Tristano. 104 Anni e non sentirli!


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Ha 104 anni. Ma non li dimostra. È magro. Pesa appena 56 pagine. Si direbbe che l’asciuttezza del suo stile e la precisione nella descrizione degli stati d’animo lo abbiano preservato dall’invecchiamento precoce cui sono soggette le mode letterarie. Di cosa parla quando lo si interroga? Di declino, del transito, del tramonto, come uno zarathustra borghese. Come si chiama? Tristano, romanzo breve di Thomas Mann, che rappresenta un esempio mirabile di come in poco spazio possa essere conclusa un’opera ideale, allo stesso tempo prefigurazione di temi che verranno ampiamente trattati nel capolavoro “La montagna incantata” (1924). Capolavoro è una parola che con Thomas Mann rischia di vedere smussata la propria patina di sensazione. “I Buddenbrook” (1901) un capolavoro che descrive il declino di un’epoca. Il “Doktor Faustus” (1947) un capolavoro nel quale si affronta il tema dell’attuazione di un’utopia ideale. Nel Tristano la vicenda è chiusa nello spazio breve di una casa di cura dal nome emblematico “La Quiete” e nel tempo breve di qualche mese. Il tempo che basta perché una giovane madre affetta da un male alla trachea (Gabriella Klöterjahn) venga accompagnata nella casa di cura dal burbero marito (Klöterjahn) per curare i suoi malanni. Sarà qui che, tra i personaggi presenti, verrà catturata nelle malìe di un debosciato, un intellettuale (Spinell) che stranamente scriveva un sacco di lettere il cui numero di risposte che riceveva non era mai elevato come il numero di quelle che faceva uscire dalla sua stanza. Una di queste lettere tuttavia sarà fatale, quella in cui Spinell spiattellerà in faccia a Klöterjahn tutta la verità sul suo presunto appartenere a uno stadio animalesco e barbarico della vita, dove la cosa più importante sono il denaro e gli affari. Come è giusto che sia Spinell con quella lettera farà un buco nell’acqua, e Thomas Mann approfitta del suo personaggio per dare forma a una critica dell’ideale di pensatore decadente e decadentista, chiuso nella sua torre d’avorio, con la presuzione che nella sua weltanschauung atrofica riesca addirittura a prevedere e cristallizzare in omologazioni i giudizi sulle persone che lo circondano. Il tutto in uno stile asciutto, essenziale, senza pari. Thomas Mann vincerà il Premio Nobel per la Letteratura nel 1929 “principalmente per il suo grande romanzo I Buddenbrook, sempre più riconosciuto come una delle grandi opere della letteratura contemporanea”, un romanzo che di anni ne ha 107 e, se è concesso, ha resistito al declino della classe sociale di cui ha eretto un monumento.

(in foto Thomas Mann e la sua famiglia)