“Il quarto agente”. Un racconto


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Il seminterrato è umido, questa stanzaccia è incollata alla rimessa di sopra, separata da una botola di compensato e una porta di rame. Con tutti i soldi che buttano via guarda dove cazzo doveva finire. Avanti di due. Eccolo. Ancora due. Avanti. Stop. Ecco un fotogramma dove gli occhi e il volto sono quasi distinti. “Lo abbiamo. È lui” pensò.

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IL QUARTO AGENTE

Il seminterrato è umido, questa stanzaccia è incollata alla rimessa di sopra, separata da una botola di compensato e una porta di rame. Con tutti i soldi che buttano via guarda dove cazzo doveva finire. Avanti di due. Eccolo. Ancora due. Avanti. Stop. Ecco un fotogramma dove gli occhi e il volto sono quasi distinti. “Lo abbiamo. È lui” pensò. Erano sulle sue tracce da molto tempo, lo avevano trovato. Fino a quel giorno ne aveva tolti dal giro almeno trenta dei loro, ecco perché lo cercavano. Nelle squadre organizzate le mansioni venivano divise dal Capitano rispettando l’anzianità, a prescindere dalla motivazione del momento e senza tenere conto dei trascorsi che ognuno di loro possedeva. Tutti erano qualificati per condurre a termine le ricerche. Lui era il più giovane di tutti, nemmeno si era laureato in informatica e già era stato preso nella squadra. Non che gli importasse molto, la cosa più importante erano i soldi, quelli dovevano esserci sempre, come uno stipendio. Malgrado si trattasse dell’elemento più giovane della squadra era quello che dimostrava di meno il suo attaccamento al denaro, al punto che Calcagno diceva che secondo lui lo sbarbatello ci aveva la puzza sotto al naso, magari era figlio di papà e i soldi se li spendeva tutti in un pomeriggio. Calcagno aveva sei figli e una moglie che lo vedeva una volta alla settimana e quando lo vedeva urlava finché non era certa che se ne fosse andato e non lo avrebbe rivisto fino alla settimana successiva. Non avevano ancora capito che lui, anche se era il più giovane, ne sapeva molto di più di ciò che dava a intendere. Aveva trascorso i primi due mesi senza mettere il naso fuori casa, visionando tutte le registrazioni che erano state effettuate nei mesi precedenti al suo arrivo. Doveva mettersi al passo con quello che sapevano i suoi compagni, altrimenti lo avrebbero tagliato fuori da ogni discussione. Prima sapere, poi parlare. Se avesse saputo le cose che sapevano anche loro nessuna differenza d’età avrebbe retto e anche Calcagno poteva starsi zitto. L’evoluzione della tecnologia aveva fornito alla squadra un notevole aiuto. Ogni giorno venivano registrate le “tonnellate”, è così che chiamavamo in gergo i terabyte di file in formato .avi che venivano immagazzinati sugli hard disk dei server ospitati nel seminterrato. C’era bisogno di qualcuno in grado di vedere ore e ore di filmati in modo accurato, senza distrazioni, se possibile al triplo della velocità. Non avevano tempo da perdere. C’era bisogno di un paio di occhi capaci di cogliere ogni minimo particolare. La macchia in un campo colorato, il bavero di una giacca, un segno qualsiasi poteva tramutarsi in segnale. Lui lo avevano preso per via della velocità che aveva nel notare le cose con gli occhi. Manipolare e mandare i video avanti e indietro. “Minchia Capitano! Abbiamo trovato la manna!”, dicevano così. Era vero. In realtà avevano trovato il fesso, l’unico che alla sua età non aveva altro da fare che spendere le sue ore a guardare le tonnellate passare e ripassare sullo schermo anziché giocare con una playstation. La paga, tuttavia, era buona. Su quella nulla da dire. Più di quello che gli avrebbero reso le umilianti e fin troppo saltuarie collaborazioni con l’università. Grazie alla sua scoperta il Capitano avrebbe fatto visita alla cantina prima di ogni previsione. Tutti lo aspettavamo. La visita del Capitano dimostrava che le loro indagini avevano imboccato una svolta. Erano abituati a lavorare nel silenzio e nell’ombra, le loro vittorie erano vittorie nascoste, che nessuno poteva conoscere. La loro non era una squadra di calcio. E pensare che Calcagno dopo la seconda birra sosteneva di aver giocato nella primavera del …………….. e certe volte quando stavano lì sotto chiusi per ore gli venivano in mente gli spogliatoi del campo sportivo. Il segreto della vittoria era nascosto in un quadrato sfocato delle dimensioni di qualche pixel. Al centro del quadrato, sul monitor al plasma, c’era una macchiolina gialla. Si trattava di un particolare. “Fottuto dalla catenella, come gli stronzi”. Dopo avere ingrandito e elevato la risoluzione dell’immagine la inviò al Capitano con una email. Il telefono squillò dopo un minuto. “Tra un’ora tutti nel seminterrato”. L’avrebbero preso mettendo fine alla sua infame carriera. Si alzò. Era il momento che aspettava da tanto. A lui sarebbe toccato il merito della scoperta, forse una promozione nel gruppo. Più soldi. Avrebbero cominciato a guardalo in modo diverso. Rispetto. Rispetto e onore. Quel momento meritava di essere celebrato. Si alzò. Chiuse a chiave la porta, era certo che prima di un’altra mezz’ora non sarebbe arrivato nessuno. Aprì il cassetto e tirò fuori la bottiglia di rum. In tasca aveva quello che due giorni prima era un pacchetto di camel morbide, accartocciato nelle tasche dei pantaloni. Vuoto. Indietro. Venti secondi. Salva con nome. Chiudi. Nel pacchetto c’è una canna anche lei accartocciata. Lui torna davanti alla postazione, sgancia il fermo dello schienale per stendersi. Si accende la canna e alterna una boccata di fumo a un sorso di vecchio. Il Capitano non avrà creduto ai suoi occhi. Domani si scatenerà l’inferno e dopodomani tutti quei computer non serviranno più a nessuno. Lui ha già deciso che cosa farà con i soldi. La crociera nei fiordi norvegesi, quindici giorni in una pensione di Andalsnes. “Ma che minchia vai a fare, non basta tutta l’acqua che ci abbiamo qua, pure la crociera vuoi fare?”. Tum. Tum. “Apri la porta!”. Sono arrivati. In un attimo il seminterrato si riempie, il Capitano è già pronto con gli occhi sbarrati sul monitor, Calcagno resta sulla porta con la posa da buttafuori.”Che schifo. Hai fumato ancora?”. La mano destra del Capitano è già sulla sua nuca. Il rumore differito è quello di uno schiaffone. Altro che promozione. “Dunque l’abbiamo trovato…e bravo pischello, ti facevo più coglione, invece sei bravo bravo, farai strada! Facci vedere su!”. Lui dà un colpetto al mouse, il fermo immagine del video prende il posto dello screen saver con la foto di Papa Giovanni Paolo II presa da una t-shirt. I like the Pope the Pope smokes dope. Il video in questione dura quindici secondi. Si tratta di un estratto da un TG2 dell’anno scorso. Nel servizio in questione viene descritto l’arresto di Giuseppe Nicciardi, il latitante numero tre. Si vede la Croma Blu fare il suo ingresso nel cortile del carcere. Indietro, sulla soglia, un poliziotto si volta verso il portone, per assicurarsi che rimanga chiuso alle spalle dell’auto, una folla di curiosi e giornalisti viene così lasciata in mezzo alla strada, senza più nulla da guardare. I rumori degli scatti chiudono sull’inchiodata dei freni nel cortile. L’auto si ferma. Ne scendono tre uomini con i passamontagna. Il quarto è quello che guida l’auto. “Questa mattina, al termine di un’operazione a vasto raggio che ha veduto impegnati quasi trecento uomini e unità cinofile, Giuseppe Nicciardi è caduto nelle mani delle forze dell’ordine. Nicciardi era latitante dal millenovecentosessantuno. Il suo arresto è frutto della collaborazione tra polizia e arma dei carabinieri“. È il momento. Il quarto agente esce dall’auto. Il servizio si interrompe. “Ecco. Guardi qui. Ci sta un secondo che qualcosa gli prude al collo. È un attimo. Alza il passamontagna fino al mento e zac!…la catenella“. Anni di indagine per questo momento che ispira al Capitano una vertigine simile all’attimo che precede lo svenimento, la pressione del sangue che scende d’improvviso, annuncio che di lì a poco ogni vena inizierà a pulsare di fervore. Vendetta. Vendetta. Vendetta. Il Capitano vede tutta la sua vita passargli davanti. Vede gli anni dell’infanzia in casa con il padre sempre tra i piedi. Vede il via vai di persone in casa che vengono a chiedere favori. Prova il terrore ogni volta che i suoi genitori sentono una volante passare vicino casa e invece si tratta di un’ambulanza come quella volta che uno del piano di sotto si è sentito poco bene. Vede il suo matrimonio. Sembra un film, con Mamma Rosina vestita tutta di bianco. Vede tutta la sua vita e vede anche il giorno in cui suo padre se n’è andato, sette mesi fa, e nemmeno sono potuti andare al funerale perché adesso sono tutti pregiudicati. Vede tutto e pensa che adesso potrà vendicarsi. La vendetta è un piatto che va servito freddo. Non importa chi fosse quell’agente. Forse era il loro comandante oppure si tratta di uno nuovo, uno che non c’entrava nemmeno e si era trovato lì per caso, buttato in quell’operazione. Fatto è che il Capitano dal giorno in cui è morto suo padre ha dato il via alle sue indagini.

Dopo cinque mesi dall’inizio delle loro ricerche ci siamo incontrati, meglio sarebbe dire che mi hanno reclutato. Ho letto il trafiletto sul settimanale di annunci e ho telefonato “cercasi videomaker per montaggi – orario flessibile – fisso garantito”. Sulla mensola, sopra i server, c’è un televisore acceso a volume basso “Chi cazzo è quella?”, mi chiede il Capitano. “Sveva Sagramola”, rispondo. “Sveva che?”. Il Capitano mi assesta un altro ceffone sulla nuca. “Domani qui dentro non deve restarci un cazzo, portati a casa quello che ti serve e poi brucia tutto“. Mi venne in mente di chiedere che cosa ne sarebbe stato della rimessa, evitai di parlare perché sapevo che con il terzo ceffone avrei perso i sensi. Il Capitano mi scrutò in viso, sospirò “non te ne deve fottere della rimessa, brucia tutto, prendi quello che vuoi e parti per quella cazzo di crociera. Qui non servi più“.

Si vive sospesi tra le aspettative e tra i "le faremo sapere"


riceviamo dalla nostra amica, e segnaliamo:

“Da ragazzina delegavo ai grandi colpe e meriti. Ora che sono cresciuta anche io faccio parte degli adulti, sono una “giovane adulta” che deve metterci del suo. Certo chi di dovere dovrebbe porgere l’orecchio più alle necessità e meno alle filosofie che rimangono solo su carta. Rappresento probabilmente un target di 27enni (o giù di lì) che sono incastrati, in un ingranaggio rotto. Nè un passo avanti nè un passo indietro. All’inizio credevo d’essere io in fondo quella sbagliata, invece mi accorgo che la situazione è ben più grave. la mia laurea mi ha regalato sì spessore e identità, ma poche possibilità lavorativa. Non c’è spazio per i giovani. I “vecchi” sono arroccati nei loro castelli e non consentono equilibrio. La mia formazione ed i miei cv andranno ad incrementare la spazzatura fuori dalle agenzie e dalle aziende, e potrebbe darsi che prima di mettere su famiglia avrò già superato i trenta abbondantemente. Esperienze pseudo lavorative mi hanno delusa. C’è in giro gente che ci marcia sulla categoria dei giovani laureati disoccupati disperati. Siamo una generazione da call center probabilmente, che ha voglia di fare, ma vive in cattività. Ed io ho paura, di incattivirmi pure io e di diventare come quelli che detesto, quelli dei compromessi, delle raccomandazioni. Li vedi ovunque e li trovi ovunque quelli del “basterebbe una spinta, ed io posso presentarti ad un caro amico se vuoi…” Ma non va così. Non deve andare così. Non vogliamo un regalo, solo un’opportunità.”

qui la prosecuzione dell’intervista, messa in onda l’1 febbraio 2008 su StudioAperto

Irene Leo

Le fiabe di Eliana Forcignanò al FondoVerri.


Fondo Verri a.c.
Presidio del Libro di Lecce
(stagione culturale inverno 2008)
in collaborazione con la Libreria Icaro

Sabato 9 febbraio 2008, ore 19.00
Elisabetta Liguori presenta: Fiabe come rondini raccolta di Eliana Forcignanò (Lupo Editore) – Letture di Mauro Marino

Sabato 9 febbraio 2008, alle ore 19.00, presso il Fondo Verri, Elisabetta Liguori presenta “Fiabe come rondini“, raccolta di Eliana Forcignanò, edita da Lupo con il Fondo Verri.
Tanti modi sono offerti agli uomini per crescere, la fiabe da sempre sono uno di questi. Una strada semplice ed incantevole in cui ogni piccolo eroe senza risposte può cimentarsi coi giganti e uscirne sorprendentemente vivo. Quasi una fede da costruire. Cosa altro c’è, a pensarci bene infatti, al fondo di tutte le religioni del mondo, se non un’ idea come questa? Cosa alla base di ogni forma di spiritualità? Cosa se non il fascino rassicurante di una fiaba per sopravvivere e cambiare? Uno stupore finalmente rassicurante? Il desiderio di soluzione, futuro, pacificazione, meraviglia? La terra di Non so, abilmente raccontata in una delle fiabe di Eliana dal titolo “Le tre bottiglie”, è espressione perfetta della dimensione ambientale e spirituale del Dubbio con la quale tutti, adulti e bambini, siamo oggi chiamati a confrontarci.
E’ sorprendente, ma le fiabe di Eliana, pur non provenendo da antiche tradizioni popolari, raccontano quella ricerca lenta ed affannosa con la levità delle rondini migranti e il fardello dei secoli. Tra le sue pagine il futuro incontra il passato e si riempie di meraviglia e potenziali trasformazioni. Non si deve fare altro che restare ad ascoltare.

Elisabetta Liguori

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