26, “Anelli deboli”